tag:blogger.com,1999:blog-13237179783555210532024-02-08T07:41:07.064-08:00L'INFERNO DI DANTEberthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.comBlogger34125tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-66895102734874317842009-05-12T06:53:00.001-07:002009-05-12T06:54:51.026-07:00CANTO TRENTAQUATRESIMO"Vexilla regis prodeunt inferni<br />verso di noi; però dinanzi mira",<br />3 disse ’l maestro mio, "se tu ’l discerni".<br />Come quando una grossa nebbia spira,<br />o quando l’emisperio nostro annotta,<br />6 par di lungi un molin che ’l vento gira,<br />veder mi parve un tal dificio allotta;<br />poi per lo vento mi ristrinsi retro<br />9 al duca mio, ché non lì era altra grotta.<br />Già era, e con paura il metto in metro,<br />là dove l’ombre tutte eran coperte,<br />12 e trasparien come festuca in vetro.<br />Altre sono a giacere; altre stanno erte,<br />quella col capo e quella con le piante;<br />15 altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte.<br />Quando noi fummo fatti tanto avante,<br />ch’al mio maestro piacque di mostrarmi<br />18 la creatura ch’ebbe il bel sembiante,<br />d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,<br />"Ecco Dite", dicendo, "ed ecco il loco<br />21 ove convien che di fortezza t’armi".<br />Com’io divenni allor gelato e fioco,<br />nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,<br />24 però ch’ogne parlar sarebbe poco.<br />Io non mori’ e non rimasi vivo;<br />pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno,<br />27 qual io divenni, d’uno e d’altro privo.<br />Lo ’mperador del doloroso regno<br />da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia;<br />30 e più con un gigante io mi convegno,<br />che i giganti non fan con le sue braccia:<br />vedi oggimai quant’esser dee quel tutto<br />33 ch’a così fatta parte si confaccia.<br />S’el fu sì bel com’elli è ora brutto,<br />e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,<br />36 ben dee da lui proceder ogne lutto.<br />Oh quanto parve a me gran maraviglia<br />quand’io vidi tre facce a la sua testa!<br />39 L’una dinanzi, e quella era vermiglia;<br />l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa<br />sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,<br />42 e sé giugnieno al loco de la cresta:<br />e la destra parea tra bianca e gialla;<br />la sinistra a vedere era tal, quali<br />45 vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla.<br />Sotto ciascuna uscivan due grand’ali,<br />quanto si convenia a tanto uccello:<br />48 vele di mar non vid’io mai cotali.<br />Non avean penne, ma di vispistrello<br />era lor modo; e quelle svolazzava,<br />51 sì che tre venti si movean da ello:<br />quindi Cocito tutto s’aggelava.<br />Con sei occhi piangëa, e per tre menti<br />54 gocciava ’l pianto e sanguinosa bava.<br />Da ogne bocca dirompea co’ denti<br />un peccatore, a guisa di maciulla,<br />57 sì che tre ne facea così dolenti.<br />A quel dinanzi il mordere era nulla<br />verso ’l graffiar, che talvolta la schiena<br />60 rimanea de la pelle tutta brulla.<br />"Quell’anima là sù c’ha maggior pena",<br />disse ’l maestro, "è Giuda Scarïotto,<br />63 che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.<br />De li altri due c’hanno il capo di sotto,<br />quel che pende dal nero ceffo è Bruto:<br />66 vedi come si storce, e non fa motto!;<br />e l’altro è Cassio, che par sì membruto.<br />Ma la notte risurge, e oramai<br />69 è da partir, ché tutto avem veduto".<br />Com’a lui piacque, il collo li avvinghiai;<br />ed el prese di tempo e loco poste,<br />72 e quando l’ali fuoro aperte assai,<br />appigliò sé a le vellute coste;<br />di vello in vello giù discese poscia<br />75 tra ’l folto pelo e le gelate croste.<br />Quando noi fummo là dove la coscia<br />si volge, a punto in sul grosso de l’anche,<br />78 lo duca, con fatica e con angoscia,<br />volse la testa ov’elli avea le zanche,<br />e aggrappossi al pel com’om che sale,<br />81 sì che ’n inferno i’ credea tornar anche.<br />"Attienti ben, ché per cotali scale",<br />disse ’l maestro, ansando com’uom lasso,<br />84 "conviensi dipartir da tanto male".<br />Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso<br />e puose me in su l’orlo a sedere;<br />87 appresso porse a me l’accorto passo.<br />Io levai li occhi e credetti vedere<br />Lucifero com’io l’avea lasciato,<br />90 e vidili le gambe in sù tenere;<br />e s’io divenni allora travagliato,<br />la gente grossa il pensi, che non vede<br />93 qual è quel punto ch’io avea passato.<br />"Lèvati sù", disse ’l maestro, "in piede:<br />la via è lunga e ’l cammino è malvagio,<br />96 e già il sole a mezza terza riede".<br />Non era camminata di palagio<br />là ’v’eravam, ma natural burella<br />99 ch’avea mal suolo e di lume disagio.<br />"Prima ch’io de l’abisso mi divella,<br />maestro mio", diss’io quando fui dritto,<br />102 "a trarmi d’erro un poco mi favella:<br />ov’è la ghiaccia? e questi com’è fitto<br />sì sottosopra? e come, in sì poc’ora,<br />105 da sera a mane ha fatto il sol tragitto?".<br />Ed elli a me: "Tu imagini ancora<br />d’esser di là dal centro, ov’io mi presi<br />108 al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.<br />Di là fosti cotanto quant’io scesi;<br />quand’io mi volsi, tu passasti ’l punto<br />111 al qual si traggon d’ogne parte i pesi.<br />E se’ or sotto l’emisperio giunto<br />ch’è contraposto a quel che la gran secca<br />114 coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto<br />fu l’uom che nacque e visse sanza pecca;<br />tu haï i piedi in su picciola spera<br />117 che l’altra faccia fa de la Giudecca.<br />Qui è da man, quando di là è sera;<br />e questi, che ne fé scala col pelo,<br />120 fitto è ancora sì come prim’era.<br />Da questa parte cadde giù dal cielo;<br />e la terra, che pria di qua si sporse,<br />123 per paura di lui fé del mar velo,<br />e venne a l’emisperio nostro; e forse<br />per fuggir lui lasciò qui loco vòto<br />126 quella ch’appar di qua, e sù ricorse".<br />Luogo è là giù da Belzebù remoto<br />tanto quanto la tomba si distende,<br />129 che non per vista, ma per suono è noto<br />d’un ruscelletto che quivi discende<br />per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso,<br />132 col corso ch’elli avvolge, e poco pende.<br />Lo duca e io per quel cammino ascoso<br />intrammo a ritornar nel chiaro mondo;<br />135 e sanza cura aver d’alcun riposo,<br />salimmo sù, el primo e io secondo,<br />tanto ch’i’ vidi de le cose belle<br />138 che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.<br />E quindi uscimmo a riveder le stelle.<br /><br />PARAFRASI<br />"Si avanzano i vessilli del re dell’inferno (le sei ali di Lucifero) verso di noi; guarda perciò davanti a te" disse Virgilio "se riesci a scorgerlo." Come quando una densa nebbia si diffonde, o quando il nostro emisfero si abbuia, appare da lontano un mulino la cui ruota è fatta girare dal vento, mi sembrò allora di vedere una tale macchina; poi, a causa del vento; mi rifugiai dietro a Virgilio, poiché non vi era altro riparo. Già mi trovavo, e con paura lo ricordo nei miei versi, là dove i dannati erano tutti coperti (dal ghiaccio), e trasparivano come un fuscello rimasto incorporato nel vetro. Alcuni stanno distesi; altri eretti, chi con la testa e chi cori i piedi in alto; altri, piegati all’indietro, raggiungono, a guisa di arco, col volto i piedi. Quando ci fummo inoltrati tanto, che Virgilio ritenne opportuno mostrarmi colui che era stato il più bello degli angeli, si scostò e mi fece fermare, dicendo: "Ecco Dite (è il nome di Plutone, re degli inferi, nella mitologia) ed ecco il luogo ove occorre che tu ti armi di coraggio ". Non chiedere, o lettore, quale gelo allora mi invase e come la voce mi si fermò, poiché non lo scrivo, ogni parola essendo inadeguata ad esprimerlo. Io non rimasi né vivo né morto: immagina ormai da solo, se appena hai un poco d’intelligenza, come divenni, privo sia di vita che di morte. Il sovrano dell’inferno sporgeva fuori dal ghiaccio a partire da metà del petto; e c’è più proporzione fra me e un gigante, che fra i giganti e le sue braccia: vedi ormai quanto deve essere grande l’intera massa di quel corpo perché sia proporzionato a simili braccia. Se fu così bello com’è brutto attualmente, e (ciononostante) si ribellò al suo Creatore, è ben naturale che ogni male derivi da lui. O come mi sembrò cosa degna di grande meraviglia vedere che la sua testa aveva tre facce! Una davanti, ed era rossa; delle altre due, che si congiungevano a questa sorgendo in corrispondenza della parte mediana di ciascuna spalla, e si congiungevano fra di loro nella parte mediana del volto dove alcuni uccelli hanno la cresta, la destra appariva di un colore tra il bianco e il giallo; la sinistra appariva di un colore simile a quello delle popolazioni originarie della regione da cui il Nilo scende a valle. Sotto ciascuna faccia sporgevano due grandi ali, proporzionate alle dimensioni di un così grande uccello: non vidi mai vele di imbarcazioni marine così grandi. Non avevano penne, ma il loro aspetto era quello delle ali del pipistrello; e le agitava, in modo che da lui si originavano tre venti: Per quel che riguarda le ali di Lucifero, il loro numero è uguale a quello delle ali dei serafini, gli angeli più vicini a Dio, ma, a differenza di quelle dei serafini, piumate e splendenti, quelle del sovrano dell’inferno sono prive di penne e nerastre. perciò l’intero Cocito era trasformato in ghiaccio. Piangeva con sei occhi, e su tre menti faceva gocciare lagrime miste a bava sanguigna. In ogni bocca frantumava con i denti un peccatore, come una gramola (maciulla: strumento che serve a tritare la canapa o il lino), in modo da tormentarne così tre. Per quello che era maciullato nella bocca anteriore il mordere di Lucifero era poca cosa rispetto al graffiare dei suoi artigli, tanto che a volte la sua schiena restava interamente priva di pelle. "Quel dannato lassù, che è sottoposto ad un maggiore tormento" disse Virgilio, " è Giuda Iscariota, il quale tiene la testa dentro la bocca di Lucifero e agita fuori di essa le gambe. Degli altri due, che hanno la testa rovesciata in basso, quello che pende dalla faccia di colore nero è Bruto, vedi come si divincola! e non emette lamento!; l’altro, che appare così muscoloso, è Cassio. Ma sta scendendo nuovamente la notte (i due poeti hanno dunque impiegato ventiquattro ore per percorrere tutto l’inferno), e ormai occorre allontanarci, poiché abbiamo veduto tutto (l’inferno). " Gli avvinsi il collo con le braccia secondo la sua volontà; ed egli scelse il momento ed il luogo opportuno; e quando le ali furono abbastanza aperte, si afferrò ai fianchi villosi: poi si calò di ciuffo in ciuffo nello spazio compreso tra il folto pelo e la superficie ghiacciata. Quando ci trovammo nel punto in cui la coscia si articola, proprio in corrispondenza della parte più grossa dell’anca (è la parte centrale del corpo di Lucifero e corrisponde al centro dell’universo), Virgilio, faticosamente ed affannosamente, si girò portando la testa in direzione dei piedi di Lucifero, e si aggrappò al pelo come chi sale, in modo che io credevo di tornare ancora nell’ inferno. "Tienti stretto, poiché per scale di tal genere" disse Virgilio, ansimando come un uomo stanco, " occorre allontanarsi dall’inferno. " Poi uscì attraverso l’apertura di una roccia, e mi fece sedere sull’orlo di essa; quindi diresse verso di me con cautela il suo passo (staccandosi così dal pelo di Lucifero). Volsi in alto lo sguardo. e pensai di vedere Lucifero nella posizione in cui lo avevo lasciato; e vidi invece che teneva le gambe rivolte in alto; e se io allora mi turbai, lo immagini la gente ignorante, che non comprende (come non avevo compreso io) quale è il punto che avevo oltrepassato (il centro della terra). " Alzati in piedi " disse Virgilio " poiché la via che dobbiamo percorrere è lunga e il cammino malagevole, e già il sole ritorna all’ora media (circa le sette e mezza del mattino) fra la prima ora canonica (corrisponde alle sei) e la terza (corrisponde alle nove). " Non ci trovavamo là in una sala di palazzo,, ma in un sotterraneo naturale che aveva il suolo irregolare e mancanza di luce. " Maestro, prima che io mi stacchi dall’inferno ", dissi quando fui in piedi, " parlami un poco per togliermi dal dubbio. Dov’è il ghiaccio? e come mai Lucifero vi è confitto così rovesciato? e come, in così breve tempo, il sole ha fatto il percorso dalla sera alla mattina? " Ed egli: " Tu ritieni di essere ancora dall’altra parte del centro della terra, là dove mi afferrai al pelo del maligno verme che perfora il mondo. Ti trovasti dall’altra parte per tutto il tempo durante il quale io scesi; allorché mi girai, oltrepassasti il punto (il centro della terra) verso il quale si portano da ogni direzione i pesi. E sei ora giunto sotto l’emisfero (australe) che è opposto a quello (boreale) che ricopre la terra emersa, e sotto il cui meridiano centrale (sotto ‘l cui colmo: a Gerusalemme, situata, secondo le credenze del Medioevo, al centro della terra emersa) fu ucciso l’uomo che nacque e visse senza peccato (Cristo) : tu poggi i piedi sulla piccola superficie che corrisponde nell’emisfero australe a quella costituita dalla Giudecca in quello boreale. Qui è mattina, quando nell’emisfero boreale è sera: e Lucifero, che col suo pelo ci servì come scala; è ancora confitto nella posizione nella quale si trovava prima. Dalla parte di questo emisfero precipitò dal cielo; e la terra, che prima della sua caduta emergeva in questo emisfero, per paura di lui (che precipitava) si ritrasse sotto il mare, ed emerse nel nostro emisfero; e forse la terra che è visibile (l’isola del purgatorio) da questa parte (nell’emisfero australe), per evitare il contatto con Lucifero (fermatosi nel centro della terra) lasciò qui un luogo vuoto (è la natural burella in cui i due poeti si trovano), e si spinse in alto". Vi è laggiù un luogo situato all’estremità del sotterraneo che avevamo percorso, lontano da Lucifero tanto quanto è lungo questo sotterraneo, riconoscibile non per mezzo della vista (a causa del buio), ma per il rumore di un piccolo ruscello che qui scende (si tratta verosimilmente del Leté, il corso d’acqua che nel paradiso terrestre, posto sulla sommità della montagna del purgatorio, toglie alle anime purganti, nel momento in cui si accingono a salire in cielo, la memoria dei loro peccati; in tal modo ogni traccia di peccato torna nell’inferno) attraverso l’apertura di una roccia, a esso scavata, col suo corso a spirale, e in lieve pendenza. Virgilio ed io ci avviammo per quella via nascosta (nel grembo della terra; è la via che conduce dall’estremità della natural burella alla superficie dell’ emisfero australe) per ritornare nel mondo luminoso; e senza curarci di interrompere il nostro cammino per riposare, salimmo, egli per primo e io dietro di lui, finché attraverso un foro rotondo vidi la luce degli astri: e attraverso questo foro uscimmo a rivedere il firmamento.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-610620377013779522009-05-12T06:52:00.000-07:002009-05-12T06:53:54.506-07:00CANTO TRENTATREESIMOLa bocca sollevò dal fiero pasto<br />quel peccator, forbendola a’ capelli<br />3 del capo ch’elli avea di retro guasto.<br />Poi cominciò: "Tu vuo’ ch’io rinovelli<br />disperato dolor che ’l cor mi preme<br />6 già pur pensando, pria ch’io ne favelli.<br />Ma se le mie parole esser dien seme<br />che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,<br />9 parlar e lagrimar vedrai insieme.<br />Io non so chi tu se’ né per che modo<br />venuto se’ qua giù; ma fiorentino<br />12 mi sembri veramente quand’io t’odo.<br />Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,<br />e questi è l’arcivescovo Ruggieri:<br />15 or ti dirò perché i son tal vicino.<br />Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri,<br />fidandomi di lui, io fossi preso<br />18 e poscia morto, dir non è mestieri;<br />però quel che non puoi avere inteso,<br />cioè come la morte mia fu cruda,<br />21 udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso.<br />Breve pertugio dentro da la Muda,<br />la qual per me ha ’l titol de la fame,<br />24 e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,<br />m’avea mostrato per lo suo forame<br />più lune già, quand’io feci ’l mal sonno<br />27 che del futuro mi squarciò ’l velame.<br />Questi pareva a me maestro e donno,<br />cacciando il lupo e ’ lupicini al monte<br />30 per che i Pisan veder Lucca non ponno.<br />Con cagne magre, studïose e conte<br />Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi<br />33 s’avea messi dinanzi da la fronte.<br />In picciol corso mi parieno stanchi<br />lo padre e ’ figli, e con l’agute scane<br />36 mi parea lor veder fender li fianchi.<br />Quando fui desto innanzi la dimane,<br />pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli<br />39 ch’eran con meco, e dimandar del pane.<br />Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli<br />pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava;<br />42 e se non piangi, di che pianger suoli?<br />Già eran desti, e l’ora s’appressava<br />che ’l cibo ne solëa essere addotto,<br />45 e per suo sogno ciascun dubitava;<br />e io senti’ chiavar l’uscio di sotto<br />a l’orribile torre; ond’io guardai<br />48 nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto.<br />Io non piangëa, sì dentro impetrai:<br />piangevan elli; e Anselmuccio mio<br />51 disse: "Tu guardi sì, padre! che hai?".<br />Perciò non lacrimai né rispuos’io<br />tutto quel giorno né la notte appresso,<br />54 infin che l’altro sol nel mondo uscìo.<br />Come un poco di raggio si fu messo<br />nel doloroso carcere, e io scorsi<br />57 per quattro visi il mio aspetto stesso,<br />ambo le man per lo dolor mi morsi;<br />ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia<br />60 di manicar, di sùbito levorsi<br />e disser: "Padre, assai ci fia men doglia<br />se tu mangi di noi: tu ne vestisti<br />63 queste misere carni, e tu le spoglia".<br />Queta’mi allor per non farli più tristi;<br />lo dì e l’altro stemmo tutti muti;<br />66 ahi dura terra, perché non t’apristi?<br />Poscia che fummo al quarto dì venuti,<br />Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,<br />69 dicendo: "Padre mio, ché non m’aiuti?".<br />Quivi morì; e come tu mi vedi,<br />vid’io cascar li tre ad uno ad uno<br />72 tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi,<br />già cieco, a brancolar sovra ciascuno,<br />e due dì li chiamai, poi che fur morti.<br />75 Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno".<br />Quand’ebbe detto ciò, con li occhi torti<br />riprese ’l teschio misero co’ denti,<br />78 che furo a l’osso, come d’un can, forti.<br />Ahi Pisa, vituperio de le genti<br />del bel paese là dove ’l sì suona,<br />81 poi che i vicini a te punir son lenti,<br />muovasi la Capraia e la Gorgona,<br />e faccian siepe ad Arno in su la foce,<br />84 sì ch’elli annieghi in te ogne persona!<br />Ché se ’l conte Ugolino aveva voce<br />d’aver tradita te de le castella,<br />87 non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.<br />Innocenti facea l’età novella,<br />novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata<br />90 e li altri due che ’l canto suso appella.<br />Noi passammo oltre, là ’ve la gelata<br />ruvidamente un’altra gente fascia,<br />93 non volta in giù, ma tutta riversata.<br />Lo pianto stesso lì pianger non lascia,<br />e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo,<br />96 si volge in entro a far crescer l’ambascia;<br />ché le lagrime prime fanno groppo,<br />e sì come visiere di cristallo,<br />99 rïempion sotto ’l ciglio tutto il coppo.<br />E avvegna che, sì come d’un callo,<br />per la freddura ciascun sentimento<br />102 cessato avesse del mio viso stallo,<br />già mi parea sentire alquanto vento;<br />per ch’io: "Maestro mio, questo chi move?<br />105 non è qua giù ogne vapore spento?".<br />Ond’elli a me: "Avaccio sarai dove<br />di ciò ti farà l’occhio la risposta,<br />108 veggendo la cagion che ’l fiato piove".<br />E un de’ tristi de la fredda crosta<br />gridò a noi: "O anime crudeli<br />111 tanto che data v’è l’ultima posta,<br />levatemi dal viso i duri veli,<br />sì ch’ïo sfoghi ’l duol che ’l cor m’impregna,<br />114 un poco, pria che ’l pianto si raggeli".<br />Per ch’io a lui: "Se vuo’ ch’i’ ti sovvegna,<br />dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo,<br />117 al fondo de la ghiaccia ir mi convegna".<br />Rispuose adunque: "I’ son frate Alberigo;<br />i’ son quel da le frutta del mal orto,<br />120 che qui riprendo dattero per figo".<br />"Oh!", diss’io lui, "or se’ tu ancor morto?".<br />Ed elli a me: "Come ’l mio corpo stea<br />123 nel mondo sù, nulla scïenza porto.<br />Cotal vantaggio ha questa Tolomea,<br />che spesse volte l’anima ci cade<br />126 innanzi ch’Atropòs mossa le dea.<br />E perché tu più volentier mi rade<br />le ’nvetrïate lagrime dal volto,<br />129 sappie che, tosto che l’anima trade<br />come fec’ïo, il corpo suo l’è tolto<br />da un demonio, che poscia il governa<br />132 mentre che ’l tempo suo tutto sia vòlto.<br />Ella ruina in sì fatta cisterna;<br />e forse pare ancor lo corpo suso<br />135 de l’ombra che di qua dietro mi verna.<br />Tu ’l dei saper, se tu vien pur mo giuso:<br />elli è ser Branca Doria, e son più anni<br />138 poscia passati ch’el fu sì racchiuso".<br />"Io credo", diss’io lui, "che tu m’inganni;<br />ché Branca Doria non morì unquanche,<br />141 e mangia e bee e dorme e veste panni".<br />"Nel fosso sù", diss’el, "de’ Malebranche,<br />là dove bolle la tenace pece,<br />144 non era ancor giunto Michel Zanche,<br />che questi lasciò il diavolo in sua vece<br />nel corpo suo, ed un suo prossimano<br />147 che ’l tradimento insieme con lui fece.<br />Ma distendi oggimai in qua la mano;<br />aprimi li occhi". E io non gliel’apersi;<br />150 e cortesia fu lui esser villano.<br />Ahi Genovesi, uomini diversi<br />d’ogne costume e pien d’ogne magagna,<br />153 perché non siete voi del mondo spersi?<br />Ché col peggiore spirto di Romagna<br />trovai di voi un tal, che per sua opra<br />156 in anima in Cocito già si bagna,<br />e in corpo par vivo ancor di sopra.<br /><br />PARAFRASI<br />Quel peccatore sollevò dal pasto feroce la bocca, pulendola con i capelli della testa che egli aveva roso nella parte posteriore. Poi incominciò a dire: "Tu vuoi che io rinnovi un dolore disperato che mi opprime il cuore al solo pensarci, prima che io ne parli. Ma se le mie parole devono essere causa d’infamia per il traditore che io rodo, mi vedrai al tempo stesso parlare e piangere. Non so chi sei né in quale maniera sei arrivato quaggiù; ma quando ti odo parlare mi sembri davvero fiorentino. Devi sapere che fui il conte Ugolino, e questo è l’arcivescovo Ruggieri: adesso ti dirò perché sono per lui un vicino siffatto. Non occorre che io racconti come, avendo fiducia in lui, fui fatto prigioniero e poi ucciso, in conseguenza dei suoi intendimenti malvagi; ma udrai quello che non puoi avere udito, cioè come la mia morte fu crudele, e potrai giudicare se egli non è stato colpevole nei miei riguardi. Una piccola feritoia nel luogo chiuso (dentro dalla muda: muda era chiamato il luogo chiuso dove venivano tenuti gli uccelli nel periodo in cui cambiavano le penne) che a causa mia è soprannominato torre della fame, e nel quale altri devono ancora essere chiusi, mi aveva già mostrato attraverso la sua apertura più lune (erano passati diversi mesi), quando io feci il sogno cattivo che mi svelò il futuro. Costui (l’ arcivescovo Ruggieri) mi sembrava capocaccia e signore degli altri cacciatori, mentre, cacciava il lupo e i suoi piccoli su per il monte (San Giuliano) a causa del quale i Pisani non possono vedere Lucca. Egli aveva messo davanti a sé, sul fronte dello schieramento degli inseguitori, Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi (le tre principali famiglie ghibelline di Pisa) insieme con cagne fameliche (simbolo, secondo il Buti, del popolo minuto, "che comunemente è magro e povero"), sollecite a cacciare ed esperte. Dopo una breve corsa il lupo e i lupicini mi sembravano stanchi, e mi sembrava di vedere lacerati i loro fianchi dalle zanne affilate. Quando fui sveglio prima dei mattino, udii piangere nel sonno i miei figli (Ugolino chiama così anche i suoi nipoti Anselmuccio e Nino), che erano con me, e chiedere del pane. Sei davvero crudele, se fin da questo momento non provi dolore immaginando quello che il mio cuore presagiva a se stesso; e se non piangi, per che cosa sei solito piangere? Erano ormai svegli, e si avvicinava l’ora in cui il cibo soleva esserci portato, e a causa del proprio sogno ciascuno aveva timore; e udii inchiodare la porta inferiore della spaventosa torre; allora guardai negli occhi i miei figli senza pronunciare parola. Io non piangevo, a tal punto l’animo divenne impietrito: piangevano loro; e il mio Anselmuccio disse: "Tu guardi in modo così strano, padre! che hai ?" Perciò non piansi né risposi tutto quel giorno e la notte successiva, finché non spuntò un’altra alba. Non appena un po’ di luce riuscì a penetrare nella cella dolorosa, ed intravidi su quattro volti il mio stesso aspetto, mi morsi entrambe le mani per il dolore; ed essi, credendo che lo facessi per desiderio di mangiare, si alzarono immediatamente in piedi, e dissero: "Padre, sarà per noi un dolore assai minore se tu ti cibi delle nostre membra: tu (generandoci) ci facesti indossare queste carni infelici, tu privacene". Allora mi quietai per non renderli più tristi; rimanemmo in assoluto silenzio quel giorno e il giorno successivo: ahi, terra crudele, perché non ci inghiottisti? Quando giungemmo al quarto giorno, Gaddo si gettò disteso ai miei piedi, dicendo: "Padre, perché non m’ aiuti?" Morì lì; e così come tu vedi me, vidi cadere gli altri tre uno dopo l’altro tra il quinto e il sesto giorno; per cui incominciai, ormai cieco, a brancolare sopra ciascuno di loro, e li chiamai per due giorni, dopo che furono morti: poi, più del dolore, ebbe potere su me il digiuno ". Ciò detto, con gli occhi biechi, afferrò nuovamente il misero cranio coi denti, i quali furono, sull’osso, forti come quelli di un cane. Ahi Pisa, onta dei popoli appartenenti all’Italia (del bel paese là dove ‘1 sì sona: dove la lingua usa come particella affermativa il "sì"), dal momento che le città vicine tardano a punirti, si muovano la Capraia e la Gorgona (due isole del Tirreno, situate in corrispondenza della foce dell’Arno), e formino uno sbarramento allo scorrere dell’Arno nel punto in cui si versa nel mare, in modo che esso sommerga tutti i tuoi abitanti! Poiché se correva voce che il conte Ugolino ti aveva tradita riguardo ai castelli (ceduti a Lucca e a Firenze), non dovevi sottoporre ad un tale supplizio i suoi figli. La giovane età rendeva innocenti, o nuova Tebe (per la ferocia dei delitti in te perpetrati, non meno orribili di quelli compiuti dai discendenti di Cadmo), Uguccione e il Brigata e gli altri due che il mio canto ha menzionato in precedenza. Passammo oltre, là dove il ghiaccio avvolge duramente un’altra moltitudine, non immersa verticalmente, ma tutta quanta supina. Il pianto stesso in quel luogo non consente di piangere, e il dolore che trova sugli occhi un impedimento, rifluisce dentro ad aumentare l’angoscia, poiché le prime lagrime versate formano un nodo (di ghiaccio), e riempiono tutta la cavità dell’occhio sotto le ciglia, come visiere di cristallo. E sebbene a causa del freddo ogni sensibilità avesse abbandonato la dimora del mio volto, così come accade per una parte callosa, mi sembrava già di sentire parecchio vento: per cui dissi: " Maestro, chi lo produce? non è qui inesistente ogni vapore (manca infatti il sole che possa formare e sollevare il vapore per produrre il vento)? " E Virgilio: " Presto sarai nel luogo in cui l’occhio, vedendo la causa (il movimento delle ali di Lucifero) che fa soffiare dall’alto il vento, risponderà alla tua domanda ". Ed uno degli sciagurati immersi nella lastra gelata ci gridò: " Anime a tal punto spietate, che vi è assegnata l’ultima dimora, toglietemi dal volto il ghiaccio, in modo che io possa sfogare un poco (attraverso le lagrime) il dolore che riempie il mio cuore, prima che il pianto geli nuovamente ". Onde io: " Se vuoi che ti aiuti (ti sovvegna), dimmi chi sei, e se non ti libero dall’impedimento (del ghiaccio), possa io scendere fino in fondo a Cocito ". Allora rispose: " Sono frate Alberigo; sono quello delle frutta delittuose, che qui sconto la mia colpa con una pena ancora più grave (il dattero è frutto più prelibato del fico)". " Oh! " gli dissi, " sei già morto? " Ed egli: " In quali condizioni si trovi il mio corpo nel mondo dei vivi, non so. Questa Tolomea ha il privilegio che spesso l’anima cade in essa prima che la morte (nella mitologia Atropos era quella delle tre Parche che recideva il filo della vita) le imprima il movimento. E perché più volentieri tu mi raschi dal volto le lagrime congelate, sappi che non appena l’anima tradisce nel modo usato da me, il suo corpo le è preso da un demonio, il quale poi lo governa finché sia trascorso tutto il tempo assegnatogli per vivere. Essa precipita in questo pozzo (il nono cerchio); e forse è ancora visibile nel mondo il corpo appartenente all’anima che qua dietro a me sverna. Tu lo devi sapere, se soltanto ora scendi nell’inferno: è ser Branca d’Oria, e vari anni sono trascorsi da quando è stato chiuso in tal modo (nel ghiaccio) ". "Credo" gli dissi " che tu m’inganni; poiché Branca d’Oria non è ancora morto, è vivo e sano. " " Nella bolgia" disse " custodita dai Malebranche, dove la pece vischiosa ribolle, non era ancora arrivato Michele Zanche che costui lasciò nel corpo al posto suo un diavolo, ed altrettanto fece un suo parente che compì il tradimento insieme con lui. Ma stendi ormai la mano verso di me; aprimi gli occhi. " E io non glieli apersi; e fu atto nobile essere villano nei suoi confronti. Ahi Genovesi, uomini lontani da ogni buona usanza e pieni d’ogni vizio, perché non siete estirpati dal mondo? Poiché insieme con l’anima più perversa della Romagna (frate Alberigo) trovai un vostro concittadino tale, che a causa delle sue azioni già sta immerso con l’anima nel Cocito, e col corpo appare ancora vivente sulla terra.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-16711394542898412482009-05-12T06:51:00.000-07:002009-05-12T06:52:54.219-07:00CANTO TRENTADUESIMOS’ïo avessi le rime aspre e chiocce,<br />come si converrebbe al tristo buco<br />3 sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce,<br />io premerei di mio concetto il suco<br />più pienamente; ma perch’io non l’abbo,<br />6 non sanza tema a dicer mi conduco;<br />ché non è impresa da pigliare a gabbo<br />discriver fondo a tutto l’universo,<br />9 né da lingua che chiami mamma o babbo.<br />Ma quelle donne aiutino il mio verso<br />ch’aiutaro Anfïone a chiuder Tebe,<br />12 sì che dal fatto il dir non sia diverso.<br />Oh sovra tutte mal creata plebe<br />che stai nel loco onde parlare è duro,<br />15 mei foste state qui pecore o zebe!<br />Come noi fummo giù nel pozzo scuro<br />sotto i piè del gigante assai più bassi,<br />18 e io mirava ancora a l’alto muro,<br />dicere udi’mi: "Guarda come passi:<br />va sì, che tu non calchi con le piante<br />21 le teste de’ fratei miseri lassi".<br />Per ch’io mi volsi, e vidimi davante<br />e sotto i piedi un lago che per gelo<br />24 avea di vetro e non d’acqua sembiante.<br />Non fece al corso suo sì grosso velo<br />di verno la Danoia in Osterlicchi,<br />27 né Tanaï là sotto ’l freddo cielo,<br />com’era quivi; che se Tambernicchi<br />vi fosse sù caduto, o Pietrapana,<br />30 non avria pur da l’orlo fatto cricchi.<br />E come a gracidar si sta la rana<br />col muso fuor de l’acqua, quando sogna<br />33 di spigolar sovente la villana;<br />livide, insin là dove appar vergogna<br />eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia,<br />36 mettendo i denti in nota di cicogna.<br />Ognuna in giù tenea volta la faccia;<br />da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo<br />39 tra lor testimonianza si procaccia.<br />Quand’io m’ebbi dintorno alquanto visto,<br />volsimi a’ piedi, e vidi due sì stretti,<br />42 che ’l pel del capo avieno insieme misto.<br />"Ditemi, voi che sì strignete i petti",<br />diss’io, "chi siete?". E quei piegaro i colli;<br />45 e poi ch’ebber li visi a me eretti,<br />li occhi lor, ch’eran pria pur dentro molli,<br />gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse<br />48 le lagrime tra essi e riserrolli.<br />Con legno legno spranga mai non cinse<br />forte così; ond’ei come due becchi<br />51 cozzaro insieme, tanta ira li vinse.<br />E un ch’avea perduti ambo li orecchi<br />per la freddura, pur col viso in giùe,<br />54 disse: "Perché cotanto in noi ti specchi?<br />Se vuoi saper chi son cotesti due,<br />la valle onde Bisenzo si dichina<br />57 del padre loro Alberto e di lor fue.<br />D’un corpo usciro; e tutta la Caina<br />potrai cercare, e non troverai ombra<br />60 degna più d’esser fitta in gelatina:<br />non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra<br />con esso un colpo per la man d’Artù;<br />63 non Focaccia; non questi che m’ingombra<br />col capo sì, ch’i’ non veggio oltre più,<br />e fu nomato Sassol Mascheroni;<br />66 se tosco se’, ben sai omai chi fu.<br />E perché non mi metti in più sermoni,<br />sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi;<br />69 e aspetto Carlin che mi scagioni".<br />Poscia vid’io mille visi cagnazzi<br />fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,<br />72 e verrà sempre, de’ gelati guazzi.<br />E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo<br />al quale ogne gravezza si rauna,<br />75 e io tremava ne l’etterno rezzo;<br />se voler fu o destino o fortuna,<br />non so; ma, passeggiando tra le teste,<br />78 forte percossi ’l piè nel viso ad una.<br />Piangendo mi sgridò: "Perché mi peste?<br />se tu non vieni a crescer la vendetta<br />81 di Montaperti, perché mi moleste?".<br />E io: "Maestro mio, or qui m’aspetta,<br />sì ch’io esca d’un dubbio per costui;<br />84 poi mi farai, quantunque vorrai, fretta".<br />Lo duca stette, e io dissi a colui<br />che bestemmiava duramente ancora:<br />87 "Qual se’ tu che così rampogni altrui?".<br />"Or tu chi se’ che vai per l’Antenora,<br />percotendo", rispuose, "altrui le gote,<br />90 sì che, se fossi vivo, troppo fora?".<br />"Vivo son io, e caro esser ti puote",<br />fu mia risposta, "se dimandi fama,<br />93 ch’io metta il nome tuo tra l’altre note".<br />Ed elli a me: "Del contrario ho io brama.<br />Lèvati quinci e non mi dar più lagna,<br />96 ché mal sai lusingar per questa lama!".<br />Allor lo presi per la cuticagna,<br />e dissi: "El converrà che tu ti nomi,<br />99 o che capel qui sù non ti rimagna".<br />Ond’elli a me: "Perché tu mi dischiomi,<br />né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti<br />102 se mille fiate in sul capo mi tomi".<br />Io avea già i capelli in mano avvolti,<br />e tratto glien’avea più d’una ciocca,<br />105 latrando lui con li occhi in giù raccolti,<br />quando un altro gridò: "Che hai tu, Bocca?<br />non ti basta sonar con le mascelle,<br />108 se tu non latri? qual diavol ti tocca?".<br />"Omai", diss’io, "non vo’ che più favelle,<br />malvagio traditor; ch’a la tua onta<br />111 io porterò di te vere novelle".<br />"Va via", rispuose, "e ciò che tu vuoi conta;<br />ma non tacer, se tu di qua entro eschi,<br />114 di quel ch’ebbe or così la lingua pronta.<br />El piange qui l’argento de’ Franceschi:<br />"Io vidi", potrai dir, "quel da Duera<br />117 là dove i peccatori stanno freschi".<br />Se fossi domandato "Altri chi v’era?",<br />tu hai dallato quel di Beccheria<br />120 di cui segò Fiorenza la gorgiera.<br />Gianni de’ Soldanier credo che sia<br />più là con Ganellone e Tebaldello,<br />123 ch’aprì Faenza quando si dormia".<br />Noi eravam partiti già da ello,<br />ch’io vidi due ghiacciati in una buca,<br />126 sì che l’un capo a l’altro era cappello;<br />e come ’l pan per fame si manduca,<br />così ’l sovran li denti a l’altro pose<br />129 là ’ve ’l cervel s’aggiugne con la nuca:<br />non altrimenti Tidëo si rose<br />le tempie a Menalippo per disdegno,<br />132 che quei faceva il teschio e l’altre cose.<br />"O tu che mostri per sì bestial segno<br />odio sovra colui che tu ti mangi,<br />135 dimmi ’l perché", diss’io, "per tal convegno,<br />che se tu a ragion di lui ti piangi,<br />sappiendo chi voi siete e la sua pecca,<br />138 nel mondo suso ancora io te ne cangi,<br />se quella con ch’io parlo non si secca".<br /><br />PARAFRASI<br />Se i miei versi fossero aspri e striduli in misura adeguata al malvagio cerchio sopra il quale premono tutte le altre rocce, io esprimerei più compiutamente la sostanza dei mio pensiero; ma dal momento che non dispongo di tali versi, non senza timore mi accingo a parlare; poiché non è un’impresa da prendere alla leggiera descrivere il centro di tutto l’universo (nel sistema tolemaico il centro della terra coincide con il centro dell’universo; esso, nel mondo immaginato da Dante, è occupato da Lucifero, che si trova nel punto centrale dei nono cerchio), né tale da essere espressa da una lingua infantile ma soccorrano il mio poetare le Muse che aiutarono Anfione a cingere Tebe di mura, in modo che le mie parole non si allontanino dalla realtà. O anime più delle altre sciagurate che state nel luogo del quale è arduo parlare, meglio per voi se nel mondo foste state pecore o capre! Non appena fummo in fondo al buio pozzo assai più in basso dei piedi del gigante (poiché la superficie ghiacciata di Cocito è inclinata verso il suo centro e Anteo ha deposto i due pellegrini ad una certa distanza da sé, questi si trovano in un luogo più basso di quello ove il gigante poggia i piedi), e io guardavo ancora l’alta parete (del pozzo), udii dirmi: " Fai attenzione a come cammini; avanza, in modo da non calpestare con i piedi le teste degli infelici fratelli doloranti (di noi, che fummo uomini come te, e quindi siamo tuoi fratelli) ". Perciò mi volsi, e vidi stendersi davanti a me e sotto i miei piedi un lago che sembrava di vetro e non d’acqua. Il Danubio in Austria (la Danoia in Osterlicchi), o il Don sotto il freddo cielo boreale non formano durante l’inverno una crosta di ghiaccio così spessa, sullo scorrere delle loro acque, come quella che si trovava in quel posto; infatti se il monte Tambura, o la Pania della Croce (due montagne delle Alpi Apuane) vi fossero caduti sopra, non avrebbe scricchiolato nemmeno dalla parte dei margine (dove lo spessore del ghiaccio è minore). E come la rana sta a gracidare col muso fuori dell’acqua, nel periodo estivo, quando la contadina sogna spesso di raccogliere il grano, allo stesso modo, livide, le ombre dei dannati erano confitte nel ghiaccio fino al punto nel quale la vergogna si manifesta (solo il viso sporgeva cioè dalla superficie ghiacciata), emettendo, col battere dei denti, un suono simile a quello prodotto dalle cicogne. Ognuna teneva il volto abbassato: in loro il freddo è attestato dalla bocca (attraverso il battere dei denti), e il dolore dagli occhi. Dopo essermi alquanto guardato intorno, rivolsi lo sguardo ai miei piedi, e vidi due così vicini, che avevano i capelli mescolati insieme. " Ditemi, voi che così strettamente siete abbracciati ", dissi, " chi siete? " E quelli alzarono la testa; e dopo che ebbero levato lo sguardo verso di me, i loro occhi, che prima erano bagnati dalle lagrime soltanto all’interno, le lasciarono cadere fino alle labbra, e il gelo le trasformò in ghiaccio fra loro e li strinse l’uno all’altro. Una spranga di ferro non tenne mai così fortemente unito un pezzo di legno ad un altro pezzo di legno; per cui essi come due arieti cozzarono l’uno contro l’altro, tanta fu l’ira che li sopraffece. Ed uno di loro che a causa del freddo aveva perduto entrambi gli orecchi, continuando a tenere il viso abbassato, disse: " Perché ci fissi tanto intensamente ? Se vuoi apprendere chi sono questi due, sappi che la valle attraverso la quale scende il fiume Bisenzio appartenne al loro padre Alberto ed a loro. Furono generati da una medesima madre; e potrai cercare per tutta la Caina, senza trovare un dannato più meritevole di essere confitto nel ghiaccio; non colui del quale, per mano di Artù, il petto e l’ombra furono trafitti da un solo colpo di lancia; non Focaccia; non costui che mi ostruisce la vista con la sua testa, in modo che io non riesco a vedere più in là, ed ebbe nome Sassolo Mascheroni: se sei toscano, sai bene ormai di chi parlo. Focaccia è il soprannome del pistoiese di parte bianca Vanni dei Cancellieri, reo di aver ucciso proditoriamente il cugino Detto dei Cancellieri. E perché tu non mi faccia più oltre parlare, sappi che fui Camicione dei Pazzi; e aspetto Carlino che mi faccia apparire meno colpevole ". Poi vidi un’infinità di volti resi paonazzi dal freddo; per cui sento un brivido, e lo sentirò sempre, al pensiero degli stagni ghiacciati. E mentre avanzavamo in direzione del centro (della terra e dell’universo) verso il quale ogni peso converge, e io tremavo nella gelida ombra eterna, se lo feci deliberatamente o per volontà di Dio o per caso, non so; ma, mentre passeggiavo fra le teste, colpii violentemente col piede una di queste nel volto. Piangendo mi rimproverò: " Perché mi percuoti? se tu non vieni ad accrescere la punizione assegnatami a causa di Montaperti, perché mi tormenti? " Ed io: "Maestro, aspettami ora qui, in modo che io chiarisca un mio dubbio per mezzo di costui; poi mi farai affrettare quanto vorrai ". Virgilio si fermò, e io dissi a quello che continuava ad imprecare aspramente: "Chi sei tu che mi rimproveri in modo così violento? " " Di’ tu piuttosto chi sei che cammini per l’Antenora colpendo " rispose "le guance a me, in modo che, se io fossi vivo, la tua sarebbe un’offesa troppo grave (cioè: saprei vendicarmi)? ". " Son io che sono vivo, e ti può essere gradito " risposi, " se desideri fama, che io registri il tuo nome tra le altre cose che ricorderò. " Ed egli: " Desidero proprio l’opposto; va via di qua e non mi dare più fastidio, perché senza risultato usi le tue lusinghe in questa bassura! " Allora lo afferrai per la collottola, e dissi: " Occorrerà che tu dica il tuo nome, o che nemmeno un capello rimanga sulla tua testa". Per cui egli: "Per il fatto che tu mi strappi i capelli, né ti dirò chi sono, né te lo rivelerò, se anche tu mi cada sulla testa mille volte ". lo avevo già afferrato e attorcigliato i suoi capelli, e gliene avevo strappati più di una ciocca, mentre egli latrava con gli occhi ostinatamente volti in basso, allorché un altro gridò: " Che ti prende, Bocca? non ti basta battere i denti? hai bisogno anche di latrare? quale diavolo ha messo la mano su di te? " " Ormai " dissi " non ho più bisogno che tu parli, perverso traditore; ìnfatti, per aumenta. re la tua vergogna, io porterò notizie vere sul tuo conto. " " Vattene " rispose, " e racconta ciò che vuoi; ma non tralasciare, se potrai uscire di qui, di menzionare colui che poco fa è stato così pronto a parlare. Egli è punito qui per il denaro ricevuto dai Francesi: "Io vidi" potrai dire "quello di Dovera là dove i dannati soffrono il freddo ". Se ti venisse chiesto "Chi altro c’era?", sappi che accanto a te si trova quello dei Beccaria al quale Firenze tagliò il collo. Credo che più in là sì trovi Gianni dei Soldanieri con Gano e Tebaldello, che aprì le porte di Faenza di notte. " Ci eravamo già allontanati da lui, quando vidi in una sola buca sepolti nel ghiaccio due dannati, in modo che la testa dell’uno faceva da cappello a quella dell’altro; e con la stessa avidità con cui l’affamato mangia il pane, così quello che stava di sopra aveva conficcato i denti nell’altro nel punto in cui il cervello si congiunge al midollo spinale: non diversamente Tideo rose per odio il capo di Menalippo, da come quel dannato rodeva il cranio e il cervello. "O tu che manifesti attraverso un atto così bestiale il tuo odio verso colui che stai divorando, dimmene il motivo" dissi, "a questo patto, che se tu giustamente ti duoli di lui, sapendo chi siete e la sua colpa, su nel mondo io ti possa ricompensare, se quella lingua con la quale io parlo non si inaridirà.".berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-39637816022383373282009-05-12T06:50:00.005-07:002009-05-12T06:51:46.009-07:00CANTO TRENTUNESIMOUna medesma lingua pria mi morse,<br />sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,<br />3 e poi la medicina mi riporse;<br />così od’io che solea far la lancia<br />d’Achille e del suo padre esser cagione<br />6 prima di trista e poi di buona mancia.<br />Noi demmo il dosso al misero vallone<br />su per la ripa che ’l cinge dintorno,<br />9 attraversando sanza alcun sermone.<br />Quiv’era men che notte e men che giorno,<br />sì che ’l viso m’andava innanzi poco;<br />12 ma io senti’ sonare un alto corno,<br />tanto ch’avrebbe ogne tuon fatto fioco,<br />che, contra sé la sua via seguitando,<br />15 dirizzò li occhi miei tutti ad un loco.<br />Dopo la dolorosa rotta, quando<br />Carlo Magno perdé la santa gesta,<br />18 non sonò sì terribilmente Orlando.<br />Poco portäi in là volta la testa,<br />che me parve veder molte alte torri;<br />21 ond’io: "Maestro, di’, che terra è questa?".<br />Ed elli a me: "Però che tu trascorri<br />per le tenebre troppo da la lungi,<br />24 avvien che poi nel maginare abborri.<br />Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi,<br />quanto ’l senso s’inganna di lontano;<br />27 però alquanto più te stesso pungi".<br />Poi caramente mi prese per mano<br />e disse: "Pria che noi siamo più avanti,<br />30 acciò che ’l fatto men ti paia strano,<br />sappi che non son torri, ma giganti,<br />e son nel pozzo intorno da la ripa<br />33 da l’umbilico in giuso tutti quanti".<br />Come quando la nebbia si dissipa,<br />lo sguardo a poco a poco raffigura<br />36 ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa,<br />così forando l’aura grossa e scura,<br />più e più appressando ver’ la sponda,<br />39 fuggiemi errore e cresciemi paura;<br />però che, come su la cerchia tonda<br />Montereggion di torri si corona,<br />42 così la proda che ’l pozzo circonda<br />torreggiavan di mezza la persona<br />li orribili giganti, cui minaccia<br />45 Giove del cielo ancora quando tuona.<br />E io scorgeva già d’alcun la faccia,<br />le spalle e ’l petto e del ventre gran parte,<br />48 e per le coste giù ambo le braccia.<br />Natura certo, quando lasciò l’arte<br />di sì fatti animali, assai fé bene<br />51 per tòrre tali essecutori a Marte.<br />E s’ella d’elefanti e di balene<br />non si pente, chi guarda sottilmente,<br />54 più giusta e più discreta la ne tene;<br />ché dove l’argomento de la mente<br />s’aggiugne al mal volere e a la possa,<br />57 nessun riparo vi può far la gente.<br />La faccia sua mi parea lunga e grossa<br />come la pina di San Pietro a Roma,<br />60 e a sua proporzione eran l’altre ossa;<br />sì che la ripa, ch’era perizoma<br />dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto<br />63 di sovra, che di giugnere a la chioma<br />tre Frison s’averien dato mal vanto;<br />però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi<br />66 dal loco in giù dov’omo affibbia ’l manto.<br />"Raphél maì amècche zabì almi",<br />cominciò a gridar la fiera bocca,<br />69 cui non si convenia più dolci salmi.<br />E ’l duca mio ver’ lui: "Anima sciocca,<br />tienti col corno, e con quel ti disfoga<br />72 quand’ira o altra passïon ti tocca!<br />Cércati al collo, e troverai la soga<br />che ’l tien legato, o anima confusa,<br />75 e vedi lui che ’l gran petto ti doga".<br />Poi disse a me: "Elli stessi s’accusa;<br />questi è Nembrotto per lo cui mal coto<br />78 pur un linguaggio nel mondo non s’usa.<br />Lasciànlo stare e non parliamo a vòto;<br />ché così è a lui ciascun linguaggio<br />81 come ’l suo ad altrui, ch’a nullo è noto".<br />Facemmo adunque più lungo vïaggio,<br />vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro,<br />84 trovammo l’altro assai più fero e maggio.<br />A cigner lui qual che fosse ’l maestro,<br />non so io dir, ma el tenea soccinto<br />87 dinanzi l’altro e dietro il braccio destro<br />d’una catena che ’l tenea avvinto<br />dal collo in giù, sì che ’n su lo scoperto<br />90 si ravvolgëa infino al giro quinto.<br />"Questo superbo volle esser esperto<br />di sua potenza contra ’l sommo Giove",<br />93 disse ’l mio duca, "ond’elli ha cotal merto.<br />Fïalte ha nome, e fece le gran prove<br />quando i giganti fer paura a’ dèi;<br />96 le braccia ch’el menò, già mai non move".<br />E io a lui: "S’esser puote, io vorrei<br />che de lo smisurato Brïareo<br />99 esperïenza avesser li occhi miei".<br />Ond’ei rispuose: "Tu vedrai Anteo<br />presso di qui che parla ed è disciolto,<br />102 che ne porrà nel fondo d’ogne reo.<br />Quel che tu vuo’ veder, più là è molto<br />ed è legato e fatto come questo,<br />105 salvo che più feroce par nel volto".<br />Non fu tremoto già tanto rubesto,<br />che scotesse una torre così forte,<br />108 come Fïalte a scuotersi fu presto.<br />Allor temett’io più che mai la morte,<br />e non v’era mestier più che la dotta,<br />111 s’io non avessi viste le ritorte.<br />Noi procedemmo più avante allotta,<br />e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,<br />114 sanza la testa, uscia fuor de la grotta.<br />"O tu che ne la fortunata valle<br />che fece Scipion di gloria reda,<br />117 quand’Anibàl co’ suoi diede le spalle,<br />recasti già mille leon per preda,<br />e che, se fossi stato a l’alta guerra<br />120 de’ tuoi fratelli, ancor par che si creda<br />ch’avrebber vinto i figli de la terra:<br />mettine giù, e non ten vegna schifo,<br />123 dove Cocito la freddura serra.<br />Non ci fare ire a Tizio né a Tifo:<br />questi può dar di quel che qui si brama;<br />126 però ti china e non torcer lo grifo.<br />Ancor ti può nel mondo render fama,<br />ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta<br />129 se ’nnanzi tempo grazia a sé nol chiama".<br />Così disse ’l maestro; e quelli in fretta<br />le man distese, e prese ’l duca mio,<br />132 ond’Ercule sentì già grande stretta.<br />Virgilio, quando prender si sentio,<br />disse a me: "Fatti qua, sì ch’io ti prenda";<br />135 poi fece sì ch’un fascio era elli e io.<br />Qual pare a riguardar la Carisenda<br />sotto ’l chinato, quando un nuvol vada<br />138 sovr’essa sì, ched ella incontro penda:<br />tal parve Antëo a me che stava a bada<br />di vederlo chinare, e fu tal ora<br />141 ch’i’ avrei voluto ir per altra strada.<br />Ma lievemente al fondo che divora<br />Lucifero con Giuda, ci sposò;<br />144 né, sì chinato, lì fece dimora,<br />e come albero in nave si levò.<br /><br />PARAFRASI<br />Una stessa lingua (quella di Virgilio) dapprima mi rimproverò, in modo da farmi arrossire, e poi mi ridiede conforto: così sento dIre che la lancia di Achille e di Peleo soleva essere causa in un primo tempo di una offerta dolorosa e in un secondo tempo di una offerta buona. Noi voltammo le spalle alla decima bolgia lungo !’argine che la circonda, attraversandolo senza parlare. Qui era meno buio ché di notte e meno chiaro che di giorno, così che la mia vista si spingeva avanti di poco; ma udii un corno dal suono così fragoroso, che avrebbe fatto sembrare debole qualunque tuono, il quale suono, continuando a percorrere il suo cammino, fece rivolgere attentamente la mia vista verso un unico punto in direzione opposta a quella da cui proveniva. Dopo la grave disfatta, quando Carlo Magno perdette i paladini della fede, non suonò in modo così terribile Orlando. Avevo per poco tempo tenuto la testa volta in quella direzione, allorché mi sembrò di scorgere numerose alte torri; per cui dissi: "Maestro, dimmi, che città è questa? " E Virgilio a me: " Poiché tu ti spingi con lo sguardo attraverso il buio troppo da lontano, accade poi che tu confonda nel raffigurarti ciò che vedi. Tu vedrai bene, se arriverai in quel luogo, quanto il senso (della vista) possa errare da lontano; perciò sprona maggiormente te stesso". Poi mi prese affettuosamente per mano, e disse: " Prima che noi giungiamo più innanzi, affinché la cosa ti appaia meno sorprendente, devi sapere che non sono torri, bensì giganti, e che stanno tutti nel pozzo lungo la sua parete circolare dall’ombelico in giù ". Come quando la nebbia si dissolve, l’occhio gradatamente distingue quello che nasconde il vapore che rende densa l’aria, così, penetrando con lo sguardo nell’aria spessa e buia, a mano a mano che mi avvicinavo all’orlo del pozzo, si dileguava il mio errore e aumentava la mia paura; poiché come il castello di Montereggioni è cinto di torri nella cerchia delle mura che lo circondano, così la sponda che gira intorno al pozzo soverchiavano come torri con metà del loro corpo i mostruosi giganti, che Giove sembra ancora minacciare col tuono dal cielo. E io già di uno di costoro intravedevo il viso, le spalle e il petto e gran parte del ventre, e le due braccia abbandonate lungo i fianchi. Certamente la natura, quando smise di produrre simili esseri viventi, fece cosa molto buona, perché sottrasse a Marte (il dio della guerra) tali esecutori (delle sue volontà). E se la natura non si pente degli elefanti e delle balene. chi riflette con attenzione, la giudica per questo più giusta e più assennata; poiché nei casi in cui lo strumento della ragione si aggiunge alla volontà di nuocere e alla forza fisica, gli uomini non possono opporre alcuna difesa. La faccia di quel gigante mi sembrava lunga, e grossa come la pigna di San Pietro in Roma (questa figura di bronzo ai tempi di Dante si trovava nell’atrio di San Pietro; oggi invece è all’interno del Vaticano, nel cortile detto della, Pigna), e le altre membra erano proporzionate ad essa; così che la sponda, che gli serviva da veste dalla metà del corpo in giù, lasciava vedere tanto della parte superiore del suo corpo, che di arrivargli ai capelli tre abitanti della Frisia (rinomati per la loro alta statura) difficilmente avrebbero potuto vantarsi; poiché ne scorgevo trenta palmi (poco più di sette metri) abbondanti dal collo in giù. "Raphél may améch zabi almì" cominciò a gridare la mostruosa bocca, alla quale non si addicevano discorsi più gradevoli. E Virgilio, rivolgendosi a lui: " Spirito sciocco, accontentati del corno, e sfogati con quello quando ti prende l’ira o un’altra passione! Cerca intorno al tuo collo, e troverai la cinghia che lo tiene legato, o anima ottenebrata, e guardalo come attraversa il tuo petto possente ". Poi mi disse: " Da solo rivela chi egli sia; costui è Nembrot per il cui empio pensiero nel mondo non si usa più un unico linguaggio. Lasciamolo stare e non parliamo inutilmente; perché per lui ogni linguaggio è tale (così: cioè incomprensibile) come per altri è il suo, che non è conosciuto da nessuno. Percorremmo dunque un più lungo cammino, diretti verso sinistra; ed a un tiro di balestra incontrammo l’altro (gigante) molto più crudele nell’aspetto e più grande. Chi fosse l’artefice che lo legò, non so dire, ma egli aveva piegato davanti il braccio sinistro e dietro il braccio destro per mezzo di una catena che lo teneva legato dal collo in giù, in modo che essa gli si avvolgeva intorno per cinque giri nella parte visibile del corpo. "Questo superbo volle sperimentare la sua forza contro l’altissimo Giove " disse Virgilio, " per cui ha una simile ricompensa. Il suo nome è Fialte, e mostrò la sua grande forza al tempo in cui i giganti fecero paura agli dei: ora non muove. più le braccia che egli mosse. " E io a lui: "Se fosse possibile, vorrei che i miei occhi vedessero l’ immane Briareo", Per cui Virgilio rispose: " Tu vedrai qui vicino Anteo, che sa esprimersi e non è legato, il quale ci deporrà sul fondo dell’inferno. Quello che tu vuoi vedere é molto più distante, ed è incatenato e ha la stessa corporatura di Fialte, tranne che appare più terribile nel volto ". Mai vi fu terremoto tanto violento, che scuotesse una torre con lo stesso impeto con il quale fu pronto a scuotersi Fialte. Allora più che mai ebbi paura della morte, e non vi sarebbe stato bisogno d’altro oltre la paura (perché io morissi), se non avessi veduto le catene. Allora proseguimmo nel nostro cammino, e giungemmo presso Anteo, che sovrastava la parete rocciosa di oltre sei metri, se non si teneva conto della testa. "O tu che nella fortunosa valle che fece Scipione erede di gloria, quando Annibale fu volto in fuga col suo esercito, portasti un giorno innumerevoli leoni catturati, e che se avessi preso parte alla grande guerra dei tuoi fratelli, ancora vi è chi potrebbe credere che avrebbero vinto i giganti (i figli della terra), deponici, e non sdegnare di farlo, dove il freddo congela le acque di Cocito. Non ci fare andare né da Tizio né da Tifo (il primo di questi due giganti fu fulminato da Apollo per aver tentato di sedurre Latona, il secondo da Giove): il mio compagno può darti ciò che nell’inferno è desiderato (la fama tra i vivi); perciò abbassati, e non volgere altrove il viso. Egli ti può ancora dare, gloria nel mondo. poiché egli vive, e attende ancora di vivere a lungo se la grazia divina non lo chiama a sé prima dei tempo. " Così parlò Virgilio; e Anteo stese sollecito le mani, di cui Ercole aveva sentito una volta la stretta poderosa, e afferrò la mia guida. Virgilio, quando si sentì afferrare, mi disse: "Avvicinati, così che io possa prenderti"; poi fece in modo che egli ed io formassimo un solo fascio. Come appare la Garisenda (la minore delle due famose torri di Bologna) quando la si guarda dalla parte in cui è inclinata, allorché una nuvola passa sopra ad essa, in direzione contraria alla sua pendenza (sì, che ella incontro penda: sembra allora che la nuvola sia ferma e la torre stia per piombare a terra), così apparve Anteo a me che facevo attenzione per vederlo nell’atto del suo piegarsi, e fu un momento tale che avrei voluto andare per un’altra strada. Ma dolcemente ci depose sul fondo che imprigiona Lucifero e Giuda; né, così chinato, lì indugiò, ma si levò diritto come in una nave l’ albero.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-27729565328607789522009-05-12T06:50:00.003-07:002009-05-12T06:50:48.225-07:00CANTO TRENTESIMONel tempo che Iunone era crucciata<br />per Semelè contra ’l sangue tebano,<br />3 come mostrò una e altra fïata,<br />Atamante divenne tanto insano,<br />che veggendo la moglie con due figli<br />6 andar carcata da ciascuna mano,<br />gridò: "Tendiam le reti, sì ch’io pigli<br />la leonessa e ’ leoncini al varco";<br />9 e poi distese i dispietati artigli,<br />prendendo l’un ch’avea nome Learco,<br />e rotollo e percosselo ad un sasso;<br />12 e quella s’annegò con l’altro carco.<br />E quando la fortuna volse in basso<br />l’altezza de’ Troian che tutto ardiva,<br />15 sì che ’nsieme col regno il re fu casso,<br />Ecuba trista, misera e cattiva,<br />poscia che vide Polissena morta,<br />18 e del suo Polidoro in su la riva<br />del mar si fu la dolorosa accorta,<br />forsennata latrò sì come cane;<br />21 tanto il dolor le fé la mente torta.<br />Ma né di Tebe furie né troiane<br />si vider mäi in alcun tanto crude,<br />24 non punger bestie, nonché membra umane,<br />quant’io vidi in due ombre smorte e nude,<br />che mordendo correvan di quel modo<br />27 che ’l porco quando del porcil si schiude.<br />L’una giunse a Capocchio, e in sul nodo<br />del collo l’assannò, sì che, tirando,<br />30 grattar li fece il ventre al fondo sodo.<br />E l’Aretin che rimase, tremando<br />mi disse: "Quel folletto è Gianni Schicchi,<br />33 e va rabbioso altrui così conciando".<br />"Oh!", diss’io lui, "se l’altro non ti ficchi<br />li denti a dosso, non ti sia fatica<br />36 a dir chi è, pria che di qui si spicchi".<br />Ed elli a me: "Quell’è l’anima antica<br />di Mirra scellerata, che divenne<br />39 al padre, fuor del dritto amore, amica.<br />Questa a peccar con esso così venne,<br />falsificando sé in altrui forma,<br />42 come l’altro che là sen va, sostenne,<br />per guadagnar la donna de la torma,<br />falsificare in sé Buoso Donati,<br />45 testando e dando al testamento norma".<br />E poi che i due rabbiosi fuor passati<br />sovra cu’ io avea l’occhio tenuto,<br />48 rivolsilo a guardar li altri mal nati.<br />Io vidi un, fatto a guisa di lëuto,<br />pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia<br />51 tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto.<br />La grave idropesì, che sì dispaia<br />le membra con l’omor che mal converte,<br />54 che ’l viso non risponde a la ventraia,<br />faceva lui tener le labbra aperte<br />come l’etico fa, che per la sete<br />57 l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte.<br />"O voi che sanz’alcuna pena siete,<br />e non so io perché, nel mondo gramo",<br />60 diss’elli a noi, "guardate e attendete<br />a la miseria del maestro Adamo;<br />io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli,<br />63 e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo.<br />Li ruscelletti che d’i verdi colli<br />del Casentin discendon giuso in Arno,<br />66 faccendo i lor canali freddi e molli,<br />sempre mi stanno innanzi, e non indarno,<br />ché l’imagine lor vie più m’asciuga<br />69 che ’l male ond’io nel volto mi discarno.<br />La rigida giustizia che mi fruga<br />tragge cagion del loco ov’io peccai<br />72 a metter più li miei sospiri in fuga.<br />Ivi è Romena, là dov’io falsai<br />la lega suggellata del Batista;<br />75 per ch’io il corpo sù arso lasciai.<br />Ma s’io vedessi qui l’anima trista<br />di Guido o d’Alessandro o di lor frate,<br />78 per Fonte Branda non darei la vista.<br />Dentro c’è l’una già, se l’arrabbiate<br />ombre che vanno intorno dicon vero;<br />81 ma che mi val, c’ho le membra legate?<br />S’io fossi pur di tanto ancor leggero<br />ch’i’ potessi in cent’anni andare un’oncia,<br />84 io sarei messo già per lo sentiero,<br />cercando lui tra questa gente sconcia,<br />con tutto ch’ella volge undici miglia,<br />87 e men d’un mezzo di traverso non ci ha.<br />Io son per lor tra sì fatta famiglia;<br />e’ m’indussero a batter li fiorini<br />90 ch’avevan tre carati di mondiglia".<br />E io a lui: "Chi son li due tapini<br />che fumman come man bagnate ’l verno,<br />93 giacendo stretti a’ tuoi destri confini?".<br />"Qui li trovai - e poi volta non dierno - ",<br />rispuose, "quando piovvi in questo greppo,<br />96 e non credo che dieno in sempiterno.<br />L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo;<br />l’altr’è ’l falso Sinon greco di Troia:<br />99 per febbre aguta gittan tanto leppo".<br />E l’un di lor, che si recò a noia<br />forse d’esser nomato sì oscuro,<br />102 col pugno li percosse l’epa croia.<br />Quella sonò come fosse un tamburo;<br />e mastro Adamo li percosse il volto<br />105 col braccio suo, che non parve men duro,<br />dicendo a lui: "Ancor che mi sia tolto<br />lo muover per le membra che son gravi,<br />108 ho io il braccio a tal mestiere sciolto".<br />Ond’ei rispuose: "Quando tu andavi<br />al fuoco, non l’avei tu così presto;<br />111 ma sì e più l’avei quando coniavi".<br />E l’idropico: "Tu di’ ver di questo:<br />ma tu non fosti sì ver testimonio<br />114 là ’ve del ver fosti a Troia richesto".<br />"S’io dissi falso, e tu falsasti il conio",<br />disse Sinon; "e son qui per un fallo,<br />117 e tu per più ch’alcun altro demonio!".<br />"Ricorditi, spergiuro, del cavallo",<br />rispuose quel ch’avëa infiata l’epa;<br />120 "e sieti reo che tutto il mondo sallo!".<br />"E te sia rea la sete onde ti crepa",<br />disse ’l Greco, "la lingua, e l’acqua marcia<br />123 che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa!".<br />Allora il monetier: "Così si squarcia<br />la bocca tua per tuo mal come suole;<br />126 ché, s’i’ ho sete e omor mi rinfarcia,<br />tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole,<br />e per leccar lo specchio di Narcisso,<br />129 non vorresti a ’nvitar molte parole".<br />Ad ascoltarli er’io del tutto fisso,<br />quando ’l maestro mi disse: "Or pur mira,<br />132 che per poco che teco non mi risso!".<br />Quand’io ’l senti’ a me parlar con ira,<br />volsimi verso lui con tal vergogna,<br />135 ch’ancor per la memoria mi si gira.<br />Qual è colui che suo dannaggio sogna,<br />che sognando desidera sognare,<br />138 sì che quel ch’è, come non fosse, agogna,<br />tal mi fec’io, non possendo parlare,<br />che disïava scusarmi, e scusava<br />141 me tuttavia, e nol mi credea fare.<br />"Maggior difetto men vergogna lava",<br />disse ’l maestro, "che ’l tuo non è stato;<br />144 però d’ogne trestizia ti disgrava.<br />E fa ragion ch’io ti sia sempre allato,<br />se più avvien che fortuna t’accoglia<br />147 dove sien genti in simigliante piato:<br />ché voler ciò udire è bassa voglia".<br /><br />PARAFRASI<br />Nel tempo in cui Giunone era adirata a causa di Semele contro la stirpe tebana, come dimostrò più volte, Atamante impazzì a tal punto che, vedendo la moglie camminare con i due figli in braccio, gridò. " Tendiamo le reti, così ch’io possa catturare mentre passa la leonessa e i suoi leoncini "; poi protese i crudeli artigli, afferrando il figlio che si chiamava Learco, e lo roteò per l’aria e lo scagliò con forza contro una roccia;. e la madre si gettò in mare, annegando con l’altro figlio che portava in braccio. E quando la fortuna abbatté la superbia dei Troiani che osava ogni cosa, di modo che il re (Priamo) fu distrutto col suo regno, Ecuba addolorata, infelice e prigioniera, dopo che vide Polissena morta, e del corpo del suo Polidoro sulla riva del mare (in Tracia, dove Polidoro era stato ucciso dal re Polinestore) piena di angoscia si accorse, fuor di senno latrò come un cane; a tal punto il dolore le sconvolse la mente. Ma non si videro mai furie tebane o troiane slanciarsi con tanta crudeltà contro qualcuno, né colpire animali, né tanto meno esseri umani. come io vidi slanciarsi due anime pallide e nude, che, dando morsi, correvano come fa il maiale quando esce fuori dal porcile, L’una raggiunse Capocchio, e l’azzannò alla nuca, così che, trascinandolo per terra, gli fece grattare il ventre sul duro terreno. E l’Aretino, che restò lì, tremante di paura, mi disse. "Quello spiritello è Gianni Schicchi, e va rabbiosamente riducendo in questo stato gli altri". " Oh! " gli dissi, " augurandoti che quell’altro spiritello non ti addenti, non ti dispiaccia dirmi chi esso sia prima che si allontani di qui " Mi rispose: " Quello è l’antico spirito della sciagurata Mirra, che diventò contro ogni lecito amore la amante del padre. Costei giunse a peccare con quello, mutando le proprie sembianze in quelle di un’altra, così come Gianni Schicchi che là cammina, osò, per prendersi la cavalla migliore della mandria, fingersi Buoso Donati, facendo testamento e dando a questo testamento valore, legale ". E dopo che i due furenti sui quali avevo soffermato lo sguardo, passarono oltre, rivolsi l’attenzione agli altri sventurati. Ne vidi uno, simile a un liuto, se soltanto avesse avuto l’ inguine separato dalle gambe. La pesante idropisia, la quale deforma a tal punto le membra a causa degli umori naturali che non riesce ad assimilare, che la faccia non é proporzionata al ventre, gli faceva tenere le labbra aperte come fa il tisico, che per la sete rivolta un labbro verso il mento e l’altro verso l’alto. " O voi che vi trovate nel mondo del dolore senza alcuna pena, e non ne conosco la ragione ", ci disse quello, " osservate e fate attenzione all’infelicità del maestro Adamo: io ebbi, da vivo, tutto ciò che desiderai, e ora misero me! ardentemente desidero una sola goccia di acqua. i piccoli ruscelli che dai verdi colli del Casentino scendono giù nell’Arno, rendendo freschi e umidi i loro alvei, mi sono sempre davanti agli occhi, e non invano, poiché il ricordo che ho di essi m’inaridisce ben più che il male a causa del quale mi assottiglio nel volto. L’inflessibile, giustizia che mi tormenta trae motivo dal luogo dove io peccai per farmi emettere più frequenti sospiri. Lì si trova Romena, dove falsificai la moneta che porta impressa l’immagine di San Giovanni Battista (il fiorino di Firenze); per questo abbandonai sulla terra il mio corpo bruciato. Ma se mi fosse concesso di vedere qui l’anima malvagia di Guido (Guido Il dei conti Guidi) o di Alessandro o dei loro fratello (Aghinolfo o Ildebrandino), non cambierei tale vista con (tutta l’acqua di) fonte Branda (la celebre fontana senese o, secondo alcuni, una fonte nei pressi di Romena). In questa bolgia si trova già una (di queste anime), se gli spiriti rabbiosi che s’aggirano qui intorno dicono la verità; ma a che mi giova, dal momento che non posso muovermi ? Se io fossi ancora agile soltanto quanto basta per percorrere un’oncia (circa due centimetri e mezzo) in cent’anni, mi sarei messo gia in cammino, cercandolo in questa moltitudine deforme, nonostante che la bolgia abbia una circonferenza di undici miglia, e non sia larga meno di mezzo miglio. Per causa loro mi trovo in tale compagnia: essi mi costrinsero a coniare i fiorini che avevano tre carati di metallo vile. " E io a lui: "Chi sono i due infelici che fumano come d’inverno una mano bagnata, giacendo accostati l’uno all’altro alla tua destra? " " Li trovai qui " rispose, " quando caddi in questo precipizio, e da allora non si sono più mossi, né credo che si muoveranno mai più. Una di quelle anime è la bugiarda che accusò Giuseppe; l’altra è il menzognero Sinone, il greco che ingannò i Troiani: emanano tanto puzzo di untume bruciato a causa della febbre ardente. " E uno di loro, che s’ebbe a male forse d’essere menzionato con tanto disonore, gli colpì col pugno il teso ventre. Quello risuonò come fosse stato un tamburo; e maestro Adamo gli colpì la faccia col suo braccio, che non sembrò meno duro (del pugno di Sinone), dicendogli: " Anche se non posso muovermi a causa delle membra che sono pesanti, ho il braccio agile per colpire ". Allora l’altro rispose: "Quando tu .andavi al rogo, non l’avevi tanto pronto (cioè: eri legato): ma così pronto e anche di più l’avevi quando coniavi le monete false ". E l’idropico: " In ciò tu dici il vero; ma non fosti altrettanto verace testimonio quando a Troia ti chiesero la verità (a proposito del cavallo di legno) ". " Se io dissi il falso, ebbene tu hai falsificato il denaro " disse Sinone; " e se io sono qui per una sola colpa, tu, invece (ti trovi qui) per aver commesso più colpe (ogni fiorino, da te falsificato, è una colpa) che qualsiasi altro dannato! " "Ricordati, o spergiuro, del cavallo " rispose quello che aveva la pancia gonfia; " e ti sia motivo d’amarezza che tutti lo sappiano! " " E a te sia motivo d’amarezza la sete che ti screpola la lingua " disse il greco " e gli umori putridi che gonfiano il tuo ventre a tal punto da trasformarlo in una siepe che t’impedisce la vista! " E quello delle monete. " In modo non diverso ti si lacera la bocca a causa della tua malattia (che ti costringe a tenerla spalancata), come al solito; poiché se io ho sete e l’idropisia mi gonfia, tu hai il bruciore e il mai di testa; e per leccare lo specchio in cui Narciso affogò (cioè l’acqua; Narciso è il mitico giovane che si invaghì della propria immagine riflessa in uno stagno e che, volendo afferrarla, annegò), non chiederesti di essere invitato con molte parole ". Ero tutto intento ad ascoltarli, quando Virgilio mi disse: " Continua pure a guardare! manca poco infatti che io non venga a lite con te ". Allorché udii che mi parlava con ira, mi volsi verso di lui con tale vergogna, che ancora ne serbo un vivo ricordo. Non diversamente da chi sogna di ricevere un danno, il quale mentre sogna desidera che il suo sia soltanto un sogno, per cui aspira a ciò che è (il sogno, che è reale, in quanto sta realmente sognando), come se non fosse, mi comportai, non essendo capace di parlare, io che desideravo scusarmi, e di fatto mi scusavo (proprio per il fatto che la vergogna mi impediva di esprimermi), e non ne ero consapevole. "Una vergogna minore (di quella che stai provando) cancella una colpa maggiore di quanto non sia stata la tua" disse Virgilio; " liberati pertanto da ogni afflizione. E fa. conto che io mi trovi sempre al tuo fianco, se mai debba ancora accadere che le circostanze, ti facciano capitare in luoghi dove siano persone impegnate in un tal genere di contesa: poiché è un desiderio meschino voler ascoltare simili alterchi. "berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-43703646419706414472009-05-12T06:48:00.001-07:002009-05-12T06:49:58.577-07:00CANTO VENTINOVESIMOLa molta gente e le diverse piaghe<br />avean le luci mie sì inebrïate,<br />3 che de lo stare a piangere eran vaghe.<br />Ma Virgilio mi disse: "Che pur guate?<br />perché la vista tua pur si soffolge<br />6 là giù tra l’ombre triste smozzicate?<br />Tu non hai fatto sì a l’altre bolge;<br />pensa, se tu annoverar le credi,<br />9 che miglia ventidue la valle volge.<br />E già la luna è sotto i nostri piedi;<br />lo tempo è poco omai che n’è concesso,<br />12 e altro è da veder che tu non vedi".<br />"Se tu avessi", rispuos’io appresso,<br />"atteso a la cagion perch’io guardava,<br />15 forse m’avresti ancor lo star dimesso".<br />Parte sen giva, e io retro li andava,<br />lo duca, già faccendo la risposta,<br />18 e soggiugnendo: "Dentro a quella cava<br />dov’io tenea or li occhi sì a posta,<br />credo ch’un spirto del mio sangue pianga<br />21 la colpa che là giù cotanto costa".<br />Allor disse ’l maestro: "Non si franga<br />lo tuo pensier da qui innanzi sovr’ello.<br />24 Attendi ad altro, ed ei là si rimanga;<br />ch’io vidi lui a piè del ponticello<br />mostrarti e minacciar forte col dito,<br />27 e udi’ ’l nominar Geri del Bello.<br />Tu eri allor sì del tutto impedito<br />sovra colui che già tenne Altaforte,<br />30 che non guardasti in là, sì fu partito".<br />"O duca mio, la vïolenta morte<br />che non li è vendicata ancor", diss’io,<br />33 "per alcun che de l’onta sia consorte,<br />fece lui disdegnoso; ond’el sen gio<br />sanza parlarmi, sì com’ïo estimo:<br />36 e in ciò m’ha el fatto a sé più pio".<br />Così parlammo infino al loco primo<br />che de lo scoglio l’altra valle mostra,<br />39 se più lume vi fosse, tutto ad imo.<br />Quando noi fummo sor l’ultima chiostra<br />di Malebolge, sì che i suoi conversi<br />42 potean parere a la veduta nostra,<br />lamenti saettaron me diversi,<br />che di pietà ferrati avean li strali;<br />45 ond’io li orecchi con le man copersi.<br />Qual dolor fora, se de li spedali,<br />di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre<br />48 e di Maremma e di Sardigna i mali<br />fossero in una fossa tutti ’nsembre,<br />tal era quivi, e tal puzzo n’usciva<br />51 qual suol venir de le marcite membre.<br />Noi discendemmo in su l’ultima riva<br />del lungo scoglio, pur da man sinistra;<br />54 e allor fu la mia vista più viva<br />giù ver’ lo fondo, la ’ve la ministra<br />de l’alto Sire infallibil giustizia<br />57 punisce i falsador che qui registra.<br />Non credo ch’a veder maggior tristizia<br />fosse in Egina il popol tutto infermo,<br />60 quando fu l’aere sì pien di malizia,<br />che li animali, infino al picciol vermo,<br />cascaron tutti, e poi le genti antiche,<br />63 secondo che i poeti hanno per fermo,<br />si ristorar di seme di formiche;<br />ch’era a veder per quella oscura valle<br />66 languir li spirti per diverse biche.<br />Qual sovra ’l ventre e qual sovra le spalle<br />l’un de l’altro giacea, e qual carpone<br />69 si trasmutava per lo tristo calle.<br />Passo passo andavam sanza sermone,<br />guardando e ascoltando li ammalati,<br />72 che non potean levar le lor persone.<br />Io vidi due sedere a sé poggiati,<br />com’a scaldar si poggia tegghia a tegghia,<br />75 dal capo al piè di schianze macolati;<br />e non vidi già mai menare stregghia<br />a ragazzo aspettato dal segnorso,<br />78 né a colui che mal volontier vegghia,<br />come ciascun menava spesso il morso<br />de l’unghie sopra sé per la gran rabbia<br />81 del pizzicor, che non ha più soccorso;<br />e sì traevan giù l’unghie la scabbia,<br />come coltel di scardova le scaglie<br />84 o d’altro pesce che più larghe l’abbia.<br />"O tu che con le dita ti dismaglie",<br />cominciò ’l duca mio a l’un di loro,<br />87 "e che fai d’esse talvolta tanaglie,<br />dinne s’alcun Latino è tra costoro<br />che son quinc’entro, se l’unghia ti basti<br />90 etternalmente a cotesto lavoro".<br />"Latin siam noi, che tu vedi sì guasti<br />qui ambedue", rispuose l’un piangendo;<br />93 "ma tu chi se’ che di noi dimandasti?".<br />E ’l duca disse: "I’ son un che discendo<br />con questo vivo giù di balzo in balzo,<br />96 e di mostrar lo ’nferno a lui intendo".<br />Allor si ruppe lo comun rincalzo;<br />e tremando ciascuno a me si volse<br />99 con altri che l’udiron di rimbalzo.<br />Lo buon maestro a me tutto s’accolse,<br />dicendo: "Dì a lor ciò che tu vuoli";<br />102 e io incominciai, poscia ch’ei volse:<br />"Se la vostra memoria non s’imboli<br />nel primo mondo da l’umane menti,<br />105 ma s’ella viva sotto molti soli,<br />ditemi chi voi siete e di che genti;<br />la vostra sconcia e fastidiosa pena<br />108 di palesarvi a me non vi spaventi".<br />"Io fui d’Arezzo, e Albero da Siena",<br />rispuose l’un, "mi fé mettere al foco;<br />111 ma quel per ch’io mori’ qui non mi mena.<br />Vero è ch’i’ dissi lui, parlando a gioco:<br />"I’ mi saprei levar per l’aere a volo";<br />114 e quei, ch’avea vaghezza e senno poco,<br />volle ch’i’ li mostrassi l’arte; e solo<br />perch’io nol feci Dedalo, mi fece<br />117 ardere a tal che l’avea per figliuolo.<br />Ma ne l’ultima bolgia de le diece<br />me per l’alchìmia che nel mondo usai<br />120 dannò Minòs, a cui fallar non lece".<br />E io dissi al poeta: "Or fu già mai<br />gente sì vana come la sanese?<br />123 Certo non la francesca sì d’assai!".<br />Onde l’altro lebbroso, che m’intese,<br />rispuose al detto mio: "Tra’mene Stricca<br />126 che seppe far le temperate spese,<br />e Niccolò che la costuma ricca<br />del garofano prima discoverse<br />129 ne l’orto dove tal seme s’appicca;<br />e tra’ne la brigata in che disperse<br />Caccia d’Ascian la vigna e la gran fonda,<br />132 e l’Abbagliato suo senno proferse.<br />Ma perché sappi chi sì ti seconda<br />contra i Sanesi, aguzza ver’ me l’occhio,<br />135 sì che la faccia mia ben ti risponda:<br />sì vedrai ch’io son l’ombra di Capocchio,<br />che falsai li metalli con l’alchìmia;<br />138 e te dee ricordar, se ben t’adocchio,<br />com’io fui di natura buona scimia".<br /><br />PARAFRASI<br />Gli innumerevoli peccatori e le mostruose ferite avevano riempito d’orrore a tal punto i miei occhi, che questi erano desiderosi di piangere; ma Virgilio mi disse: " Che cosa scruti con tanta insistenza ? perché il tuo sguardo si posa ancora laggiù in mezzo alle abiette anime mutilate ? Non hai fatto così nelle altre bolge: se tu pretendi di contare le anime, pensa che la bolgia ha una circonferenza di ventidue miglia. E la luna è già sotto di, noi (agli antipodi di Gerusalemme: sono all’incirca le ore tredici): ormai il tempo concessoci è breve (dovendo i due poeti percorrere l’ itinerario infernale in non più di ventiquattro ore ed essendone trascorse diciotto, restano loro soltanto sei ore per concludere il viaggio tra i dannati), e sono da vedere cose diverse da quelle che staì guardando". "Se tu avessi" gli risposi subito io " fatto attenzione al motivo per cui guardavo, forse mi avresti concesso di fermarmi ancora." Intanto Virgilio si avviava, e io lo seguivo. già dandogli la risposta. e soggiungendo: " Dentro quella bolgia dove io poco fa avevo lo sguardo così fisso, credo che uno spirito della mia famiglia sconti con dolore il peccato che laggiù sì paga così atrocemente ". Disse allora Virgilio: " D’ora in poi non pensare più a lui: poni mente ad altre cose, ed egli resti là; giacché io lo vidi alla base del ponticello mentre ti indicava (agli altri dannati), e proferiva aspre minacce agitando il dito, e udii che lo chiamavano Geri del Bello. Tu eri allora così completamente occupato a guardare il signore di Hautefort (colui che già tenne Altaforte: Bertran de Born), che non volgesti lo sguardo in quella direzione, finché quello (Geri) non se ne fu andato ". " O mio signore, la sua morte violenta che non è stata ancora vendicata " dissi " da alcuno che (per vincolo di sangue) sia partecipe dell’ingiuria subìta, lo riempie di sdegno; per cui egli, come io penso, si allontanò senza rivolgermi la parola: proprio per ciò mi ha reso più pietoso verso di lui. " Così discorremmo finché si giunse in quella parte del ponte dalla quale per la prima volta l’altra bolgia sarebbe visibile, se vi fosse più luce, interamente, fino in fondo. Allorché giungemmo sopra l’ultima fossa circolare di Malebolge, così che i dannati, che vi erano dentro potevano mostrarsi alla nostra vista, mi colpirono terribili lamenti, penetranti come frecce dalle punte armate di dolore; per cui mi coprii le orecchie con le mani. Quale sarebbe il dolore, se le malattie degli ospedali della Valdichiana e della Maremma e della Sardegna (tre zone particolarmente paludose e malsane) che si manifestano tra luglio e settembre, fossero riunite insieme in una fossa, tale era il dolore in questo luogo, e da esso emanava un fetore simile a quello che suole diffondersi dalle membra putrefatte. Noi scendemmo dal lungo ponte (l’insieme degli archi di pietra che attraversano Malebolge) sull’ultimo argine, sempre dalla parte sinistra; e allora la mia vista divenne più chiara giù verso il fondo, là dove l’infallibile giustizia esecutrice dei voleri di Dio punisce i falsari che segna sul suo libro mentre sono ancora ìn vita (qui: sulla terra). Non credo che fosse maggiormente triste vedere in Egina tutto il popolo malato, quando l’aria fu così piena di germi pestilenziali, che morirono tutti gli esseri viventi, fino al piccolo verme, dopodiché gli antichi abitanti, secondo quanto i poeti affermano come cosa certa, rinacquero dalla specie delle formiche, di quanto fosse vedere in quella buia valle soffrire le anime ammucchiate in cumuli orribili. Alcuni giacevano sul ventre, altri addossati gli uni alle spalle degli altri, altri ancora si trascinavano carponi lungo il miserevole cammino. Procedevamo lentamente senza parlare, osservando e ascoltando i malati, che non potevano alzarsi in piedi. lo vidi due sedere appoggiati l’uno all’altro, come si mette a scaldare teglia contro teglia, macchiati di croste dalla testa ai piedi; e giammai vidi usare la striglia da un garzone di stalla quando è atteso dal suo padrone, né da colui che sta sveglio malvolentieri (e quindi desidera terminare presto il suo lavoro), con la furia con la quale ognuno di essi si grattava spesso con le unghie per il gran tormento del prurito, che non trovava altro sollievo; e le unghie staccavano le croste, come il coltello raschia le squame della scardova (pesce d’acqua dolce) o di altro pesce che le abbia anche più grandi. " O tu che ti togli le croste (come se fossero le maglie di un’armatura: ti dismaglíe) con le unghie " cominciò a dire Virgilio a uno di loro, " e che talvolta le usi come fossero tenaglie, dicci se tra quelli che sono in questo luogo vi è qualche italiano; così possa l’unghia durarti in eterno per il lavoro che compi. " " Noi, che tu qui vedi ambedue così sfigurati, siamo italiani " rispose uno di loro piangendo; " ma tu chi sei che hai chiesto di noi? " E Virgilio disse: " Sono uno che scende giù di cerchio in cerchio con questo essere vivente, e voglio mostrargli l’inferno ". Allora si staccarono l’uno dall’altro (si ruppe lo comun rincalzo: si ruppe il reciproco appoggio); e ciascuno tremando si rivolse a me con altri che avevano ascoltato indirettamente. Il buon Virgilio si accostò con tutta la persona a me, dicendo: " Chiedi loro ciò che vuoi "; e io cominciai, dal momento che egli lo volle : " Possa il ricordo di voi non dileguarsi in terra dalla memoria degli uomini, ma possa vivere per molti anni, ditemi chi siete e di quali città: la vostra ripugnante e dolorosa pena non vi impedisca, per la paura, di rivelarmi i vostri nomi ". " Io nacqui ad Arezzo, e Albero da Siena " rispose uno " mi fece mandare al rogo; ma la colpa per la quale io morii non è quella che mi conduce in questa bolgia. E’ vero che gli dissi, scherzando: "Io saprei alzarmi in volo per l’ aria"; e quello, che era curioso e stolto, volle che gliene insegnassi la maniera; e solo perché non fecì di lui un Dedalo (il mitico costruttore del Labirinto, che attraversò a volo il Mediterraneo, da Creta alla Sicilia; cfr. canto XVII, versi 109 -111), mi fece bruciare da un tale che lo teneva in conto di figlio (il vescovo di Siena). Ma nell’ultima delle dieci bolge, per la sofisticazione dei metalli (alchimia) che praticai in terra, mi condannò Minosse, a cui non è possibile sbaglìare. " E dissi a Virgilio: "Vi fu mai gente così fatua come la senese? Di certo non lo è tanto nemmeno quella francese! " Allora l’altro lebbroso, che mi udì, rispose alle mie parole: " Escludi Stricca che seppe spendere con moderazione, e Niccolò che per primo introdusse la costosa usanza del garofano nel giardino, dove tale seme attecchisce (cioè in Siena); ed escludi la brigata facendo parte della quale Caccia d’Asciano dilapidò i vigneti e i grandi boschi, e l’Abbagliato dimostrò il suo senno. Ma affinché tu sappia chi è a tal punto d’accordo con te contro i Senesi, aguzza la vista verso di me, in modo che il mio viso ti si mostri chiaramente: così t’accorgerai che io sono l’anima di Capocchio, che per mezzo dell’alchimia falsificai i metalli: e ti devi ricordare, se ti riconosco bene, come io fui esperto imitatore della natura ".berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-54132689998508527072009-05-12T06:47:00.000-07:002009-05-12T06:48:53.777-07:00CANTO VENTOTTOETTESIMOChi poria mai pur con parole sciolte<br />dicer del sangue e de le piaghe a pieno<br />3 ch’i’ ora vidi, per narrar più volte?<br />Ogne lingua per certo verria meno<br />per lo nostro sermone e per la mente<br />6 c’hanno a tanto comprender poco seno.<br />S’el s’aunasse ancor tutta la gente<br />che già, in su la fortunata terra<br />9 di Puglia, fu del suo sangue dolente<br />per li Troiani e per la lunga guerra<br />che de l’anella fé sì alte spoglie,<br />12 come Livio scrïve, che non erra,<br />con quella che sentio di colpi doglie<br />per contastare a Ruberto Guiscardo;<br />15 e l’altra il cui ossame ancor s’accoglie<br />a Ceperan, là dove fu bugiardo<br />ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo,<br />18 dove sanz’arme vinse il vecchio Alardo;<br />e qual forato suo membro e qual mozzo<br />mostrasse, d’aequar sarebbe nulla<br />21 il modo de la nona bolgia sozzo.<br />Già veggia, per mezzul perdere o lulla,<br />com’io vidi un, così non si pertugia,<br />24 rotto dal mento infin dove si trulla.<br />Tra le gambe pendevan le minugia;<br />la corata pareva e ’l tristo sacco<br />27 che merda fa di quel che si trangugia.<br />Mentre che tutto in lui veder m’attacco,<br />guardommi e con le man s’aperse il petto,<br />30 dicendo: "Or vedi com’io mi dilacco!<br />vedi come storpiato è Mäometto!<br />Dinanzi a me sen va piangendo Alì,<br />33 fesso nel volto dal mento al ciuffetto.<br />E tutti li altri che tu vedi qui,<br />seminator di scandalo e di scisma<br />36 fuor vivi, e però son fessi così.<br />Un diavolo è qua dietro che n’accisma<br />sì crudelmente, al taglio de la spada<br />39 rimettendo ciascun di questa risma,<br />quand’avem volta la dolente strada;<br />però che le ferite son richiuse<br />42 prima ch’altri dinanzi li rivada.<br />Ma tu chi se’ che ’n su lo scoglio muse,<br />forse per indugiar d’ire a la pena<br />45 ch’è giudicata in su le tue accuse?".<br />"Né morte ’l giunse ancor, né colpa ’l mena",<br />rispuose ’l mio maestro, "a tormentarlo;<br />48 ma per dar lui esperïenza piena,<br />a me, che morto son, convien menarlo<br />per lo ’nferno qua giù di giro in giro;<br />51 e quest’è ver così com’io ti parlo".<br />Più fuor di cento che, quando l’udiro,<br />s’arrestaron nel fosso a riguardarmi<br />54 per maraviglia, oblïando il martiro.<br />"Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi,<br />tu che forse vedra’ il sole in breve,<br />57 s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,<br />sì di vivanda, che stretta di neve<br />non rechi la vittoria al Noarese,<br />60 ch’altrimenti acquistar non saria leve".<br />Poi che l’un piè per girsene sospese,<br />Mäometto mi disse esta parola;<br />63 indi a partirsi in terra lo distese.<br />Un altro, che forata avea la gola<br />e tronco ’l naso infin sotto le ciglia,<br />66 e non avea mai ch’una orecchia sola,<br />ristato a riguardar per maraviglia<br />con li altri, innanzi a li altri aprì la canna,<br />69 ch’era di fuor d’ogni parte vermiglia,<br />e disse: "O tu cui colpa non condanna<br />e cu’ io vidi su in terra latina,<br />72 se troppa simiglianza non m’inganna,<br />rimembriti di Pier da Medicina,<br />se mai torni a veder lo dolce piano<br />75 che da Vercelli a Marcabò dichina.<br />E fa saper a’ due miglior da Fano,<br />a messer Guido e anco ad Angiolello,<br />78 che, se l’antiveder qui non è vano,<br />gittati saran fuor di lor vasello<br />e mazzerati presso a la Cattolica<br />81 per tradimento d’un tiranno fello.<br />Tra l’isola di Cipri e di Maiolica<br />non vide mai sì gran fallo Nettuno,<br />84 non da pirate, non da gente argolica.<br />Quel traditor che vede pur con l’uno,<br />e tien la terra che tale qui meco<br />87 vorrebbe di vedere esser digiuno,<br />farà venirli a parlamento seco;<br />poi farà sì, ch’al vento di Focara<br />90 non sarà lor mestier voto né preco".<br />E io a lui: "Dimostrami e dichiara,<br />se vuo’ ch’i’ porti sù di te novella,<br />93 chi è colui da la veduta amara".<br />Allor puose la mano a la mascella<br />d’un suo compagno e la bocca li aperse,<br />96 gridando: "Questi è desso, e non favella.<br />Questi, scacciato, il dubitar sommerse<br />in Cesare, affermando che ’l fornito<br />99 sempre con danno l’attender sofferse".<br />Oh quanto mi pareva sbigottito<br />con la lingua tagliata ne la strozza<br />102 Curïo, ch’a dir fu così ardito!<br />E un ch’avea l’una e l’altra man mozza,<br />levando i moncherin per l’aura fosca,<br />105 sì che ’l sangue facea la faccia sozza,<br />gridò: "Ricordera’ti anche del Mosca,<br />che disse, lasso!, "Capo ha cosa fatta",<br />108 che fu mal seme per la gente tosca".<br />E io li aggiunsi: "E morte di tua schiatta";<br />per ch’elli, accumulando duol con duolo,<br />111 sen gio come persona trista e matta.<br />Ma io rimasi a riguardar lo stuolo,<br />e vidi cosa ch’io avrei paura,<br />114 sanza più prova, di contarla solo;<br />se non che coscïenza m’assicura,<br />la buona compagnia che l’uom francheggia<br />117 sotto l’asbergo del sentirsi pura.<br />Io vidi certo, e ancor par ch’io ’l veggia,<br />un busto sanza capo andar sì come<br />120 andavan li altri de la trista greggia;<br />e ’l capo tronco tenea per le chiome,<br />pesol con mano a guisa di lanterna:<br />123 e quel mirava noi e dicea: "Oh me!".<br />Di sé facea a sé stesso lucerna,<br />ed eran due in uno e uno in due;<br />126 com’esser può, quei sa che sì governa.<br />Quando diritto al piè del ponte fue,<br />levò ’l braccio alto con tutta la testa<br />129 per appressarne le parole sue,<br />che fuoro: "Or vedi la pena molesta,<br />tu che, spirando, vai veggendo i morti:<br />132 vedi s’alcuna è grande come questa.<br />E perché tu di me novella porti,<br />sappi ch’i’ son Bertram dal Bornio, quelli<br />135 che diedi al re giovane i ma’ conforti.<br />Io feci il padre e ’l figlio in sé ribelli;<br />Achitofèl non fé più d’Absalone<br />138 e di Davìd coi malvagi punzelli.<br />Perch’io parti’ così giunte persone,<br />partito porto il mio cerebro, lasso!,<br />141 dal suo principio ch’è in questo troncone.<br />Così s’osserva in me lo contrapasso".<br /><br />PARAFRASI<br />Chi mai potrebbe sia pure in prosa parlare compiutamente del sangue e delle ferite che vidi allora, anche se le descrivesse più volte? Certamente ogni lingua sarebbe inadeguata a causa del nostro linguaggio e del nostro intelletto che hanno poca capacità a contenere fatti così straordinari. Se anche si riunisse tutta la gente che un tempo nella fortunosa terra di Puglia si dolse delle sue ferite per opera dei Romani (Troiani: in quanto discendevano da Enea e dai suoi compagni) e a causa del lungo conflitto che fruttò un così ingente bottino di anelli, come narra Livio, il quale non sbaglia,> con quella che provò dolori di ferite riportate nell’opporsi a Roberto Guiscardo, e con l’altra le cui ossa sono tuttora raccolte a Ceprano, là dove ogni pugliese fu traditore, e là presso Tagliacozzo, dove il vecchio Alardo vinse senza far uso delle armi, e ostentasse chi un suo membro trafitto e chi un suo membro mutilato, non sarebbe possibile uguagliare l’aspetto ripugnante della nona bolgia. Una botte, per il fatto che ha perduto la doga mediana o una delle laterali, non si apre certo così, come io vidi (aprirsi) un dannato, squarciato dal mento all’ano : gli intestini gli pendevano tra le gambe; gli si vedevano le interiora (la corata: polmoni, cuore, fegato, milza) e il lurido involucro che trasforma in sterco ciò che si inghiotte. Mentre avidamente fissavo lo sguardo su di lui, mi guardò, e si aperse il petto con le mani, dicendo: " Vedi dunque come mi lacero! vedi come è straziato Maometto! Davanti a me lagrimando cammina Alì, spaccato nel volto dal mento ai capelli. E tutti gli altri che vedi in questo luogo, furono da vivi seminatori di discordia e di scissione, e perciò sono così spaccati. Qui dietro è un diavolo che ci acconcia in modo tanto crudele, sottoponendo di nuovo ciascuno di questa turba al taglio della sua spada, quando abbiamo fatto il giro della bolgia dolorosa; poiché le ferite sono rimarginate prima che ciascuno di noi gli ritorni davanti. Ma chi sei tu che ti trattieni a guardare sul ponte, forse per ritardare di andare al castigo che è assegnato in giudizio in base a ciò di cui tu stesso ti sei accusato (davanti a Minosse; cfr. canto V, versi 7-8) ? " "Né morte ancora lo ha raggiunto, né lo spinge il peccato " rispose Virgilio " a subire la pena; ma per dargli una conoscenza completa delle pene infernali, io, che sono morto, debbo guidarlo quaggiù attraverso l’inferno di cerchio in cerchio: e ciò è vero com’è vero che ti sto parlando. " Furono più di cento le anime che, quando lo intesero, si fermarono nella bolgia a fissarmi dimenticando, per lo stupore. il loro tormento. " Dì dunque, tu che forse vedrai il sole tra poco, a fra Dolcino, se non vuole seguirmi all’inferno fra breve, di provvedersi di vettovaglie, in modo che l’assedio causato dalla neve non consenta al vescovo di Novara quella vittoria, che non sarebbe facile conquistare in altro modo. " Dopo che aveva sollevato uno dei piedi per andarsene, Maornetto mi disse queste parole; quindi lo riappoggiò in terra per allontanarsi. Un altro, che aveva la gola bucata e il naso mozzato fin sotto le ciglia, e non aveva più che un solo orecchio fermatosi a guardare per lo stupore con gli altri, prima degli altri spalancò la gola, che da ogni parte era di fuori insanguinata, e disse: " O tu che nessun peccato condanna e che io conobbi in Italia, se non mi trae in inganno ricordati di Pier da Medicina, se mai torni a vedere la dolce pianura che scende da Vercelli a Marcabò. E informa i due più ragguardevoli cittadini di Fano, messer Guido e anche Angiolello, che se la preveggenza nell’inferno non è errata, saranno gettati fuori della loro nave, e affogati presso Cattolica per il tradimento di uno sleale tiranno. Fra le isole di Cipro e di Maiorca Nettuno non vide mai un misfatto così grande, né da parte di pirati, né da parte di Greci. Quel traditore (Malatestino da Verrucchío, cieco d’un occhio) che vede soltanto con un occhio, e signoreggia la città che uno che è qui con me vorrebbe non aver mai visto, li inviterà a un abboccamento con lui; dopo farà in modo che essi non avranno più bisogno né di voti né di preghiere per scampare dal vento dei monte Focara ". E io a lui: " Mostrami e spiegami, se vuoi che io rechi nel mondo notizie di te, chi è colui al quale è stata dolorosa la vista (di Rimini) ". Allora appoggiò la mano sulla mascella di un suo compagno e gli aprì la bocca, gridando: " E’ proprio lui, e non parla. Costui, esiliato (da Roma), tolse a Cesare ogni esitazione, sostenendo che chi è preparato sempre sopporta con danno l’indugio ". Oh quanto mi sembrava avvilito con la lingua recisa nella gola, Curione, che fu così audace nel parlare! E uno che aveva entrambe le mani tagliate, alzando i moncherini nell’aria tenebrosa, così che il sangue gli imbrattava il volto, urlò: " Ti ricorderai anche del Mosca, che dissi, ahimè!, "Cosa fatta non può disfarsi, parole che furono origine di sventure per i Toscani ". E io replicai: " E rovina della tua stirpe "; per cui egli, aggiungendo dolore a dolore, se ne andò via come una persona esacerbata e fuori di sé. Ma io restai a osservare fissamente la schiera dei dannati, e vidi una cosa, che avrei timore di riferire da solo, senz’altra testimonianza, ma mi rende sicuro la coscienza, che è la valente compagnia che infonde coraggio all’uomo sotto la protezione della sua purezza. Senza alcun dubbio vidi, e mi pare ancora di vederlo, un tronco privo di testa camminare come camminavano gli altri dannati della sciagurata schiera e con la mano teneva sospeso per i capelli il capo mozzato come fosse stato una lanterna; e quello ci guardava, e diceva: " Ohimè! " Con gli occhi della propria testa guidava il suo corpo, ed erano due parti in un corpo e un corpo in due parti: come ciò può avvenire, lo sa Dio che così dispone. Quando si trovò proprio alla base del ponte, levò alto il suo braccio insieme con la testa, per farci giungere meglio le sue parole, che furono: " Osserva dunque la pena angosciosa tu che, vivo, te ne vai guardando i morti: vedi se ce n’è una straziante come la mia. E affinché tu possa recare notizie di me, sappi che io sono Bertran de Born, colui che diede al Re giovane i cattivi consigli. Feci diventare il padre e il figlio nemici tra loro: Achitofel non causò maggior danno ad Assalonne e a Davide con i suoi perfidi incitamenti. Poiché io divisi persone così unite, reco il mio cervello diviso, misero me!, dalla sua orìgine (principio: il midollo spinale) che sta in questo busto.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-28668229101883665212009-05-12T06:46:00.001-07:002009-05-12T06:47:24.609-07:00CANTO VENTISETTESIMOGià era dritta in sù la fiamma e queta<br />per non dir più, e già da noi sen gia<br />3 con la licenza del dolce poeta,<br />quand’un’altra, che dietro a lei venìa,<br />ne fece volger li occhi a la sua cima<br />6 per un confuso suon che fuor n’uscia.<br />Come ’l bue cicilian che mugghiò prima<br />col pianto di colui, e ciò fu dritto,<br />9 che l’avea temperato con sua lima,<br />mugghiava con la voce de l’afflitto,<br />sì che, con tutto che fosse di rame,<br />12 pur el pareva dal dolor trafitto;<br />così, per non aver via né forame<br />dal principio nel foco, in suo linguaggio<br />15 si convertïan le parole grame.<br />Ma poscia ch’ebber colto lor vïaggio<br />su per la punta, dandole quel guizzo<br />18 che dato avea la lingua in lor passaggio,<br />udimmo dire: "O tu a cu’ io drizzo<br />la voce e che parlavi mo lombardo,<br />21 dicendo "Istra ten va, più non t’adizzo",<br />perch’io sia giunto forse alquanto tardo,<br />non t’incresca restare a parlar meco;<br />24 vedi che non incresce a me, e ardo!<br />Se tu pur mo in questo mondo cieco<br />caduto se’ di quella dolce terra<br />27 latina ond’io mia colpa tutta reco,<br />dimmi se Romagnuoli han pace o guerra;<br />ch’io fui d’i monti là intra Orbino<br />30 e ’l giogo di che Tever si diserra".<br />Io era in giuso ancora attento e chino,<br />quando il mio duca mi tentò di costa,<br />33 dicendo: "Parla tu; questi è latino".<br />E io, ch’avea già pronta la risposta,<br />sanza indugio a parlare incominciai:<br />36 "O anima che se’ là giù nascosta,<br />Romagna tua non è, e non fu mai,<br />sanza guerra ne’ cuor de’ suoi tiranni;<br />39 ma ’n palese nessuna or vi lasciai.<br />Ravenna sta come stata è molt’anni:<br />l’aguglia da Polenta la si cova,<br />42 sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni.<br />La terra che fé già la lunga prova<br />e di Franceschi sanguinoso mucchio,<br />45 sotto le branche verdi si ritrova.<br />E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio,<br />che fecer di Montagna il mal governo,<br />48 là dove soglion fan d’i denti succhio.<br />Le città di Lamone e di Santerno<br />conduce il lïoncel dal nido bianco,<br />51 che muta parte da la state al verno.<br />E quella cu’ il Savio bagna il fianco,<br />così com’ella sie’ tra ’l piano e ’l monte<br />54 tra tirannia si vive e stato franco.<br />Ora chi se’, ti priego che ne conte;<br />non esser duro più ch’altri sia stato,<br />57 se ’l nome tuo nel mondo tegna fronte".<br />Poscia che ’l foco alquanto ebbe rugghiato<br />al modo suo, l’aguta punta mosse<br />60 di qua, di là, e poi diè cotal fiato:<br />"S’i’ credesse che mia risposta fosse<br />a persona che mai tornasse al mondo,<br />63 questa fiamma staria sanza più scosse;<br />ma però che già mai di questo fondo<br />non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,<br />66 sanza tema d’infamia ti rispondo.<br />Io fui uom d’arme, e poi fui cordigliero,<br />credendomi, sì cinto, fare ammenda;<br />69 e certo il creder mio venìa intero,<br />se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!,<br />che mi rimise ne le prime colpe;<br />72 e come e quare, voglio che m’intenda.<br />Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe<br />che la madre mi diè, l’opere mie<br />75 non furon leonine, ma di volpe.<br />Li accorgimenti e le coperte vie<br />io seppi tutte, e sì menai lor arte,<br />78 ch’al fine de la terra il suono uscie.<br />Quando mi vidi giunto in quella parte<br />di mia etade ove ciascun dovrebbe<br />81 calar le vele e raccoglier le sarte,<br />ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe,<br />e pentuto e confesso mi rendei;<br />84 ahi miser lasso! e giovato sarebbe.<br />Lo principe d’i novi Farisei,<br />avendo guerra presso a Laterano,<br />87 e non con Saracin né con Giudei,<br />ché ciascun suo nimico era cristiano,<br />e nessun era stato a vincer Acri<br />90 né mercatante in terra di Soldano,<br />né sommo officio né ordini sacri<br />guardò in sé, né in me quel capestro<br />93 che solea fare i suoi cinti più macri.<br />Ma come Costantin chiese Silvestro<br />d’entro Siratti a guerir de la lebbre,<br />96 così mi chiese questi per maestro<br />a guerir de la sua superba febbre;<br />domandommi consiglio, e io tacetti<br />99 perché le sue parole parver ebbre.<br />E’ poi ridisse: "Tuo cuor non sospetti;<br />finor t’assolvo, e tu m’insegna fare<br />102 sì come Penestrino in terra getti.<br />Lo ciel poss’io serrare e diserrare,<br />come tu sai; però son due le chiavi<br />105 che ’l mio antecessor non ebbe care".<br />Allor mi pinser li argomenti gravi<br />là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio,<br />108 e dissi: "Padre, da che tu mi lavi<br />di quel peccato ov’io mo cader deggio,<br />lunga promessa con l’attender corto<br />111 ti farà trïunfar ne l’alto seggio".<br />Francesco venne poi, com’io fu’ morto,<br />per me; ma un d’i neri cherubini<br />114 li disse: "Non portar: non mi far torto.<br />Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini<br />perché diede ’l consiglio frodolente,<br />117 dal quale in qua stato li sono a’ crini;<br />ch’assolver non si può chi non si pente,<br />né pentere e volere insieme puossi<br />120 per la contradizion che nol consente".<br />Oh me dolente! come mi riscossi<br />quando mi prese dicendomi: "Forse<br />123 tu non pensavi ch’io löico fossi!".<br />A Minòs mi portò; e quelli attorse<br />otto volte la coda al dosso duro;<br />126 e poi che per gran rabbia la si morse,<br />disse: "Questi è d’i rei del foco furo";<br />per ch’io là dove vedi son perduto,<br />129 e sì vestito, andando, mi rancuro".<br />Quand’elli ebbe ’l suo dir così compiuto,<br />la fiamma dolorando si partio,<br />132 torcendo e dibattendo ’l corno aguto.<br />Noi passamm’oltre, e io e ’l duca mio,<br />su per lo scoglio infino in su l’altr’arco<br />135 che cuopre ’l fosso in che si paga il fio<br />a quei che scommettendo acquistan carco.<br /><br />PARAFRASI<br />La fiamma si era già raddrizzata e stava ferma perché più non parlava, e già si allontanava da noi col permesso del caro Virgilio, quando un’altra, che sopraggiungeva dietro di lei, ci fece volgere lo sguardo verso la sua punta a causa di un mormorio che da essa proveniva. Come il toro siciliano che muggì per la prima volta, e ciò fu cosa giusta, con il lamento di colui che l’aveva costruito con i suoi arnesi, muggiva con il gemito del martirizzato, tanto che, sebbene fosse fatto di rame, sembrava che lui stesso soffrisse, così, non trovando all’inizio né una via né un’apertura attraverso il fuoco, le parole dolorose si mutavano nel suono di quest’ultimo. Ma dopo che ebbero trovato la loro via verso l’alto attraverso la punta, comunicandole quella vibrazione che la lingua aveva loro impresso mentre passavano, udimmo dire: " O tu al quale rivolgo la parola e che or ora parlavi in dialetto lombardo, dicendo "Adesso vattene; più non ti sprono a parlare", sebbene io sia arrivato forse un po’ tardi, non ti dispiaccia rimanere a parlare con me: vedi che a me non rincresce, eppure brucio! Se tu proprio ora sei precipitato nell’inferno da quella amata terra italiana dalla quale ho portato tutti i miei peccati, dimmi se i Romagnoli sono in pace o in guerra; perché io nacqui nei monti là tra Urbino e il giogo da cui scaturisce il Tevere ". Stavo ancora attento e chinato verso il fondo, allorché Virgilio mi toccò nel fianco (tentò di costa), dicendo: " Parla tu; costui è italiano (latino) ". Ed io, che ero già preparato a rispondere, presi a parlare senza indugio: " O anima che sei celata laggiù, la tua Romagna non è, e non è mai stata, in pace nel cuore dei suoi signori; ma ora non vi lasciai alcun conflitto manifesto. Ravenna si trova nella condizione in cui è stata per molti anni: l’aquila dei da Polenta se la custodisce, in modo da coprire con le ali anche Cervia. La città (la terra: Forlì) che già sostenne il lungo assedio e fece una strage di Francesi. è ora sotto il dominio degli artigli verdi (degli Ordelaffi). E il vecchio Malatesta da Verrucchio e suo figlio, che fecero strazio di Montagna, là (a Rimini e nelle terre vicine) dove sono soliti farlo usano i denti a mo’ di succhiello. Le città bagnate dal Lamone (Faenza) e dal Santerno (Imola) sono governate dal piccolo leone in campo bianco, che cambia partito da una stagione all’altra. E Cesena che è bagnata dal Savio, così com’è sistemata tra la pianura e l’ Appennino, vive tra la tirannide e la libertà. Ora ti prego di raccontarci chi sei: non essere restio a parlare più che non lo sia stato io, se vuoi che il tuo nome abbia nel mondo una fama duratura ". Dopo che la fiamma ebbe alquanto rumoreggiato com’era solita fare, mosse la cima aguzza di qua e di là, e poi pronunciò tali parole : " Se io pensassi che la mia risposta fosse data a una persona che prima o poi tornasse sulla terra, questa fiamma sarebbe silenziosa; ma poiché da questo abisso mai alcuno ritornò vivo, se è vero ciò che mi si dice, ti rispondo senza timore d’essere coperto d’infamia. Fui guerriero, e poi frate francescano, ritenendo che, cinto da quel cordiglio, avrei riparato (alle mie colpe); e sicuramente ciò che io credevo si sarebbe avverato del tutto, se non fosse stato per il papa, che mal gliene incolga!, che mi ece ricadere nei peccati di prima; e voglio che tu ascolti in qual modo e perché. Finché fui il principio informativo (forma lui: in quanto anima, nel significato solito della Scolastica) del corpo che mi diede mia madre (cioè: finché fui vivo), le mie azioni non furono il risultato della forza, ma dell’astuzia (di volpe). Io conobbi tutte le astuzie e tutti i raggiri, e li usai così bene, che la loro fama raggiunse i confini del mondo. Quando mi accorsi di essere arrivato a quell’età (la vecchiaia) in cui ognuno dovrebbe ammainare le vele e radunare le sartie, quello che prima mi era piaciuto, allora mi dispiacque, e dopo essermi pentito e confessato mi feci frate; ah povero infelice!, e ciò mi avrebbe giovato. Il capo (Bonifacio VIII) dei Farisei dei nostri giorni, conducendo una guerra vicino a Roma, e non contro Saraceni né contro Ebrei (cioè contro i nemici della religione cattolica), giacché ogni suo avversario era cristiano, ma nessuno era stato a conquistare Acri né a commerciare nel paese dei Sultano, non rispettò in sé né l’elevato incarico né gli ordini sacerdotali, né in me quel cordone francescano che rendeva un tempo più magro chi se ne cingeva. Ma come l’imperatore Costantino mandò a chiamare dalla grotta dei monte Soratte papa Silvestro I per essere guarito dalla lebbra, così quegli mi fece andare da lui come medico per guarirlo dalla febbre della sua superbia: mi chiese consiglio, e io tacqui, perché le sue parole mi sembrarono dissennate. Egli poi disse: "Non aver timore; t’assolvo fin d’ora, e tu indicami il modo di abbattere Palestrina. E’ in mio potere chiudere e aprire. come tu ben sai, il regno dei cieli; perciò due sono le chiavi che il mio predecessore (Celestino V, che rinunciò al trono pontificio) rifiutò ". Allora i fondati argomenti mi spinsero là dove il silenzio mi parve la risoluzione peggiore, per cui dissi: "Padre, giacché tu mi assolvi da quella colpa in cui ora devo cadere, promettere molto e mantenere poco ti faranno trionfare (sui tuoi nemici) nell’eccelso tuo trono". Giunse poi San Francesco, non appena fui spirato, per prendere la mia anima; ma uno dei diavoli gli disse: "Non portarla via con te: non farmi torto. Egli deve venire nell’inferno tra i miei sudditi perché ha dato il consiglio ingannatore, dopo il quale sono stato sempre pronto ad afferrarlo per i capelli; non si può infatti assolvere chi non si pente. né è possibile pentirsi e peccare al tempo stesso perché è cosa contraddittoria ". Oh misero me! come trasalii quando mi ghermì dicendomi: "Forse non pensavi che io fossi logico!" Mi condusse da Minosse; e quello avvolse otto volte la coda intorno al suo duro dorso; e dopo essersela morsicata per la grande ira, disse: " Costui è uno dei peccatori che il fuoco sottrae alla vista"; perciò io sono dannato nel luogo che vedi, e così avvolto dalle fiamme, camminando, mi cruccio. " Quando ebbe così finito di parlare, la fiamma si allontanò gemendo di dolore, torcendo e dibattendo la punta aguzza. Noi proseguimmo oltre, sia io che Virgilio, su per il ponte fino al successivo che copre la bolgia nella quale è scontata la pena da parte di coloro che, suscitando discordia, si gravano del peso della colpa.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-62930354238483786382009-05-12T06:45:00.001-07:002009-05-12T06:46:21.021-07:00CANTO VENTISEIESIMOGodi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,<br />che per mare e per terra batti l’ali,<br />3 e per lo ’nferno tuo nome si spande!<br />Tra li ladron trovai cinque cotali<br />tuoi cittadini onde mi ven vergogna,<br />6 e tu in grande orranza non ne sali.<br />Ma se presso al mattin del ver si sogna,<br />tu sentirai, di qua da picciol tempo,<br />9 di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.<br />E se già fosse, non saria per tempo.<br />Così foss’ei, da che pur esser dee!<br />12 ché più mi graverà, com’ più m’attempo.<br />Noi ci partimmo, e su per le scalee<br />che n’avean fatto iborni a scender pria,<br />15 rimontò ’l duca mio e trasse mee;<br />e proseguendo la solinga via,<br />tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio<br />18 lo piè sanza la man non si spedia.<br />Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio<br />quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,<br />21 e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio,<br />perché non corra che virtù nol guidi;<br />sì che, se stella bona o miglior cosa<br />24 m’ha dato ’l ben, ch’io stesso nol m’invidi.<br />Quante ’l villan ch’al poggio si riposa,<br />nel tempo che colui che ’l mondo schiara<br />27 la faccia sua a noi tien meno ascosa,<br />come la mosca cede a la zanzara,<br />vede lucciole giù per la vallea,<br />30 forse colà dov’e’ vendemmia e ara:<br />di tante fiamme tutta risplendea<br />l’ottava bolgia, sì com’io m’accorsi<br />33 tosto che fui là ’ve ’l fondo parea.<br />E qual colui che si vengiò con li orsi<br />vide ’l carro d’Elia al dipartire,<br />36 quando i cavalli al cielo erti levorsi,<br />che nol potea sì con li occhi seguire,<br />ch’el vedesse altro che la fiamma sola,<br />39 sì come nuvoletta, in sù salire:<br />tal si move ciascuna per la gola<br />del fosso, ché nessuna mostra ’l furto,<br />42 e ogne fiamma un peccatore invola.<br />Io stava sovra ’l ponte a veder surto,<br />sì che s’io non avessi un ronchion preso,<br />45 caduto sarei giù sanz’esser urto.<br />E ’l duca, che mi vide tanto atteso,<br />disse: "Dentro dai fuochi son li spirti;<br />48 catun si fascia di quel ch’elli è inceso".<br />"Maestro mio", rispuos’io, "per udirti<br />son io più certo; ma già m’era avviso<br />51 che così fosse, e già voleva dirti:<br />chi è ’n quel foco che vien sì diviso<br />di sopra, che par surger de la pira<br />54 dov’Eteòcle col fratel fu miso?".<br />Rispuose a me: "Là dentro si martira<br />Ulisse e Dïomede, e così insieme<br />57 a la vendetta vanno come a l’ira;<br />e dentro da la lor fiamma si geme<br />l’agguato del caval che fé la porta<br />60 onde uscì de’ Romani il gentil seme.<br />Piangevisi entro l’arte per che, morta,<br />Deïdamìa ancor si duol d’Achille,<br />63 e del Palladio pena vi si porta".<br />"S’ei posson dentro da quelle faville<br />parlar", diss’io, "maestro, assai ten priego<br />66 e ripriego, che ’l priego vaglia mille,<br />che non mi facci de l’attender niego<br />fin che la fiamma cornuta qua vegna;<br />69 vedi che del disio ver’ lei mi piego!".<br />Ed elli a me: "La tua preghiera è degna<br />di molta loda, e io però l’accetto;<br />72 ma fa che la tua lingua si sostegna.<br />Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto<br />ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,<br />75 perch’e’ fuor greci, forse del tuo detto".<br />Poi che la fiamma fu venuta quivi<br />dove parve al mio duca tempo e loco,<br />78 in questa forma lui parlare audivi:<br />"O voi che siete due dentro ad un foco,<br />s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,<br />81 s’io meritai di voi assai o poco<br />quando nel mondo li alti versi scrissi,<br />non vi movete; ma l’un di voi dica<br />84 dove, per lui, perduto a morir gissi".<br />Lo maggior corno de la fiamma antica<br />cominciò a crollarsi mormorando,<br />87 pur come quella cui vento affatica;<br />indi la cima qua e là menando,<br />come fosse la lingua che parlasse,<br />90 gittò voce di fuori, e disse: "Quando<br />mi diparti’ da Circe, che sottrasse<br />me più d’un anno là presso a Gaeta,<br />93 prima che sì Enëa la nomasse,<br />né dolcezza di figlio, né la pieta<br />del vecchio padre, né ’l debito amore<br />96 lo qual dovea Penelopè far lieta,<br />vincer potero dentro a me l’ardore<br />ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto<br />99 e de li vizi umani e del valore;<br />ma misi me per l’alto mare aperto<br />sol con un legno e con quella compagna<br />102 picciola da la qual non fui diserto.<br />L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,<br />fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,<br />105 e l’altre che quel mare intorno bagna.<br />Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi<br />quando venimmo a quella foce stretta<br />108 dov’Ercule segnò li suoi riguardi<br />acciò che l’uom più oltre non si metta;<br />da la man destra mi lasciai Sibilia,<br />111 da l’altra già m’avea lasciata Setta.<br />"O frati", dissi, "che per cento milia<br />perigli siete giunti a l’occidente,<br />114 a questa tanto picciola vigilia<br />d’i nostri sensi ch’è del rimanente<br />non vogliate negar l’esperïenza,<br />117 di retro al sol, del mondo sanza gente.<br />Considerate la vostra semenza:<br />fatti non foste a viver come bruti,<br />120 ma per seguir virtute e canoscenza".<br />Li miei compagni fec’io sì aguti,<br />con questa orazion picciola, al cammino,<br />123 che a pena poscia li avrei ritenuti;<br />e volta nostra poppa nel mattino,<br />de’ remi facemmo ali al folle volo,<br />126 sempre acquistando dal lato mancino.<br />Tutte le stelle già de l’altro polo<br />vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,<br />129 che non surgëa fuor del marin suolo.<br />Cinque volte racceso e tante casso<br />lo lume era di sotto da la luna,<br />132 poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,<br />quando n’apparve una montagna, bruna<br />per la distanza, e parvemi alta tanto<br />135 quanto veduta non avëa alcuna.<br />Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;<br />ché de la nova terra un turbo nacque<br />138 e percosse del legno il primo canto.<br />Tre volte il fé girar con tutte l’acque;<br />a la quarta levar la poppa in suso<br />141 e la prora ire in giù, com’altrui piacque,<br />infin che ’l mar fu sovra noi richiuso".<br /><br />PARAFRASI<br />Gioisci, Firenze, poiché sei così famosa, che voli per mare e per terra, e il tuo nome si diffonde per l’inferno! Tra i ladri incontrai cinque tuoi cittadini di tale condizione che ne sento vergogna, e tu Firenze non ne sali in grande onore. Ma se nelle prime ore del mattino si sogna il vero (si credeva nel Medioevo che i sogni fatti all’alba fossero annunciatori di verità), tu proverai tra breve quello che Prato, per non dire di altri, ti augura. E se ciò fosse già avvenuto, non sarebbe troppo presto: così fosse già avvenuto, dal momento che deve pur accadere! perché sarò più duro da sopportare, quanto più invecchio. C’incamminammo, e Virgilio risalì per la scala formata dalle sporgenze rocciose che prima ci erano servite per scendere, e mi portò con lui; e mentre proseguivamo nella via solitaria, tra le pietre e i massi del ponte il piede non riusciva ad avanzare senza l’aiuto delle mani. Allora mi addolorai, e ora nuovamente mi addoloro allorché rivolgo il pensiero a ciò che vidi, e tengo a freno il mio ingegno più di quello che non sia solito fare, perché non vada troppo senza la guida della virtù, in modo che, se un benefico influsso astrale o la grazia divina mi ha dato il dono dell’ingegno, io stesso non me lo tolga. Quante lucciole il contadino che si riposa sul colle, durante la stagione in cui il sole rimane più a lungo all’orizzonte, allorché alle mosche succedono le zanzare, vede giù per la valle, dove gli sembra di scorgere le sue vigne e i suoi campi, di altrettante fiamme splendeva tutta l’ottava bolgia, così come fui in grado di vedere non appena giunsi al centro del ponte da dove era visibile il fondo. E come colui che si vendicò per mezzo degli orsi vide il carro di Elia nel momento in cui si staccò da terra, quando i cavalli si impennarono verso il cielo, tanto che non lo poteva seguire con gli occhi, in modo da non vedere altro che la sola fiamma salire in alto, come una piccola nuvola. Così nel fondo della bolgia si muove ogni fiamma, poiché nessuna fa vedere quello che essa contiene, e ogni fiamma nasconde un dannato. Stavo sul ponte diritto in piedi per guardare, così che se non mi fossi afferrato a una sporgenza, sarei precipitato anche senza essere urtato. E Virgilio, che mi vide così intento a guardare, disse: " Le anime stanno dentro i fuochi; ciascuna è avvolta dalla fiamma che la brucia ". " Maestro ", risposi, " per il fatto che lo sento dire da te sono più sicuro, ma già pensavo che fosse così, e già volevo domandarti: chi c’è dentro a quella fiamma che avanza così divisa nella parte superiore, che sembra levarsi dal rogo dove Eteocle fu posto col fratello? " Mi rispose: " Dentro a quella fiamma sono tormentati Ulisse e Diomede, e così insieme subiscono la punizione di Dio, come insieme si esposero alla sua ira; e dentro alla loro fiamma si espia l’insidia del cavallo che aprì la porta dalla quale uscì Enea, il nobile progenitore dei Romani. In essa si espia l’astuzia a causa della quale, anche ora che è morta, Deidamia continua a lamentarsi di Achille, e si soffre il castigo a causa del Palladio ". " Se essi possono parlare da dentro quelle fiamme" dissi "maestro, ti prego e torno a pregarti, e possa la mia preghiera valerne mille, che tu non mi impedisca di aspettare, fino a quando quella fiamma a due punte sia giunta qui: guarda come dal desiderio mi chino verso di lei! " E Virgilio a me: " La tua richiesta merita un grande elogio, e io perciò l’approvo: ma fa che la tua lingua si trattenga dal parlare. Lascia parlare me, poiché ho capito ciò che desideri: perché essi, essendo stati Greci, forse eviterebbero di parlare con te ". Dopo che la fiamma giunse nel punto in cui Virgilio ritenne opportuno, io lo udii parlare in questo modo: " O voi che vi trovate in due dentro una sola fiamma, se io ebbi qualche merito nei vostri riguardi, mentre ero in vita, se io l’ebbi grande o piccolo quando in terra scrissi i nobili versi, sostate: e uno di voi racconti dove, per parte sua, smarritosi andò a morire. " La punta più alta dell’antica (da secoli circonda i due dannati) fiamma cominciò a scuotersi rumoreggiando proprio come quella che il vento agita; poi, muovendo di qua e di là la punta, quasi fosse la lingua che parlava, getto fuori la voce, e disse: "Quando mi allontanai da Circe, che mi trattenne per oltre un anno là vicino a Gaeta, prima che Enea la chiamasse così, né la tenerezza per il figlio, né l’affetto riverente per il vecchio padre, né il dovuto amore che doveva rendere felice Penelope, poterono vincere dentro di me l’ardente desiderio che ebbi di conoscere il mondo, e i vizi e le virtù degli uomini: ma mi spinsi per lo sconfinato alto mare solo con una nave, e con quella esigua schiera dalla quale non ero stato abbandonato. Vidi l’una e l’altra sponda fino alla Spagna, fino al Marocco, e alla Sardegna, e alle altre isole bagnate tutt’intorno da quel mare (il Mediterraneo ) . Io e i miei compagni eravamo vecchi e lenti nei nostri movimenti allorché giungemmo a quell’angusto stretto dove Ercole fissò i suoi limiti, affinché l’uomo non si avventuri oltre (Ercole, secondo il mito, piantò le rupi di Calpe e di Abila, l’una sulla sponda europea, l’altra su quella africana, perché, segnando i limiti del mondo esplorabile, nessuno osasse oltrepassarli ): lasciai alla mia destra Siviglia, alla mia sinistra ormai Ceuta (Setta: è l’antica Septa romana, sulla costa africana) mi aveva lasciato. "O fratelli", dissi, "che avete raggiunto il confine occidentale (il mondo finiva, per gli antichi, allo stretto di Gibilterra) attraverso centomila pericoli, a questo così breve tempo che ci rimane da vivere, non vogliate negare la conoscenza, seguendo il corso del sole, del mondo disabitato. Riflettete sulla vostra natura: non foste creati per vivere come bruti, ma per seguire la virtù e il sapere. " Con questo breve discorso resi i miei compagni così desiderosi di proseguire il viaggio, che a stento dopo sarei riuscito a fermarli; e rivolta verso Oriente la poppa della nostra nave, trasformammo i remi in ali per il viaggio temerario, sempre avanzando verso sinistra ( verso sud, ovest). Già la notte ci mostrava tutte le stelle dell’emisfero australe, e (ci mostrava) invece il nostro (emisfero) così basso. che non si alzava al di sopra della superficie del mare. Cinque volte si era accesa e altrettante spenta (erano passati cinque mesi) la luce che la luna mostra nella sua parte inferiore, da quando avevamo iniziato il nostro difficile viaggio, allorché ci apparve una montagna, scura a causa della distanza, e mi sembrò tanto alta come non ne avevo mai veduta alcuna. Noi gioimmo, e subito la nostra gioia si mutò in disperazione: perché dalla terra da poco avvistata sorse un vento vorticoso, che investì la prua della nave. Tre volte la fece girare insieme con le acque circostanti: alla quarta fece levare la poppa in alto e sprofondare la prua, come volle Dio, finché il mare si richiuse sopra di noi ".berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-56156630611028328592009-05-12T06:44:00.001-07:002009-05-12T06:45:15.395-07:00CANTO VENTICINQUESIMOAl fine de le sue parole il ladro<br />le mani alzò con amendue le fiche,<br />3 gridando: "Togli, Dio, ch’a te le squadro!".<br />Da indi in qua mi fuor le serpi amiche,<br />perch’una li s’avvolse allora al collo,<br />6 come dicesse "Non vo’ che più diche";<br />e un’altra a le braccia, e rilegollo,<br />ribadendo sé stessa sì dinanzi,<br />9 che non potea con esse dare un crollo.<br />Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi<br />d’incenerarti sì che più non duri,<br />12 poi che ’n mal fare il seme tuo avanzi?<br />Per tutt’i cerchi de lo ’nferno scuri<br />non vidi spirto in Dio tanto superbo,<br />15 non quel che cadde a Tebe giù da’ muri.<br />El si fuggì che non parlò più verbo;<br />e io vidi un centauro pien di rabbia<br />18 venir chiamando: "Ov’è, ov’è l’acerbo?".<br />Maremma non cred’io che tante n’abbia,<br />quante bisce elli avea su per la groppa<br />21 infin ove comincia nostra labbia.<br />Sovra le spalle, dietro da la coppa,<br />con l’ali aperte li giacea un draco;<br />24 e quello affuoca qualunque s’intoppa.<br />Lo mio maestro disse: "Questi è Caco,<br />che, sotto ’l sasso di monte Aventino,<br />27 di sangue fece spesse volte laco.<br />Non va co’ suoi fratei per un cammino,<br />per lo furto che frodolente fece<br />30 del grande armento ch’elli ebbe a vicino;<br />onde cessar le sue opere biece<br />sotto la mazza d’Ercule, che forse<br />33 gliene diè cento, e non sentì le diece".<br />Mentre che sì parlava, ed el trascorse,<br />e tre spiriti venner sotto noi,<br />36 de’ quali né io né ’l duca mio s’accorse,<br />se non quando gridar: "Chi siete voi?";<br />per che nostra novella si ristette,<br />39 e intendemmo pur ad essi poi.<br />Io non li conoscea; ma ei seguette,<br />come suol seguitar per alcun caso,<br />42 che l’un nomar un altro convenette,<br />dicendo: "Cianfa dove fia rimaso?";<br />per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento,<br />45 mi puosi ’l dito su dal mento al naso.<br />Se tu se’ or, lettore, a creder lento<br />ciò ch’io dirò, non sarà maraviglia,<br />48 ché io che ’l vidi, a pena il mi consento.<br />Com’io tenea levate in lor le ciglia,<br />e un serpente con sei piè si lancia<br />51 dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia.<br />Co’ piè di mezzo li avvinse la pancia,<br />e con li anterïor le braccia prese;<br />54 poi li addentò e l’una e l’altra guancia;<br />li diretani a le cosce distese,<br />e miseli la coda tra ’mbedue<br />57 e dietro per le ren sù la ritese.<br />Ellera abbarbicata mai non fue<br />ad alber sì, come l’orribil fiera<br />60 per l’altrui membra avviticchiò le sue.<br />Poi s’appiccar, come di calda cera<br />fossero stati, e mischiar lor colore,<br />63 né l’un né l’altro già parea quel ch’era:<br />come procede innanzi da l’ardore,<br />per lo papiro suso, un color bruno<br />66 che non è nero ancora e ’l bianco more.<br />Li altri due ’l riguardavano, e ciascuno<br />gridava: "Omè, Agnel, come ti muti!<br />69 Vedi che già non se’ né due né uno".<br />Già eran li due capi un divenuti,<br />quando n’apparver due figure miste<br />72 in una faccia, ov’eran due perduti.<br />Fersi le braccia due di quattro liste;<br />le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso<br />75 divenner membra che non fuor mai viste.<br />Ogne primaio aspetto ivi era casso:<br />due e nessun l’imagine perversa<br />78 parea; e tal sen gio con lento passo.<br />Come ’l ramarro sotto la gran fersa<br />dei dì canicular, cangiando sepe,<br />81 folgore par se la via attraversa,<br />sì pareva, venendo verso l’epe<br />de li altri due, un serpentello acceso,<br />84 livido e nero come gran di pepe;<br />e quella parte onde prima è preso<br />nostro alimento, a l’un di lor trafisse;<br />87 poi cadde giuso innanzi lui disteso.<br />Lo trafitto ’l mirò, ma nulla disse;<br />anzi, co’ piè fermati, sbadigliava<br />90 pur come sonno o febbre l’assalisse.<br />Elli ’l serpente, e quei lui riguardava;<br />l’un per la piaga e l’altro per la bocca<br />93 fummavan forte, e ’l fummo si scontrava.<br />Taccia Lucano ormai là dov’ e’ tocca<br />del misero Sabello e di Nasidio,<br />96 e attenda a udir quel ch’or si scocca.<br />Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio,<br />ché se quello in serpente e quella in fonte<br />99 converte poetando, io non lo ’nvidio;<br />ché due nature mai a fronte a fronte<br />non trasmutò sì ch’amendue le forme<br />102 a cambiar lor matera fosser pronte.<br />Insieme si rispuosero a tai norme,<br />che ’l serpente la coda in forca fesse,<br />105 e ’l feruto ristrinse insieme l’orme.<br />Le gambe con le cosce seco stesse<br />s’appiccar sì, che ’n poco la giuntura<br />108 non facea segno alcun che si paresse.<br />Togliea la coda fessa la figura<br />che si perdeva là, e la sua pelle<br />111 si facea molle, e quella di là dura.<br />Io vidi intrar le braccia per l’ascelle,<br />e i due piè de la fiera, ch’eran corti,<br />114 tanto allungar quanto accorciavan quelle.<br />Poscia li piè di retro, insieme attorti,<br />diventaron lo membro che l’uom cela,<br />117 e ’l misero del suo n’avea due porti.<br />Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela<br />di color novo, e genera ’l pel suso<br />120 per l’una parte e da l’altra il dipela,<br />l’un si levò e l’altro cadde giuso,<br />non torcendo però le lucerne empie,<br />123 sotto le quai ciascun cambiava muso.<br />Quel ch’era dritto, il trasse ver’ le tempie,<br />e di troppa matera ch’in là venne<br />126 uscir li orecchi de le gote scempie;<br />ciò che non corse in dietro e si ritenne<br />di quel soverchio, fé naso a la faccia<br />129 e le labbra ingrossò quanto convenne.<br />Quel che giacëa, il muso innanzi caccia,<br />e li orecchi ritira per la testa<br />132 come face le corna la lumaccia;<br />e la lingua, ch’avëa unita e presta<br />prima a parlar, si fende, e la forcuta<br />135 ne l’altro si richiude; e ’l fummo resta.<br />L’anima ch’era fiera divenuta,<br />suffolando si fugge per la valle,<br />138 e l’altro dietro a lui parlando sputa.<br />Poscia li volse le novelle spalle,<br />e disse a l’altro: "I’ vo’ che Buoso corra,<br />141 com’ho fatt’io, carpon per questo calle".<br />Così vid’io la settima zavorra<br />mutare e trasmutare; e qui mi scusi<br />144 la novità se fior la penna abborra.<br />E avvegna che li occhi miei confusi<br />fossero alquanto e l’animo smagato,<br />147 non poter quei fuggirsi tanto chiusi,<br />ch’i’ non scorgessi ben Puccio Sciancato;<br />ed era quel che sol, di tre compagni<br />150 che venner prima, non era mutato;<br />l’altr’era quel che tu, Gaville, piagni.<br /><br />PARAFRASI<br />Non appena ebbe finito di parlare il ladro levò entrambi i pugni col pollice sporgente fra l’indice e il medio, gridando: " Prendi, Dio, poiché rivolgo a te questo gesto! " Da allora in poi i serpenti mi diventarono cari, poiché uno gli si attorcigliò in quello stesso istante al collo, come per dire "Non voglio che parli oltre", ed un altro alle braccia, e lo legò nuovamente, congiungendo con tale forza capo e coda sul suo davanti, che (il dannato) non poteva con esse fare alcun movimento. Ahi Pistoia, Pistoia, perché non decidi di ridurti in cenere in modo da non esistere più, dal momento che superi nel fare il male i tuoi fondatori ? In nessuno dei tenebrosi cerchi infernali vidi mai un dannato così superbo verso Dio, neppure colui (Capaneo) che precipitò dall’alto delle mura di Tebe. Quello fuggì senza più dire parola; ed io scorsi un centauro gonfio d’ira avanzare gridando: " Dov’è, dov’è quel ribelle ? " Non credo che la Maremma abbia tante serpi, quante quello aveva sulla groppa fin dove cominciano le fattezze umane. Sopra le sue spalle, dietro la nuca, stava un drago con le ali aperte; e questo investiva col fuoco chiunque s’imbatteva in lui, Virgilio disse: " Costui è Caco, il quale nella spelonca sul monte Aventino molte volte fu autore di sanguinose stragi. Non percorre la medesima strada dei suoi simili (posti a guardia del primo girone dei violenti) a causa del furto che compì con l’inganno della grande mandria che ebbe a portata di mano; per questo le sue azioni scellerate ebbero termine sotto la clava di Ercole, il quale probabilmente gli assestò cento colpi, mentre egli non riuscì a sentirne nemmeno dieci ". Mentre diceva queste cose, ecco che Caco passò oltre e tre ombre vennero sotto il luogo in cui ci trovavamo, delle quali né io né Virgilio ci accorgemmo, se non quando gridarono: "Chi siete?": onde il nostro discorrere cessò, e da quel momento in poi facemmo attenzione soltanto a loro. Io non li riconoscevo; ma accadde, come suole accadere casualmente, che uno di loro dovesse fare il nome di un altro, dicendo: "Dove sarà rimasto Cianfa? ": per la qual cosa io, affinché Virgilio prestasse attenzione, gli feci segno di tacere. Se tu ora, lettore, sei restio a credere ciò che dirò, non sarà cosa strana, dal momento che io, che ne fui spettatore, consento a malapena a me stesso di crederlo. Mentre tenevo gli occhi rivolti verso di loro, ecco che un serpente con sei piedi si scaglia contro uno di loro, e aderisce a lui interamente. Con i piedi centrali gli serrò il ventre, e con quelli anteriori gli afferrò le braccia; poi gli morsicò entrambe le guance; stese i piedi posteriori lungo le cosce, e fra queste infilò la coda, e la tese nuovamente su per il suo dorso. Edera non fu mai a tal punto stretta ad un albero, come il mostro spaventoso avvinse le sue membra a quelle dei dannato. Dopo che si fusero insieme come fossero stati di cera calda, e mescolarono i loro colori, né l’uno né l’altro sembrava più quello di prima, come sulla superficie della carta si muove, precedendo la fiamma, un colore scuro che non è ancora nero e non è più bianco. Gli altri due lo osservavano attentamente, e ciascuno gridava: " Ahimè, Agnolo, come, ti trasformi ! Vedi che ormai non sei né due figure né una sola ". Le due teste erano già divenute una sola, allorché ci apparvero due aspetti fusi in un unico volto, nel quale erano due esseri che avevano smarrito la propria fisionomia. Dall’ unione di quattro strisce (le braccia dell’uomo ed i piedi anteriori del serpente) ebbero origine le braccia; le cosce, le gambe, il ventre e il petto divennero membra mai vedute prima d’allora. Ogni sembianza precedente era li cancellata: la figura deforme aveva l’aspetto di due cose e di nessuna; e così se ne andò con lenta andatura. Come il ramarro sotto la grande sferza del sole nei giorni della Canicola (dal 21 luglio al 21 agosto), nel passare da una siepe all’altra, sembra un fulmine se attraversa la strada, così appariva, nel dirigersi verso i ventri degli altri due, un piccolo serpente infuriato, scuro e nero come un granello di pepe; e trafisse ad uno di loro quel punto del corpo attraverso il quale, quando siamo nel grembo materno, riceviamo il cibo; poi cadde disteso per terra davanti a quello. Il trafitto lo guardò, ma non disse nulla; anzi, con i piedi immobili, sbadigliava proprio come se fosse preso da sonno o febbre. Egli guardava il serpente, e questo (guardava) lui; l’uno attraverso la ferita, e l’altro attraverso la bocca emettevano un fumo denso, e i due fumi si mescolavano incontrandosi. Più non si vanti Lucano per il passo in cui tratta dell’infelice Sabello e di Nassidio, e ascolti attentamente ciò che ora esce dalla mia fantasia. Più non si vanti Ovidio a proposito di Cadmo e di Aretusa; poiché se nei suoi versi trasforma quello in serpente e quella in fonte, io non lo invidio; mai infatti egli trasformò due esseri posti l’uno di fronte all’altro in modo che le forme di entrambi fossero in grado di scambiarsi la loro materia. (Le due nature) si corrisposero l’una all’altra secondo questa regola, il serpente divise la sua coda in forma di forca, e il trafitto unì insieme i suoi piedi. Le gambe, e nel medesimo tempo le cosce, si fusero insieme a tal punto, che in breve la linea d’unione non mostrava più alcun segno che fosse visibile. La coda divisa prendeva la forma che si perdeva nell’uomo, e la sua pelle diveniva morbida (come quella dell’uomo), mentre quell’altra s’induriva (come quella del serpente). Vidi le braccia ritirarsi attraverso le ascelle, e i due piedi della bestia, che erano corti, allungarsi tanto quanto quelle si accorciavano. Poi i piedi posteriori, attorcigliati l’uno all’altro, si trasformarono nel membro che l’uomo nasconde, e l’ infelice dal suo membro aveva fatto uscire due piedi. Mentre il fumo ricopriva di nuovo colore sia l’uno che l’altro, e faceva spuntare il pelo sul serpente privandone l’uomo, uno si alzò (quello che era serpente) e l’altro (quello che era uomo) piombò a terra, senza che per questo l’uno distogliesse dall’altro gli occhi malvagi, sotto i quali ognuno mutava volto. Quello che era in piedi, ritirò il suo muso verso le tempie, e per l’eccessiva materia che in quella parte della testa si raccolse, vennero fuori dalle gote, che in precedenza ne erano prive, le orecchie: ciò che di quell’eccesso di materia non si ritirò e rimase dov’era, formò il naso per il volto, e ingrossò le labbra quanto fu necessario. Quello che stava disteso a terra, aguzzò il proprio volto, e ritirò le orecchie dentro la testa, come la lumaca fa con le sue corna; e la lingua, che in precedenza aveva avuto tutta d’un pezzo e pronta a parlare, si divise, mentre quella biforcuta nell’altro divenne unita; e il fumo cessò. Lo spirito che si era trasformato in serpente, fuggì sibilando per la bolgia, e l’altro parlando sputò dietro di lui. Quindi gli voltò le spalle formale da poco, e disse all’altro (al ladro che non ha subìto metamorfosi): "Voglio che Buoso corra carponi per questo sentiero, come ho fatto io". Vidi in tal modo i dannati della settima bolgia trasformarsI e scambiarsi le fattezze; e a questo proposito la straordinarietà dell’argomento valga a scusarmi, se il mio scrivere manca un poco di chiarezza. E sebbene i miei occhi fossero alquanto disorientati, e l’animo sgomento, quei due non poterono allontanarsi tanto di nascosto, che io non riuscissi a distinguere chiaramente Puccio Sciancato; ed era il solo, dei tre dannati che prima erano sopraggiuntí insieme, che non aveva subìto trasformazioni: l’altro era quello a causa del quale, tu, Gaville, ti lamenti.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-72609745477336106962009-05-12T06:43:00.001-07:002009-05-12T06:44:12.350-07:00CANTO VENTIQUATRESIMOIn quella parte del giovanetto anno<br />che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra<br />3 e già le notti al mezzo dì sen vanno,<br />quando la brina in su la terra assempra<br />l’imagine di sua sorella bianca,<br />6 ma poco dura a la sua penna tempra,<br />lo villanello a cui la roba manca,<br />si leva, e guarda, e vede la campagna<br />9 biancheggiar tutta; ond’ei si batte l’anca,<br />ritorna in casa, e qua e là si lagna,<br />come ’l tapin che non sa che si faccia;<br />12 poi riede, e la speranza ringavagna,<br />veggendo ’l mondo aver cangiata faccia<br />in poco d’ora, e prende suo vincastro,<br />15 e fuor le pecorelle a pascer caccia.<br />Così mi fece sbigottir lo mastro<br />quand’io li vidi sì turbar la fronte,<br />18 e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro;<br />ché, come noi venimmo al guasto ponte,<br />lo duca a me si volse con quel piglio<br />21 dolce ch’io vidi prima a piè del monte.<br />Le braccia aperse, dopo alcun consiglio<br />eletto seco riguardando prima<br />24 ben la ruina, e diedemi di piglio.<br />E come quei ch’adopera ed estima,<br />che sempre par che ’nnanzi si proveggia,<br />27 così, levando me sù ver’ la cima<br />d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia<br />dicendo: "Sovra quella poi t’aggrappa;<br />30 ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia".<br />Non era via da vestito di cappa,<br />ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,<br />33 potavam sù montar di chiappa in chiappa.<br />E se non fosse che da quel precinto<br />più che da l’altro era la costa corta,<br />36 non so di lui, ma io sarei ben vinto.<br />Ma perché Malebolge inver’ la porta<br />del bassissimo pozzo tutta pende,<br />39 lo sito di ciascuna valle porta<br />che l’una costa surge e l’altra scende;<br />noi pur venimmo al fine in su la punta<br />42 onde l’ultima pietra si scoscende.<br />La lena m’era del polmon sì munta<br />quand’io fui sù, ch’i’ non potea più oltre,<br />45 anzi m’assisi ne la prima giunta.<br />"Omai convien che tu così ti spoltre",<br />disse ’l maestro; "ché, seggendo in piuma,<br />48 in fama non si vien, né sotto coltre;<br />sanza la qual chi sua vita consuma,<br />cotal vestigio in terra di sé lascia,<br />51 qual fummo in aere e in acqua la schiuma.<br />E però leva sù; vinci l’ambascia<br />con l’animo che vince ogne battaglia,<br />54 se col suo grave corpo non s’accascia.<br />Più lunga scala convien che si saglia;<br />non basta da costoro esser partito.<br />57 Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia".<br />Leva’mi allor, mostrandomi fornito<br />meglio di lena ch’i’ non mi sentìa,<br />60 e dissi: "Va, ch’i’ son forte e ardito".<br />Su per lo scoglio prendemmo la via,<br />ch’era ronchioso, stretto e malagevole,<br />63 ed erto più assai che quel di pria.<br />Parlando andava per non parer fievole;<br />onde una voce uscì de l’altro fosso,<br />66 a parole formar disconvenevole.<br />Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso<br />fossi de l’arco già che varca quivi;<br />69 ma chi parlava ad ire parea mosso.<br />Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi<br />non poteano ire al fondo per lo scuro;<br />72 per ch’io: "Maestro, fa che tu arrivi<br />da l’altro cinghio e dismontiam lo muro;<br />ché, com’i’ odo quinci e non intendo,<br />75 così giù veggio e neente affiguro".<br />"Altra risposta", disse, "non ti rendo<br />se non lo far; ché la dimanda onesta<br />78 si de’ seguir con l’opera tacendo".<br />Noi discendemmo il ponte da la testa<br />dove s’aggiugne con l’ottava ripa,<br />81 e poi mi fu la bolgia manifesta:<br />e vidivi entro terribile stipa<br />di serpenti, e di sì diversa mena<br />84 che la memoria il sangue ancor mi scipa.<br />Più non si vanti Libia con sua rena;<br />ché se chelidri, iaculi e faree<br />87 produce, e cencri con anfisibena,<br />né tante pestilenzie né sì ree<br />mostrò già mai con tutta l’Etïopia<br />90 né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.<br />Tra questa cruda e tristissima copia<br />corrëan genti nude e spaventate,<br />93 sanza sperar pertugio o elitropia:<br />con serpi le man dietro avean legate;<br />quelle ficcavan per le ren la coda<br />96 e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate.<br />Ed ecco a un ch’era da nostra proda,<br />s’avventò un serpente che ’l trafisse<br />99 là dove ’l collo a le spalle s’annoda.<br />Né O sì tosto mai né I si scrisse,<br />com’el s’accese e arse, e cener tutto<br />102 convenne che cascando divenisse;<br />e poi che fu a terra sì distrutto,<br />la polver si raccolse per sé stessa,<br />105 e ’n quel medesmo ritornò di butto.<br />Così per li gran savi si confessa<br />che la fenice more e poi rinasce,<br />108 quando al cinquecentesimo anno appressa;<br />erba né biado in sua vita non pasce,<br />ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,<br />111 e nardo e mirra son l’ultime fasce.<br />E qual è quel che cade, e non sa como,<br />per forza di demon ch’a terra il tira,<br />114 o d’altra oppilazion che lega l’omo,<br />quando si leva, che ’ntorno si mira<br />tutto smarrito de la grande angoscia<br />117 ch’elli ha sofferta, e guardando sospira:<br />tal era il peccator levato poscia.<br />Oh potenza di Dio, quant’è severa,<br />120 che cotai colpi per vendetta croscia!<br />Lo duca il domandò poi chi ello era;<br />per ch’ei rispuose: "Io piovvi di Toscana,<br />123 poco tempo è, in questa gola fiera.<br />Vita bestial mi piacque e non umana,<br />sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci<br />126 bestia, e Pistoia mi fu degna tana".<br />E ïo al duca: "Dilli che non mucci,<br />e domanda che colpa qua giù ’l pinse;<br />129 ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci".<br />E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse,<br />ma drizzò verso me l’animo e ’l volto,<br />132 e di trista vergogna si dipinse;<br />poi disse: "Più mi duol che tu m’hai colto<br />ne la miseria dove tu mi vedi,<br />135 che quando fui de l’altra vita tolto.<br />Io non posso negar quel che tu chiedi;<br />in giù son messo tanto perch’io fui<br />138 ladro a la sagrestia d’i belli arredi,<br />e falsamente già fu apposto altrui.<br />Ma perché di tal vista tu non godi,<br />141 se mai sarai di fuor da’ luoghi bui,<br />apri li orecchi al mio annunzio, e odi:<br />Pistoia in pria d’i Neri si dimagra;<br />144 poi Fiorenza rinova gente e modi.<br />Tragge Marte vapor di Val di Magra<br />ch’è di torbidi nuvoli involuto;<br />147 e con tempesta impetüosa e agra<br />sovra Campo Picen fia combattuto;<br />ond’ei repente spezzerà la nebbia,<br />150 sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto.<br />E detto l’ho perché doler ti debbia!".<br /><br />PARAFRASI<br />In quel periodo dell’ anno nato da poco in cui il sole rende più caldi i suoi raggi trovandosi nella costellazione dell’Acquario e già le notti si avviano a durare dodici ore, quando la brina riproduce sulla terra l’aspetto della neve, ma la sua penna (con la quale ritrae l’immagine della neve) si spunta rapidamente, il povero contadino al quale mancano le provviste, si alza, e guarda, e vede tutta la campagna imbiancata, per cui si percuote il fianco, rientra in casa, e andando di qua e di là si lamenta, come il misero che non sa cosa fare: poi torna fuori, e riprende la speranza, vedendo che il mondo ha mutato in poco tempo aspetto, e prende il suo bastone, e spinge fuori le pecorelle al pascolo. Nello stesso modo Virgilio mi fece sbigottire quando lo vidi con aspetto così turbato, ed altrettanto rapidamente giunse la medicina al mio spavento, poiché, non appena giungemmo al ponte franato, la mia guida si rivolse a me con quell’atteggiamento affettuoso che io avevo precedentemente veduto ai piedi del colle (canto I, versi 13 e 77). Aprì le braccia, dopo aver preso dentro di sé una decisione e aver osservato prima attentamente la frana, e mi afferrò. E come colui che agisce e valuta, il quale dà sempre l’impressione di pensare prima di agire, in tal modo, mentre mi sollevava verso la sommità di un masso sporgente, cercava con lo sguardo un’altra sporgenza dicendo: " Afferrati poi a quella; ma accertati prima se è abbastanza salda da reggerti ". Quella non era una strada che gli ipocriti, vestiti delle loro pesanti cappe, avrebbero potuto percorrere, poiché a stento noi, egli leggero (perché puro spirito) e io spinto da lui, potevamo salire di appiglio in appiglio; e se non fosse stato per il fatto che su quell’argine più che sull’altro il pendio era breve, non so cosa sarebbe accaduto a Virgilio, ma io senz’altro sarei stato sopraffatto (dalla stanchezza). Ma poiché Malebolge è tutta quanta inclinata verso l’apertura della voragine più bassa (che porta al nono cerchio), la posizione di ogni bolgia comporta che un argine (quello esterno) si eleva maggiormente e l’altro (quello interno) è invece più basso: noi infine giungemmo sulla sommità dalla quale l’ultimo masso (del ponte franato) sporge in fuori. Il fiato a tal punto mi era stato spremuto fuori dai polmoni nel momento in cui raggiunsi la cima, che non potevo più andare avanti, anzi mi sedetti appena arrivato. "Ormai è necessario che tu con fatiche di questo genere ti tolga di dosso la pigrizia" disse Virgilio; " poiché, adagiandosi sui cuscini, o sotto le coperte, non si raggiunge la fama; chi termina la sua vita senza questa, lascia di sé sulla terra una traccia simile a quelle che lasciano il fumo nell’aria e la schiuma nell’acqua. E perciò alzati: vinci l’affanno con la volontà che trionfa di qualsiasi difficoltà, se non si abbatte con il corpo pesante cui è legata. Occorre salire una scala più lunga (dal centro della terra alla vetta dei purgatorio); non è sufficiente che tu ti sia allontanato da questi dannati: se mi capisci, ora fa in modo che la mia esortazione ti sia d’ aiuto." Allora mi alzai, mostrandomi provvisto di forze più di quanto io stesso me ne sentissi, e dissi: " Procedi, poiché sono forte e coraggioso ". Ci incamminammo sul ponte (che varca la settima bolgia), il quale era irto di sporgenze, angusto e difficile da percorrere ed assai più ripido di quello precedente. Procedevo parlando per non apparire stanco; per cui dall’altra bolgia usci una voce, incapace di articolare parole. Non so che cosa disse, sebbene mi trovassi già sulla sommità del ponte che qui fa da valico: ma colui che parlava pareva spinto a camminare. Io ero rivolto verso il basso, ma il mio sguardo, per quanto penetrante, non poteva arrivare fino al fondo (della bolgia) a causa dell’oscurità; perciò dissi: " Maestro, fa in modo di arrivare all’altro argine e scendiamo giù da questo ponte; poiché, come di qui odo senza comprendere, così vedo quello che c’è nel fondo senza distinguere nulla ". " Non ti do altra risposta se non il fare (ciò che tu chiedi) " disse; "poiché occorre soddisfare la richiesta giusta con i fatti, senza parlare. " Discendemmo per il ponte da quella estremità in cui esso si congiunge con l’argine ottavo, e poi la bolgia mi divenne visibile: e in essa vidi uno spaventoso ammasso di serpenti, e di così strano genere, che il ricordarmene mi guasta ancora il sangue. Più non si vanti la Libia con i suoi deserti, poiché se genera chelidri, iaculi e faree, e cencri con anfisibene, mai mise in mostra tanti animali velenosi né così nocivi insieme con tutta l’Etiopia, e con la terra (l’Arabia) che è delimitata dal Mar Rosso. In mezzo a questa feroce e terribile moltitudine correvano schiere nude e atterrite, senza speranza di trovare riparo o elitropia (pietra che si credeva guarisse dal morso dei serpenti e rendesse invisibili): avevano le mani avvinte dietro la schiena con serpenti; questi spingevano la coda e la testa lungo i loro fianchi, e si attorcigliavano sul loro davanti. Ed ecco che contro uno che si trovava dalla parte del nostro argine, si scagliò un serpente che lo trafisse nel punto in cui il collo si congiunge alle spalle. Non si scrisse mai tanto rapidamente né " o " né " i ", come quello prese fuoco e bruciò, e dovette, cadendo, diventare tutto quanto cenere; e dopo che fu così annientato a terra, la cenere si radunò insieme per virtù propria, e si trasformò di colpo nello stesso dannato di prima: allo stesso modo i grandi sapienti affermano che la fenice muore e in un secondo tempo rinasce, allorché si avvicina al suo cinquecentesimo anno: mentre è in vita non si ciba né di erbe né di biada, ma solo di stille d’incenso e di amomo (resina aromatica), e morendo si avvolge nel nardo e nella mirra. E quale è colui (l’epilettico) che cade, e non ne conosce il perché, a causa di un assalto di demoni che lo fa precipitare a terra, o di un altro impedimento che lo paralizza, il quale, quando si rialza, si guarda attorno del tutto disorientato a causa del grande dolore che ha sofferto, e mentre guarda sospira, tale era il peccatore quando si rialzò. Oh quanto è severa la potenza di Dio, la quale per punizione scaglia tali colpi! Virgilio gli chiese poi chi fosse; onde egli rispose: " Io precipitai dalla Toscana, poco tempo fa, in questa bolgia crudele. Trovai di mio gradimento una vita da bestia, non da uomo, degna del bastardo che fui; sono Vanni Fucci, la bestia, e Pistoia fu il mio degno covo ". E io a Virgilio: " Digli di non sgusciar via, e chiedigli quale peccato lo spinse quaggiù; poiché io lo conobbi come uomo sanguinario e rissoso ". E il peccatore, che capì, non esitò, ma rivolse verso di me l’animo e lo sguardo, e arrossì di malvagia vergogna; poi disse: " Provo più dolore per il fatto che tu mi abbia sorpreso nella condizione miseranda nella quale mi vedi, di quello che provai morendo. Non posso ricusarti quello che mi chiedi: sono collocato così in basso perché fui ladro nella sagrestia riccamente addobbata, e il furto fu allora ingiustamente attribuito ad altri. Ma affinché tu non gioisca per avermi veduto in questo stato, se mai uscirai dall’inferno, Marte fa uscire dalla val di Magra un fulmine avviluppato in nuvole cupe; e con travolgente e aspra tempesta si combatterà a Campo Piceno; per cui esso vigorosamente dissiperà le nubi, in modo che ogni Bianco ne sarà colpito. E ho detto ciò perché ti debba far male! "berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-1797567157902754032009-05-12T06:41:00.000-07:002009-05-12T06:43:01.962-07:00CANTO VENTITREESIMOTaciti, soli, sanza compagnia<br />n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,<br />3 come frati minor vanno per via.<br />Vòlt’era in su la favola d’Isopo<br />lo mio pensier per la presente rissa,<br />6 dov’el parlò de la rana e del topo;<br />ché più non si pareggia "mo" e "issa"<br />che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia<br />9 principio e fine con la mente fissa.<br />E come l’un pensier de l’altro scoppia,<br />così nacque di quello un altro poi,<br />12 che la prima paura mi fé doppia.<br />Io pensava così: "Questi per noi<br />sono scherniti con danno e con beffa<br />15 sì fatta, ch’assai credo che lor nòi.<br />Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa,<br />ei ne verranno dietro più crudeli<br />18 che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa".<br />Già mi sentia tutti arricciar li peli<br />de la paura e stava in dietro intento,<br />21 quand’io dissi: "Maestro, se non celi<br />te e me tostamente, i’ ho pavento<br />d’i Malebranche. Noi li avem già dietro;<br />24 io li ’magino sì, che già li sento".<br />E quei: "S’i’ fossi di piombato vetro,<br />l’imagine di fuor tua non trarrei<br />27 più tosto a me, che quella dentro ’mpetro.<br />Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei,<br />con simile atto e con simile faccia,<br />30 sì che d’intrambi un sol consiglio fei.<br />S’elli è che sì la destra costa giaccia,<br />che noi possiam ne l’altra bolgia scendere,<br />33 noi fuggirem l’imaginata caccia".<br />Già non compié di tal consiglio rendere,<br />ch’io li vidi venir con l’ali tese<br />36 non molto lungi, per volerne prendere.<br />Lo duca mio di sùbito mi prese,<br />come la madre ch’al romore è desta<br />39 e vede presso a sé le fiamme accese,<br />che prende il figlio e fugge e non s’arresta,<br />avendo più di lui che di sé cura,<br />42 tanto che solo una camiscia vesta;<br />e giù dal collo de la ripa dura<br />supin si diede a la pendente roccia,<br />45 che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura.<br />Non corse mai sì tosto acqua per doccia<br />a volger ruota di molin terragno,<br />48 quand’ella più verso le pale approccia,<br />come ’l maestro mio per quel vivagno,<br />portandosene me sovra ’l suo petto,<br />51 come suo figlio, non come compagno.<br />A pena fuoro i piè suoi giunti al letto<br />del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle<br />54 sovresso noi; ma non lì era sospetto:<br />ché l’alta provedenza che lor volle<br />porre ministri de la fossa quinta,<br />57 poder di partirs’indi a tutti tolle.<br />Là giù trovammo una gente dipinta<br />che giva intorno assai con lenti passi,<br />60 piangendo e nel sembiante stanca e vinta.<br />Elli avean cappe con cappucci bassi<br />dinanzi a li occhi, fatte de la taglia<br />63 che in Clugnì per li monaci fassi.<br />Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;<br />ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,<br />66 che Federigo le mettea di paglia.<br />Oh in etterno faticoso manto!<br />Noi ci volgemmo ancor pur a man manca<br />69 con loro insieme, intenti al tristo pianto;<br />ma per lo peso quella gente stanca<br />venìa sì pian, che noi eravam nuovi<br />72 di compagnia ad ogne mover d’anca.<br />Per ch’io al duca mio: "Fa che tu trovi<br />alcun ch’al fatto o al nome si conosca,<br />75 e li occhi, sì andando, intorno movi".<br />E un che ’ntese la parola tosca,<br />di retro a noi gridò: "Tenete i piedi,<br />78 voi che correte sì per l’aura fosca!<br />Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi".<br />Onde ’l duca si volse e disse: "Aspetta,<br />81 e poi secondo il suo passo procedi".<br />Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta<br />de l’animo, col viso, d’esser meco;<br />84 ma tardavali ’l carco e la via stretta.<br />Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco<br />mi rimiraron sanza far parola;<br />87 poi si volsero in sé, e dicean seco:<br />"Costui par vivo a l’atto de la gola;<br />e s’e’ son morti, per qual privilegio<br />90 vanno scoperti de la grave stola?".<br />Poi disser me: "O Tosco, ch’al collegio<br />de l’ipocriti tristi se’ venuto,<br />93 dir chi tu se’ non avere in dispregio".<br />E io a loro: "I’ fui nato e cresciuto<br />sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa,<br />96 e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto.<br />Ma voi chi siete, a cui tanto distilla<br />quant’i’ veggio dolor giù per le guance?<br />99 e che pena è in voi che sì sfavilla?".<br />E l’un rispuose a me: "Le cappe rance<br />son di piombo sì grosse, che li pesi<br />102 fan così cigolar le lor bilance.<br />Frati godenti fummo, e bolognesi;<br />io Catalano e questi Loderingo<br />105 nomati, e da tua terra insieme presi<br />come suole esser tolto un uom solingo,<br />per conservar sua pace; e fummo tali,<br />108 ch’ancor si pare intorno dal Gardingo".<br />Io cominciai: "O frati, i vostri mali...";<br />ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse<br />111 un, crucifisso in terra con tre pali.<br />Quando mi vide, tutto si distorse,<br />soffiando ne la barba con sospiri;<br />114 e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse,<br />mi disse: "Quel confitto che tu miri,<br />consigliò i Farisei che convenia<br />117 porre un uom per lo popolo a’ martìri.<br />Attraversato è, nudo, ne la via,<br />come tu vedi, ed è mestier ch’el senta<br />120 qualunque passa, come pesa, pria.<br />E a tal modo il socero si stenta<br />in questa fossa, e li altri dal concilio<br />123 che fu per li Giudei mala sementa".<br />Allor vid’io maravigliar Virgilio<br />sovra colui ch’era disteso in croce<br />126 tanto vilmente ne l’etterno essilio.<br />Poscia drizzò al frate cotal voce:<br />"Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci<br />129 s’a la man destra giace alcuna foce<br />onde noi amendue possiamo uscirci,<br />sanza costrigner de li angeli neri<br />132 che vegnan d’esto fondo a dipartirci".<br />Rispuose adunque: "Più che tu non speri<br />s’appressa un sasso che de la gran cerchia<br />135 si move e varca tutt’i vallon feri,<br />salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia;<br />montar potrete su per la ruina,<br />138 che giace in costa e nel fondo soperchia".<br />Lo duca stette un poco a testa china;<br />poi disse: "Mal contava la bisogna<br />141 colui che i peccator di qua uncina".<br />E ’l frate: "Io udi’ già dire a Bologna<br />del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’<br />144 ch’elli è bugiardo e padre di menzogna".<br />Appresso il duca a gran passi sen gì,<br />turbato un poco d’ira nel sembiante;<br />147 ond’io da li ’ncarcati mi parti’<br />dietro a le poste de le care piante.<br /><br />PARAFRASI<br />Silenziosi, soli, non più accompagnati (dai diavoli) procedevamo l’uno davanti all’altro, come i francescani camminano per la strada. A causa della recente zuffa il mio pensiero era rivolto alla favola di Esopo, nella quale egli narra della rana e del topo; poiché "ora" e "adesso" non sono più uguali, di quanto non lo siano la favola e la zuffa, se si confrontano con attenzione l’inizio e la fine. E come un pensiero scaturisce all’ improvviso dall’altro, così da quello ne venne fuori in un secondo tempo un altro, che raddoppiò in me la paura di prima. Io ragionavo in questo modo: " Costoro sono stati per causa nostra derisi con tale danno e tale scorno, che ritengo che a loro rincresca grandemente. Se l’ira si aggiunge alla cattiveria, essi ci inseguiranno più inferociti del cane nei confronti della lepre che addenta. Sentivo già arricciarmisi tutti i peli per lo spavento, e volgevo attento lo sguardo indietro, allorché dissi: " Maestro, se non nascondi rapidamente te e me, io ho paura dei Malebranche: li abbiamo già alle nostre spalle: li vedo a tal punto con l’immaginazione, che già li sento (dietro di noi) ". E Virgilio: " Se fossi uno specchio, non rifletterei più rapidamente la tua immagine esterna, di quanto ora imprimo in me la tua immagine interna. Proprio ora i tuoi pensieri raggiungevano i miei, col medesimo atteggiamento e con il medesimo aspetto dei miei, in modo che dagli uni e dagli altri ho tratto una sola risoluzione. Se si dà il caso che la parete a destra abbia una così scarsa pendenza, che noi possiamo scendere nell’altra bolgia (la sesta), sfuggiremo all’inseguimento temuto ". Non finì neppure di manifestare tale proposito, che io li vidi sopraggiungere non molto lontani da noi con le ali spiegate, per volerci ghermire. Virgilio mi afferrò immediatamente, come la madre che si sveglia al frastuono, e vede accanto a sé le fiamme ardenti, la quale afferra il figlio e fugge e, avendo più cura di lui che di se stessa, non si ferma neppure quel poco tempo necessario ad indossare una camicia; e dalla sommità dell’argine pietroso si lasciò scivolare sul dorso lungo la parete scoscesa, che chiude uno dei lati dell’altra bolgia. L’acqua non corse mai così velocemente attraverso un condotto per far girare la ruota di un mulino costruito sulla terraferma, nel punto in cui essa maggiormente si avvicina alle pale, come Virgilio su quella parete dell’argine, mentre mi portava tenendomi, sul petto, come se fossi stato suo figlio, non un compagno. Alla similitudine della madre, così ricca di contenuto umano, segue una similitudine volta a determinare soltanto la velocità con la quale Virgilio scende lungo la scarpata che porta al fondo della sesta bolgia. In essa la tinta patetica cede momentaneamente di fronte alla nuda vìolenza della figurazione rapinosamente incisiva" (Sanguineti). Appena i suoi piedi raggiunsero la superficie del fondo della bolgia, essi furono sulla sommità dell’argine sopra di noi; ma non vi era più motivo di temere, poiché la divina provvidenza che volle porli quali esecutori dei suoi decreti nella quinta bolgia, toglie a tutti loro la possibilità di allontanarsi di lì. Laggiù incontrammo una moltitudine dipinta che andava intorno con passi lentissimi, lacrimando e stanca e affranta nell’aspetto. Questi dannati indossavano cappe con i cappucci abbassati davanti agli occhi, fatte nel modo in cui si fanno a Cluny per i monaci. Esternamente sono dorate tanto da abbagliare; ma dentro sono completamente di piombo, e così pesanti, che (al confronto) Federico Il le faceva indossare di paglia. Oh veste opprimente per l’eternità! Noi ci dirigemmo ancora, come al solito, verso sinistra nella stessa direzione di quei dannati, osservandone il pianto sconsolato; ma a causa del peso quella moltitudine sfinita avanzava così lentamente, che noi avevamo nuovi compagni ad ogni passo. Perciò dissi a Virgilio: " Cerca di trovare qualcuno che sia famoso per le sue azioni o per il suo nome, e, continuando a camminare così, volgi lo sguardo intorno a te ". E uno, che udì il parlare toscano, gridò dietro di noi: " Fermatevi, voi che avanzate così veloci nell’aria buia! Forse otterrai da me quello che domandi ". Perciò Virgilio si voltò e disse: "Attendi, e poi avanza col suo passo ". Sostai, e vidi due che, con l’espressione del volto, mostravano una grande ansia di essere con me; ma il peso e l’angusto cammino li rendevano lenti. Quando furono arrivati, mi osservarono a lungo con sguardo obliquo senza parlare; quindi si rivolsero l’uno verso l’altro, dicendo fra loro: <![endif]> "Questo sembra vivo dal movimento della gola (perché respira); e se invece sono morti, per quale privilegio avanzano privi della pesante cappa?" Poi mi dissero: "O Toscano, che sei giunto al raduno dei tristi ipocriti, non disdegnare di dire chi sei". E io a costoro: " Nacqui e fui allevato nella grande città sulle rive del bel fiume Arno, e mi trovo qui col corpo che ho sempre avuto. Ma chi siete voi, ai quali tante lagrime quante ne vedo scendono copiose lungo le gote? e quale castigo è il vostro, che brilla in tal modo? " E uno di loro mi rispose: " Le cappe dorate sono di piombo così spesso, che i pesi fanno in tal modo gemere le loro bilance. Fummo frati Gaudenti, e bolognesi; chiamati io Catalano e questo Loderingo, e scelti entrambi dalla tua città, come è usanza che sia scelto un uomo solo per salvaguardarne la pace; e il nostro comportamento fu tale, che le conseguenze sono ancora visibili tutt’intorno al Gardingo ". Cominciai a dire: " Frati, i vostri supplizi ... "; ma non aggiunsi altro, poiché mi si presentò allo sguardo uno, crocifisso in terra per mezzo di tre pali. Quando mi vide, si contorse tutto quanto, sospirando nel folto della barba; e frate Catalano, che si era accorto di ciò, mi disse: " Quell’inchiodato che tu osservi, espresse ai Farisei il parere che era opportuno per il bene pubblico suppliziare un uomo. E’ posto di traverso, nudo, sul cammino, come tu stesso vedi, ed è necessario che egli senta, prima che sia passato, quanto pesa chiunque passa. E allo stesso modo soffrono in questa bolgia suo suocero, e gli altri appartenenti al concilio che per gli Ebrei rappresentò un inizio di sventure ". Allora vidi Virgilio stupirsi riguardo a colui che stava disteso in croce in modo così ignobile nel luogo dell’eterna dannazione. Quindi rivolse al frate queste parole: " Non vi spiaccia, se vi è permesso,. dirci se verso destra si apre un passaggio attraverso il quale noi due possiamo uscire di qui, senza dover obbligare i diavoli a venire a toglierci da questa fossa ". Allora rispose: " Più di quanto tu non speri è vicino un ponte che parte dalla grande parete che circonda Malebolge (dalla gran cerchia) e attraversa tutti gli spaventosi ripiani, il quale però in questa bolgia è spezzato e non la valica: potrete salire su per le macerie (di questo ponte), che si adagiano lungo il pendio (che giace in costa) e si elevano sul fondo della bolgia ". Virgilio restò per un po’ a testa bassa; poi disse: " Riferiva male lo stato delle cose colui che afferra con gli uncini i peccatori nella quinta bolgia ". E il frate: " A Bologna io udii una volta menzionare molti vizi del diavolo, tra i quali appresi che egli è bugiardo, e mentitore per eccellenza ". Dopo ciò Virgilio se ne andò a gran passi, un po’ alterato dall’ira nell’aspetto, per cui mi allontanai dagli oppressi dalle cappe dietro le orme degli amati piedi.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-5773614197473560802009-05-12T06:40:00.001-07:002009-05-12T06:41:04.992-07:00CANTO VENTIDUESIMOIo vidi già cavalier muover campo,<br />e cominciare stormo e far lor mostra,<br />3 e talvolta partir per loro scampo;<br />corridor vidi per la terra vostra,<br />o Aretini, e vidi gir gualdane,<br />6 fedir torneamenti e correr giostra;<br />quando con trombe, e quando con campane,<br />con tamburi e con cenni di castella,<br />9 e con cose nostrali e con istrane;<br />né già con sì diversa cennamella<br />cavalier vidi muover né pedoni,<br />12 né nave a segno di terra o di stella.<br />Noi andavam con li diece demoni.<br />Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa<br />15 coi santi, e in taverna coi ghiottoni.<br />Pur a la pegola era la mia ’ntesa,<br />per veder de la bolgia ogne contegno<br />18 e de la gente ch’entro v’era incesa.<br />Come i dalfini, quando fanno segno<br />a’ marinar con l’arco de la schiena<br />21 che s’argomentin di campar lor legno,<br />talor così, ad alleggiar la pena,<br />mostrav’alcun de’ peccatori ’l dosso<br />24 e nascondea in men che non balena.<br />E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso<br />stanno i ranocchi pur col muso fuori,<br />27 sì che celano i piedi e l’altro grosso,<br />sì stavan d’ogne parte i peccatori;<br />ma come s’appressava Barbariccia,<br />30 così si ritraén sotto i bollori.<br />I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia,<br />uno aspettar così, com’elli ’ncontra<br />33 ch’una rana rimane e l’altra spiccia;<br />e Graffiacan, che li era più di contra,<br />li arruncigliò le ’mpegolate chiome<br />36 e trassel sù, che mi parve una lontra.<br />I’ sapea già di tutti quanti ’l nome,<br />sì li notai quando fuorono eletti,<br />39 e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come.<br />"O Rubicante, fa che tu li metti<br />li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!",<br />42 gridavan tutti insieme i maladetti.<br />E io: "Maestro mio, fa, se tu puoi,<br />che tu sappi chi è lo sciagurato<br />45 venuto a man de li avversari suoi".<br />Lo duca mio li s’accostò allato;<br />domandollo ond’ei fosse, e quei rispuose:<br />48 "I’ fui del regno di Navarra nato.<br />Mia madre a servo d’un segnor mi puose,<br />che m’avea generato d’un ribaldo,<br />51 distruggitor di sé e di sue cose.<br />Poi fui famiglia del buon re Tebaldo;<br />quivi mi misi a far baratteria,<br />54 di ch’io rendo ragione in questo caldo".<br />E Cirïatto, a cui di bocca uscia<br />d’ogne parte una sanna come a porco,<br />57 li fé sentir come l’una sdruscia.<br />Tra male gatte era venuto ’l sorco;<br />ma Barbariccia il chiuse con le braccia<br />60 e disse: "State in là, mentr’io lo ’nforco".<br />E al maestro mio volse la faccia;<br />"Domanda", disse, "ancor, se più disii<br />63 saper da lui, prima ch’altri ’l disfaccia".<br />Lo duca dunque: "Or dì : de li altri rii<br />conosci tu alcun che sia latino<br />66 sotto la pece?". E quelli: "I’ mi partii,<br />poco è, da un che fu di là vicino.<br />Così foss’io ancor con lui coperto,<br />69 ch’i’ non temerei unghia né uncino!".<br />E Libicocco "Troppo avem sofferto",<br />disse; e preseli ’l braccio col runciglio,<br />72 sì che, stracciando, ne portò un lacerto.<br />Draghignazzo anco i volle dar di piglio<br />giuso a le gambe; onde ’l decurio loro<br />75 si volse intorno intorno con mal piglio.<br />Quand’elli un poco rappaciati fuoro,<br />a lui, ch’ancor mirava sua ferita,<br />78 domandò ’l duca mio sanza dimoro:<br />"Chi fu colui da cui mala partita<br />di’ che facesti per venire a proda?".<br />81 Ed ei rispuose: "Fu frate Gomita,<br />quel di Gallura, vasel d’ogne froda,<br />ch’ebbe i nemici di suo donno in mano,<br />84 e fé sì lor, che ciascun se ne loda.<br />Danar si tolse e lasciolli di piano,<br />sì com’e’ dice; e ne li altri offici anche<br />87 barattier fu non picciol, ma sovrano.<br />Usa con esso donno Michel Zanche<br />di Logodoro; e a dir di Sardigna<br />90 le lingue lor non si sentono stanche.<br />Omè, vedete l’altro che digrigna;<br />i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello<br />93 non s’apparecchi a grattarmi la tigna".<br />E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello<br />che stralunava li occhi per fedire,<br />96 disse: "Fatti ’n costà, malvagio uccello!".<br />"Se voi volete vedere o udire",<br />ricominciò lo spaürato appresso,<br />99 "Toschi o Lombardi, io ne farò venire;<br />ma stieno i Malebranche un poco in cesso,<br />sì ch’ei non teman de le lor vendette;<br />102 e io, seggendo in questo loco stesso,<br />per un ch’io son, ne farò venir sette<br />quand’io suffolerò, com’è nostro uso<br />105 di fare allor che fori alcun si mette".<br />Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso,<br />crollando ’l capo, e disse: "Odi malizia<br />108 ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!".<br />Ond’ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia,<br />rispuose: "Malizioso son io troppo,<br />111 quand’io procuro a’ mia maggior trestizia".<br />Alichin non si tenne e, di rintoppo<br />a li altri, disse a lui: "Se tu ti cali,<br />114 io non ti verrò dietro di gualoppo,<br />ma batterò sovra la pece l’ali.<br />Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo,<br />117 a veder se tu sol più di noi vali".<br />O tu che leggi, udirai nuovo ludo:<br />ciascun da l’altra costa li occhi volse,<br />120 quel prima, ch’a ciò fare era più crudo.<br />Lo Navarrese ben suo tempo colse;<br />fermò le piante a terra, e in un punto<br />123 saltò e dal proposto lor si sciolse.<br />Di che ciascun di colpa fu compunto,<br />ma quei più che cagion fu del difetto;<br />126 però si mosse e gridò: "Tu se’ giunto!".<br />Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto<br />non potero avanzar; quelli andò sotto,<br />129 e quei drizzò volando suso il petto:<br />non altrimenti l’anitra di botto,<br />quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa,<br />132 ed ei ritorna sù crucciato e rotto.<br />Irato Calcabrina de la buffa,<br />volando dietro li tenne, invaghito<br />135 che quei campasse per aver la zuffa;<br />e come ’l barattier fu disparito,<br />così volse li artigli al suo compagno,<br />138 e fu con lui sopra ’l fosso ghermito.<br />Ma l’altro fu bene sparvier grifagno<br />ad artigliar ben lui, e amendue<br />141 cadder nel mezzo del bogliente stagno.<br />Lo caldo sghermitor sùbito fue;<br />ma però di levarsi era neente,<br />144 sì avieno inviscate l’ali sue.<br />Barbariccia, con li altri suoi dolente,<br />quattro ne fé volar da l’altra costa<br />147 con tutt’i raffi, e assai prestamente<br />di qua, di là discesero a la posta;<br />porser li uncini verso li ’mpaniati,<br />150 ch’eran già cotti dentro da la crosta;<br />e noi lasciammo lor così ’mpacciati.<br /><br />PARAFRASI<br />Io vidi un tempo cavalieri mettersi in marcia, e iniziare l’assalto e fare evoluzioni durante le parate, e a volte ritirarsi per mettersi in salvo; vidi soldati a cavallo sul vostro suolo, o Aretini, e vidi fare incursioni devastatrici, scontrarsi le squadre nei tornei e cimentarsi i singoli nei duelli; a volte con trombe, e a volte con campane, con tamburi e con segnali dalle fortezze, e con strumenti nostri e forestieri; ma certamente mai con un così insolito zufolo vidi partire cavalieri o fanti, o nave ad un segnale dato dalla riva o indicato da una costellazione. Noi procedevamo con i dieci diavoli: ah, paurosa compagnia! ma in chiesa si sta con i santi, e nell’osteria con i furfanti. La mia attenzione era rivolta costantemente alla pece, per osservare ogni aspetto della bolgia e della moltitudine che in essa era bruciata. Come i delfini, quando, inarcando il dorso, avvertono i marinai d’ingegnarsi a salvare la loro nave, così talvolta, per alleviare la sofferenza, qualcuno dei dannati esponeva la schiena, e la celava più rapido del lampo. E come i ranocchi stanno sull’ orlo dell’acqua di un fossato col solo muso fuori, in modo da nascondere le zampe e il resto del corpo, così i peccatori stavano da ogni parte; ma non appena Barbariccia si avvicinava, subito si ritiravano sotto la pece bollente. Vidi, e ancora il mio cuore ne prova sgomento, uno di loro stare in attesa, così come accade che una rana resta ferma e un’altra spicca il salto; e Graffiacane che più degli altri gli stava di fronte, gli afferrò con l’uncino i capelli impeciati e lo sollevò, in modo che mi sembrò, una lontra. Io conoscevo già il nome di tutti quanti i diavoli. poiché li avevo con tanta cura annotati quando vennero scelti, e poi avevo fatto attenzione al modo in cui si chiamavano l’un l’altro. " O Rubicante, fa in modo di mettergli addosso gli artigli, in modo da scuoiarlo! " urlavano concordi i malvagi. E io: " Maestro, cerca, se puoi, di sapere chi è lo sventurato caduto in balìa dei suoi nemici ". Virgilio gli si avvicinò fermandosi al suo fianco; gli chiese di dove fosse, e quello rispose: " Io fui nativo del regno di Navarra. Mia madre, che mi aveva generato da un furfante, suicida e scialacquatore, mi mise al servizio di un signore. Fui in seguito alla corte del valente re Tebaldo: qui mi diedi ad esercitare la baratteria; del quale peccato rendo conto in questo bollore ". Tebaldo Il, re di Navarra dal 1253 al 1270, ebbe fama di sovrano munifico, giusto e clemente. E Ciriatto, al quale dalla bocca sporgeva da ogni parte una zanna come a un cinghiale, gli fece sentire come una di esse lacerava. Il topo era capitato tra gatte cattive; ma Barbariccia lo circondò con le braccia, e disse: " State lontani, finché lo tengo stretto ". E rivolse il viso a Virgilio: " Chiedi ancora " disse " se desideri sapere altro da lui, prima che qualcuno ne faccia scempio ". Allora Virgilio: " Dimmi dunque: degli altri malvagi che stanno sotto la pece, conosci qualcuno che sia italiano ? " E quello: " Io mi allontanai, poco fa, da uno che fu di quelle parti: potessi ancora essere sotto la pece con lui! non avrei infatti da temere artiglio né uncino ". Pure Draghignazzo lo volle colpire giù nelle gambe; per cui il loro capo si volse tutto intorno con espressione adirata. Quando costoro si furono un po’ quietati, Virgilio senza indugio domandò a lui, che ancora osservava la sua ferita: "Chi fu quello dal quale dici che facesti male a separarti per avvicinarti alla riva ? " Ed egli rispose: "Fu frate Gomita, quello di Gallura, ricettacolo d’ogni inganno, il quale ebbe in suo potere i nemici del suo signore, e li trattò in maniera tale che ognuno se ne compiace. Prese denaro, e li lasciò andare liberi con procedimento sommario, così come egli stesso dice; e anche neglì altri incarichi non fu barattiere da poco, ma sommo. Sta spesso con lui messer Michele Zanche di Logudoro; e le loro lingue, nel parlare della Sardegna, non avvertono mai la stanchezza. Michele Zanche governò il giudicato di Logudoro (Sardegna nord-orientale) per incarico di re Enzo, figlio dell’imperatore Federico Il. Fu ucciso a tradimento da uno dei suoi generi, il genovese Branca D’Oria. Ahimè, guardate l’altro diavolo che digrigna i denti; parlerei ancora, ma temo che quello si prepari a graffiarmi ". E il grande capo, rivolto a Farfarello che stralunava gli occhi pronto a colpire, disse: " Tirati in là, uccellaccio ". " Se voi desiderate vedere o ascoltare " riprese a dire quindi quello spaventato "Toscani o Lombardi, io ne farò arrivare; ma che i Malebranche si tengano un po’ in disparte, in modo che essi non temano le loro punizioni; ed io, stando in questo stesso luogo. <![endif]> per uno solo che sono, ne farò venire parecchi quando fischierò, come è nostra abitudine fare allorché qualcuno di noi si tira fuori." Cagnazzo a queste parole alzò il muso, scrollando la testa, e disse: " Senti, I’astuzia che ha escogitato per tuffarsi giù! " Per cui egli, che conosceva raggiri in abbondanza, rispose: " Sono fin troppo astuto, dal momento che causo maggior dolore ai miei compagni ". Alichino non si trattenne e, in contrasto con gli altri demoni gli disse: " Se tu ti immergi, io non ti inseguirò correndo, ma volerò sulla pece: si abbandoni la sommità dell’argine, e l’argine stesso sia a noi riparo, per vedere se tu da solo sei più abile di noi ". O lettore, saprai di un gioco strano ogni diavolo rivolse lo sguardo verso la parte opposta dell’argine; e per primo quello (Cagnazzo) che era stato il più restio a fare ciò. Di ciò ognuno si sentì colpevole, ma maggìormente quello che era stato causa dello sbaglio; perciò si slanciò e gridò: " Tu sei preso ! " Ma a poco gli servì perché le (sue) ali non poterono avere la meglio, sulla paura (del Navarrese) : quello s’immerse, e questo volando diresse verso l’alto il petto: non diversamente l’anitra si tuffa nell’acqua all’improvviso, quando si avvicina il falcone, e questo se ne torna su indispettito"e spossato. Ma Caicabrina adirato per la beffa, lo seguì volando, preso dal desiderio che il Navarrese si salvasse per aver modo di azzuffarsi con Alichino; e non appena il barattiere fu scomparso, immediatamente rivolse gli artigli contro Il suo compagno, e con lui si avvínghiò sopra lo stagno. Ma l’altro fu davvero un rapace sparviero nell’artigliarlo a dovere, e caddero entrambi nel mezzo della palude bollente. Il calore immediatamente li separò; ma uscirne era impossibile, a tal punto avevano le ali invischiate. Barbariccia crucciato insieme agli altri suoi compagni, ordinò che quattro volassero fin sull’altra sponda con tutti i loro uncini, e questi, molto velocemente di qua, di là, calarono nel posto indicato: tesero gli uncini in direzione degli invischiati, che erano già bruciati sotto la pelle diventata dura e noi li abbandonammo mentre si trovavano in queste difficoltà.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-50287769365369267862009-05-12T06:36:00.000-07:002009-05-12T06:40:03.468-07:00CANTO VENTUNESIMOCosì di ponte in ponte, altro parlando<br />che la mia comedìa cantar non cura,<br />3 venimmo; e tenavamo ’l colmo, quando<br />restammo per veder l’altra fessura<br />di Malebolge e li altri pianti vani;<br />6 e vidila mirabilmente oscura.<br />Quale ne l’arzanà de’ Viniziani<br />bolle l’inverno la tenace pece<br />9 a rimpalmare i legni lor non sani,<br />ché navicar non ponno - in quella vece<br />chi fa suo legno novo e chi ristoppa<br />12 le coste a quel che più vïaggi fece;<br />chi ribatte da proda e chi da poppa;<br />altri fa remi e altri volge sarte;<br />15 chi terzeruolo e artimon rintoppa -:<br />tal, non per foco ma per divin’arte,<br />bollia là giuso una pegola spessa,<br />18 che ’nviscava la ripa d’ogne parte.<br />I’ vedea lei, ma non vedëa in essa<br />mai che le bolle che ’l bollor levava,<br />21 e gonfiar tutta, e riseder compressa.<br />Mentr’io là giù fisamente mirava,<br />lo duca mio, dicendo "Guarda, guarda!",<br />24 mi trasse a sé del loco dov’io stava.<br />Allor mi volsi come l’uom cui tarda<br />di veder quel che li convien fuggire<br />27 e cui paura sùbita sgagliarda,<br />che, per veder, non indugia ’l partire:<br />e vidi dietro a noi un diavol nero<br />30 correndo su per lo scoglio venire.<br />Ahi quant’elli era ne l’aspetto fero!<br />e quanto mi parea ne l’atto acerbo,<br />33 con l’ali aperte e sovra i piè leggero!<br />L’omero suo, ch’era aguto e superbo,<br />carcava un peccator con ambo l’anche,<br />36 e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo.<br />Del nostro ponte disse: "O Malebranche,<br />ecco un de li anzïan di Santa Zita!<br />39 Mettetel sotto, ch’i’ torno per anche<br />a quella terra, che n’è ben fornita:<br />ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo;<br />42 del no, per li denar, vi si fa ita".<br />Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro<br />si volse; e mai non fu mastino sciolto<br />45 con tanta fretta a seguitar lo furo.<br />Quel s’attuffò, e tornò sù convolto;<br />ma i demon che del ponte avean coperchio,<br />48 gridar: "Qui non ha loco il Santo Volto!<br />qui si nuota altrimenti che nel Serchio!<br />Però, se tu non vuo’ di nostri graffi,<br />51 non far sopra la pegola soverchio".<br />Poi l’addentar con più di cento raffi,<br />disser: "Coverto convien che qui balli,<br />54 sì che, se puoi, nascosamente accaffi".<br />Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli<br />fanno attuffare in mezzo la caldaia<br />57 la carne con li uncin, perché non galli.<br />Lo buon maestro "Acciò che non si paia<br />che tu ci sia", mi disse, "giù t’acquatta<br />60 dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia;<br />e per nulla offension che mi sia fatta,<br />non temer tu, ch’i’ ho le cose conte,<br />63 perch’altra volta fui a tal baratta".<br />Poscia passò di là dal co del ponte;<br />e com’el giunse in su la ripa sesta,<br />66 mestier li fu d’aver sicura fronte.<br />Con quel furore e con quella tempesta<br />ch’escono i cani a dosso al poverello<br />69 che di sùbito chiede ove s’arresta,<br />usciron quei di sotto al ponticello,<br />e volser contra lui tutt’i runcigli;<br />72 ma el gridò: "Nessun di voi sia fello!<br />Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,<br />traggasi avante l’un di voi che m’oda,<br />75 e poi d’arruncigliarmi si consigli".<br />Tutti gridaron: "Vada Malacoda!";<br />per ch’un si mosse - e li altri stetter fermi -<br />78 e venne a lui dicendo: "Che li approda?".<br />"Credi tu, Malacoda, qui vedermi<br />esser venuto", disse ’l mio maestro,<br />81 "sicuro già da tutti vostri schermi,<br />sanza voler divino e fato destro?<br />Lascian’ andar, ché nel cielo è voluto<br />84 ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro".<br />Allor li fu l’orgoglio sì caduto,<br />ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi,<br />87 e disse a li altri: "Omai non sia feruto".<br />E ’l duca mio a me: "O tu che siedi<br />tra li scheggion del ponte quatto quatto,<br />90 sicuramente omai a me ti riedi".<br />Per ch’io mi mossi, e a lui venni ratto;<br />e i diavoli si fecer tutti avanti,<br />93 sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto;<br />così vid’ïo già temer li fanti<br />ch’uscivan patteggiati di Caprona,<br />96 veggendo sé tra nemici cotanti.<br />I’ m’accostai con tutta la persona<br />lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi<br />99 da la sembianza lor ch’era non buona.<br />Ei chinavan li raffi e "Vuo’ che ’l tocchi",<br />diceva l’un con l’altro, "in sul groppone?".<br />102 E rispondien: "Sì, fa che gliel’accocchi".<br />Ma quel demonio che tenea sermone<br />col duca mio, si volse tutto presto<br />105 e disse: "Posa, posa, Scarmiglione!".<br />Poi disse a noi: "Più oltre andar per questo<br />iscoglio non si può, però che giace<br />108 tutto spezzato al fondo l’arco sesto.<br />E se l’andare avante pur vi piace,<br />andatevene su per questa grotta;<br />111 presso è un altro scoglio che via face.<br />Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta,<br />mille dugento con sessanta sei<br />114 anni compié che qui la via fu rotta.<br />Io mando verso là di questi miei<br />a riguardar s’alcun se ne sciorina;<br />117 gite con lor, che non saranno rei".<br />"Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina",<br />cominciò elli a dire, "e tu, Cagnazzo;<br />120 e Barbariccia guidi la decina.<br />Libicocco vegn’oltre e Draghignazzo,<br />Cirïatto sannuto e Graffiacane<br />123 e Farfarello e Rubicante pazzo.<br />Cercate ’ntorno le boglienti pane;<br />costor sian salvi infino a l’altro scheggio<br />126 che tutto intero va sovra le tane".<br />"Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?",<br />diss’io, "deh, sanza scorta andianci soli,<br />129 se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio.<br />Se tu se’ sì accorto come suoli,<br />non vedi tu ch’e’ digrignan li denti<br />132 e con le ciglia ne minaccian duoli?".<br />Ed elli a me: "Non vo’ che tu paventi;<br />lasciali digrignar pur a lor senno,<br />135 ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti".<br />Per l’argine sinistro volta dienno;<br />ma prima avea ciascun la lingua stretta<br />138 coi denti, verso lor duca, per cenno;<br />ed elli avea del cul fatto trombetta.<br /><br />PARAFRASI<br />In tal modo giungemmo da un ponte all’altro (da quello della quarta bolgia a quello della quinta), discorrendo di cose che il mio poema non si propone di prendere in considerazione; e ci trovavamo sul culmine del ponte, allorché ci fermammo per vedere l’altra cavità di Malebolge e gli altri lamenti inutili; e la vidi straordinariamente buia. Come nell’arsenale dei Veneziani durante l’inverno bolle la pece che aderisce e incolla e che serve a spalmare di nuovo le loro navi danneggiate, poiché non possono navigare; e invece di navigare chi si costruisce una nave nuova e chi chiude con la stoppa le falle apertesi nelle fiancate di quella che ha fatto più viaggi; chi dà colpi di martello a prua e chi a poppa; altri fabbricano remi ed altri attorcigliano la canapa per farne funi; alcuni rattoppano la vela minore e altri quella maggiore, così, non a causa del fuoco, ma per opera di Dio, bolliva laggiù una pece densa, che aderiva viscosamente dappertutto alle pareti della bolgia. Io scorgevo questa pece, ma in essa non scorgevo se non le bolle che il bollore sollevava, e la vedevo gonfiarsi tutta quanta, ed abbassarsi come premuta. Mentre io guardavo con attenzione nel fondo della bolgia, Virgilio, dicendomi: " Sta in guardia, sta in guardia! ", mi tirò a sé dal luogo in cui mi trovavo. Allora mi voltai come colui che è impaziente di vedere il pericolo al quale deve sfuggire, e che un’improvvisa paura indebolisce, il quale, per il fatto che guarda, non rimanda la sua fuga; e vidi sopraggiungere alle nostre spalle un diavolo nero che correva sul ponticello roccioso. Ahi, quanto era feroce nell’aspetto! e quanto mi sembrava crudele nell’atteggiamento, con le ali spiegate e leggiero nel suo avanzare! Un dannato gravava con entrambi i fianchi la sua spalla, che era appuntita e sporgente, ed egli ne teneva stretta la caviglia. Dal ponte su cui ci trovavamo disse: " O Malebranche (è il nome dei diavoli di questa bolgia), ecco uno degli anziani di Lucca (città devota a Santa Zita) ! Immergetelo completamente (nella pece), poiché io torno di nuovo in quella città in cui questi peccatori abbondano: in essa ognuno è barattiere, escluso Bonturo; in essa per danaro il no è trasformato in sì ". Lo gettò laggiù, e tornò indietro sul ponte roccioso; e nessun mastino liberato dalla catena fu mai così veloce nell’inseguire il ladro. Quello sprofondò, e riemerse raggomitolato; ma i diavoli che stavano nascosti sotto il ponte, gridarono: "Qui non c’è il Santo Volto: qui si nuota diversamente che nel Serchio! Perciò, se vuoi evitare le nostre unghiate, non sporgerti al di sopra della pece ". Dopo averlo trafitto con innumerevoli uncini, dissero: " Qui dovrai darti da fare coperto (dalla pece), in modo da arraffare, se ti riesce, di nascosto ". Non diversamente i cuochi fanno immergere dai loro inservienti la carne nella pentola con gli uncini, in modo che non venga a galla. Virgilio mi disse: " Perché non si veda che tu ci sei, nasconditi giù, dietro una sporgenza rocciosa, che ti offra qualche riparo; e non lasciarti prendere dal timore, per nessuna offesa che mi venga arrecata, poiché io so come stanno le cose, e già un’altra volta mi trovai in una simile baruffa ". Poi passò oltre l’estremità del ponte; e non appena arrivò sul sesto argine, gli fu necessario avere un atteggiamento risoluto. Con lo stesso impeto e lo stesso frastuono con cui i cani si avventano contro il mendicante il quale chiede l’elemosina subito nel punto in cui si è fermato, i diavoli uscirono da sotto il ponticello, e puntarono contro di lui tutti gli uncini; ma egli gridò: " Nessuno di voi abbia cattive intenzioni ! Prima che i vostri uncini mi colpiscano, si faccia avanti uno di voi e mi ascolti, e dopo si prenda la deliberazione di uncinarmi ". Gridarono tutti: " Si faccia avanti Malacoda! "; per cui uno avanzò, e gli altri stettero fermi, e quello si avvicinò a Virgilio dicendo: " Che gli giova ? " " Credi, Malacoda, di vedermi giunto sin qui " disse Virgilio " al riparo fino ad ora da tutte le vostre opposizioni, senza la volontà di Dio e il destino favorevole? Lasciaci andare, poiché è voluto da Dio che io faccia da guida a qualcuno (Dante) per questo orrido cammino. " Allora la tracotanza lo abbandonò a tal punto, che lasciò cadere l’uncino ai suoi piedi, e rivolto agli altri disse: " Dal momento che le cose stanno così, non sia ferito ". E Virgilio: " O tu che stai appiattato tra le rocce del ponte, torna ormai presso di me senza timore ". Perciò io mi avviai, e velocemente mi avvicinai a lui; e i diavoli avanzarono tutti quanti, tanto che temetti che non avrebbero rispettato il patto: così vidi una volta essere presi dal timore i soldati che uscivano dal castello di Caprona dopo aver raggiunto un accordo sulla loro resa, vedendosi in mezzo a tanti nemici. lo mi avvicinai con tutto il mio corpo a Virgilio, e non distoglievo lo sguardo dal loro aspetto, che non era benevolo. Essi abbassavano gli uncini e: " Vuoi che lo tocchi " dicevano fra loro " sulla schiena? " E rispondevano: " Sì, fa in modo di assestargli un colpo! " Ma il diavolo che stava discorrendo con Virgilio, con grande prontezza si voltò, e disse: " Fermo, fermo, Scarmiglione! " Quindi, rivolto a noi, disse: " Non è possibile proseguire su questa fila di ponti rocciosi, poiché il sesto ponte giace sul fondo (della bolgia) ridotto in frantumi. E se tuttavia desiderate proseguire, andate su per questa roccia (l’argine che separa la quinta dalla sesta bolgia); vicino vi è un’altra serie di ponti che consente il passaggio. Ieri, cinque ore più tardi di quest’ora, si compirono 1266 anni da quando la strada franò in questo punto. Io mando in quella direzione qualcuno di questi miei sottoposti, per osservare se mai qualche dannato esce (dalla pece): andate con loro, poiché non saranno cattivi ". " Vieni avanti, Alichino, e Calcabrina ", prese a dire, " e tu, Cagnazzo; e Barbariccia sia a capo dei dieci. Venga anche Libicocco e Draghignazzo, Ciriatto munito di zanne e Graffiacane e Farfarello e il rabbioso Rubicante. Ispezionate tutt’intorno le bollenti peci: questi siano incolumi fino all’altra fila di ponti che varcano le bolge senza interrompersi. " "Ahimè, maestro, che è quello che vedo?" dissi. "Ti prego, andiamo via di qui soli senza guida, se tu conosci il cammino; poiché, per quel che mi riguarda, non ne ho bisogno. Se tu sei perspicace adesso come di solito, non vedi che digrignano i denti, e con gli occhi minacciano di procurarci dolori ? " E Virgilio: " Non voglio che tu abbia timore: lascia che digrignino come a loro piace meglio, poiché essi lo fanno per i bolliti che soffrono ". Voltarono a sinistra sull’argine; ma prima ciascuno di loro, rivolto al capo che li guidava, aveva stretto, per un segnale, la lingua con i denti; ed egli aveva fatto uno sconcio suono di tromba.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-44582610379812421622009-05-10T01:02:00.000-07:002009-05-10T01:03:22.458-07:00CANTO VENTESIMODi nova pena mi conven far versi<br />e dar matera al ventesimo canto<br />3 de la prima canzon, ch’è d’i sommersi.<br />Io era già disposto tutto quanto<br />a riguardar ne lo scoperto fondo,<br />6 che si bagnava d’angoscioso pianto;<br />e vidi gente per lo vallon tondo<br />venir, tacendo e lagrimando, al passo<br />9 che fanno le letane in questo mondo.<br />Come ’l viso mi scese in lor più basso,<br />mirabilmente apparve esser travolto<br />12 ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso,<br />ché da le reni era tornato ’l volto,<br />e in dietro venir li convenia,<br />15 perché ’l veder dinanzi era lor tolto.<br />Forse per forza già di parlasia<br />si travolse così alcun del tutto;<br />18 ma io nol vidi, né credo che sia.<br />Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto<br />di tua lezione, or pensa per te stesso<br />21 com’io potea tener lo viso asciutto,<br />quando la nostra imagine di presso<br />vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi<br />24 le natiche bagnava per lo fesso.<br />Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi<br />del duro scoglio, sì che la mia scorta<br />27 mi disse: "Ancor se’ tu de li altri sciocchi?<br />Qui vive la pietà quand’è ben morta;<br />chi è più scellerato che colui<br />30 che al giudicio divin passion comporta?<br />Drizza la testa, drizza, e vedi a cui<br />s’aperse a li occhi d’i Teban la terra;<br />33 per ch’ei gridavan tutti: "Dove rui,<br />Anfïarao? perché lasci la guerra?".<br />E non restò di ruinare a valle<br />36 fino a Minòs che ciascheduno afferra.<br />Mira c’ha fatto petto de le spalle;<br />perché volse veder troppo davante,<br />39 di retro guarda e fa retroso calle.<br />Vedi Tiresia, che mutò sembiante<br />quando di maschio femmina divenne,<br />42 cangiandosi le membra tutte quante;<br />e prima, poi, ribatter li convenne<br />li duo serpenti avvolti, con la verga,<br />45 che rïavesse le maschili penne.<br />Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga,<br />che ne’ monti di Luni, dove ronca<br />48 lo Carrarese che di sotto alberga,<br />ebbe tra ’ bianchi marmi la spelonca<br />per sua dimora; onde a guardar le stelle<br />51 e ’l mar no li era la veduta tronca.<br />E quella che ricuopre le mammelle,<br />che tu non vedi, con le trecce sciolte,<br />54 e ha di là ogne pilosa pelle,<br />Manto fu, che cercò per terre molte;<br />poscia si puose là dove nacqu’io;<br />57 onde un poco mi piace che m’ascolte.<br />Poscia che ’l padre suo di vita uscìo<br />e venne serva la città di Baco,<br />60 questa gran tempo per lo mondo gio.<br />Suso in Italia bella giace un laco,<br />a piè de l’Alpe che serra Lamagna<br />63 sovra Tiralli, c’ha nome Benaco.<br />Per mille fonti, credo, e più si bagna<br />tra Garda e Val Camonica e Pennino<br />66 de l’acqua che nel detto laco stagna.<br />Loco è nel mezzo là dove ’l trentino<br />pastore e quel di Brescia e ’l veronese<br />69 segnar poria, s’e’ fesse quel cammino.<br />Siede Peschiera, bello e forte arnese<br />da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,<br />72 ove la riva ’ntorno più discese.<br />Ivi convien che tutto quanto caschi<br />ciò che ’n grembo a Benaco star non può,<br />75 e fassi fiume giù per verdi paschi.<br />Tosto che l’acqua a correr mette co,<br />non più Benaco, ma Mencio si chiama<br />78 fino a Governol, dove cade in Po.<br />Non molto ha corso, ch’el trova una lama,<br />ne la qual si distende e la ’mpaluda;<br />81 e suol di state talor essere grama.<br />Quindi passando la vergine cruda<br />vide terra, nel mezzo del pantano,<br />84 sanza coltura e d’abitanti nuda.<br />Lì, per fuggire ogne consorzio umano,<br />ristette con suoi servi a far sue arti,<br />87 e visse, e vi lasciò suo corpo vano.<br />Li uomini poi che ’ntorno erano sparti<br />s’accolsero a quel loco, ch’era forte<br />90 per lo pantan ch’avea da tutte parti.<br />Fer la città sovra quell’ossa morte;<br />e per colei che ’l loco prima elesse,<br />93 Mantüa l’appellar sanz’altra sorte.<br />Già fuor le genti sue dentro più spesse;<br />prima che la mattia da Casalodi<br />96 da Pinamonte inganno ricevesse.<br />Però t’assenno che, se tu mai odi<br />originar la mia terra altrimenti,<br />99 la verità nulla menzogna frodi".<br />E io: "Maestro, i tuoi ragionamenti<br />mi son sì certi e prendon sì mia fede,<br />102 che li altri mi sarien carboni spenti.<br />Ma dimmi, de la gente che procede,<br />se tu ne vedi alcun degno di nota;<br />105 ché solo a ciò la mia mente rifiede".<br />Allor mi disse: "Quel che da la gota<br />porge la barba in su le spalle brune,<br />108 fu - quando Grecia fu di maschi vòta,<br />sì ch’a pena rimaser per le cune -<br />augure, e diede ’l punto con Calcanta<br />111 in Aulide a tagliar la prima fune.<br />Euripilo ebbe nome, e così ’l canta<br />l’alta mia tragedìa in alcun loco:<br />114 ben lo sai tu che la sai tutta quanta.<br />Quell’altro che ne’ fianchi è così poco,<br />Michele Scotto fu, che veramente<br />117 de le magiche frode seppe ’l gioco.<br />Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,<br />ch’avere inteso al cuoio e a lo spago<br />120 ora vorrebbe, ma tardi si pente.<br />Vedi le triste che lasciaron l’ago,<br />la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine;<br />123 fecer malie con erbe e con imago.<br />Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine<br />d’amendue li emisperi e tocca l’onda<br />126 sotto Sobilia Caino e le spine;<br />e già iernotte fu la luna tonda:<br />ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque<br />129 alcuna volta per la selva fonda".<br />Sì mi parlava, e andavamo introcque.<br /><br />PARAFRASI<br />Devo ora scrivere versi intorno ad una pena mai prima vista e fornire argomento al ventesimo canto della prima cantica, che è quella dei dannati sprofondati (nell’inferno). Io ero già del tutto pronto a scrutare nel fondo visibile (della bolgia), che era bagnato da lagrime d’angoscia; e notai una folla che avanzava nella gran valle circolare, silenziosa e piangente, col passo che tengono nel nostro mondo le processioni. Quando il mio sguardo scese più in basso su di loro, ognuno mi apparve essere rivolto all’indietro in modo mostruoso tra il mento e l’inizio del petto; poiché il viso era girato verso le reni, e dovevano camminare all’indietro, in quanto davanti la vista era loro preclusa. Forse già qualcuno si stravolse così completamente a causa di una paralisi; ma io non lo vidi mai, né credo che ciò avvenga. Lettore, voglia Dio lasciarti trarre profitto dalla tua lettura, (in nome di questo augurio) pensa adesso da te come avrei potuto trattenermi dal piangere, allorché vidi da vicino la nostra figura umana così stravolta, che le lagrime bagnavano la fenditura che si apre tra le natiche. In verità io piangevo, appoggiato ad una delle sporgenze dello scoglio pietroso, così che il mio accompagnatore mi disse: " Fai ancora parte degli altri stolti (che si commuovono di fronte alla punizione dei malvagi) ? Qui la pietà ha valore quando è del tutto spenta: chi é più empio di colui che mostra compassione là dove Dio ha giudicato ? Alza il capo, alzalo, e guarda colui al quale sotto gli occhi dei Tebani si spalancò la terra, così che tutti gridavano: "Dove precipiti, Anfiarao? perché abbandoni la guerra?" E non smise di precipitare in basso fino a Minosse che ghermisce tutti. Osserva come ha trasformato in petto le spalle: poiché volle veder troppo davanti a sé, (ora) guarda all’indietro e cammina a ritroso. Vedi Tiresia, che cambiò aspetto quando si tramutò da maschio in femmina mentre tutte le membra si trasformavano; e dovette poi percuotere nuovamente, con la verga, i due serpenti avvinti prima di riavere le forme maschili. Quello che volge la schiena al ventre di Tiresia è Arunte, il quale nei monti di Luni, dove i Carraresi che abitano in basso dissodano la terra, ebbe come sua dimora la grotta tra i marmi bianchi; dalla quale la vista rivolta alle stelle e al mare non gli era impedita. E colei che si copre il seno, che tu non puoi vedere, con le trecce sciolte, e ha dall’altra parte tutte le parti pelose del corpo, fu Manto, che peregrinò per molti paesi; poi si fermò là dove io nacqui: per cui sarei lieto che tu mi prestassi un po’ d’attenzione. Dopo che il padre morì, e la città di Tebe (di Baco: di Bacco, sacra a Bacco) fu asservita, costei andò per il mondo lungamente. Lassù nella bella Italia vi è un lago, ai piedi dei monti che segnano i confini della Germania sopra il Tirolo, il quale si chiama Benaco. Attraverso mille e più sorgenti, credo, la regione tra il Garda, la Val Camonica e l’Appennino, è irrigata dall’acqua che poi ristagna nel lago suddetto. In mezzo ad esso è un posto dove il vescovo di Trento, quello di Brescia e quello di Verona potrebbero dare la benedizione, se facessero quel percorso. Peschiera, bella e robusta fortezza atta a fronteggiare Bresciani e Bergamaschi, è posta dove la riva intorno è più bassa. Lì (presso Peschiera) necessariamente trabocca tutto quello che non può essere contenuto nel Benaco, e diventa fiume giù per i pascoli verdeggianti. Appena l’acqua ricomincia a correre, non si chiama più Benaco, ma Mincio, fino a Governolo, ove si getta nel Po. Dopo un percorso non lungo, esso trova un avvallamento, nel quale straripa trasformandolo in palude; e talvolta durante l’estate diventa malsano. Passando di lì la vergine crudele scorse della terra, in mezzo alla palude, non coltivata e priva di abitanti. Lì, per evitare ogni contatto umano, si fermò con i suoi servitori ad esercitare le sue pratiche magiche, e lì visse, e vi lasciò il suo corpo esanime. In seguito gli uomini che erano sparsi nei dintorni si radunarono in quel luogo, che era ben fortificato avendo da ogni lato la palude. Costruirono la città dove erano sepolte le ossa di Manto; e in onore di colei che per prima aveva scelto quel luogo, la chiamarono Mantova senza bisogno di ricorrere ad alcun sortilegio. Un tempo i suoi abitanti furono più numerosi nella cerchia delle sue mura, prima che la stoltezza di Alberto da Casalodi fosse tratta in inganno da Pinamonte. Perciò ti avverto che qualora tu udissi spiegare in modo diverso l’origine della mia città, nessuna menzogna deve alterare la verità ". Ed io: " Maestro, i tuoi ragionamenti sono per me a tal punto veritieri e conquistano talmente il mio assenso, che gli altri (ragionamenti) sarebbero per me inefficaci (tizzoni spenti, cioè privi di luce e di calore). Ma dimmi. dei dannati che camminano, se ne scorgi qualcuno degno di considerazione; perché la mia mente si indirizza di nuovo soltanto a ciò ". Allora mi disse: " Colui che lascia scendere dalle guance la barba sulle spalle abbronzate (invece che sul petto), fu, quando la Grecia rimase priva di uomini in modo che ne restarono soltanto nelle culle, un indovino, e in Aulide indicò insieme con Calcante, il momento propizio per recidere la prima gomena. Si chiamò Euripilo, e sotto questo nome lo celebra il mio sublime poema in un suo passo: lo sai bene tu che lo conosci tutto. Quell’altro che è così magro nei fianchi, fu Michele Scotto, il quale fu davvero abile nelle frodi della magia. Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, il quale adesso vorrebbe essersi occupato del cuoio e dello spago, ma si pente troppo tardi. Vedi le sciagurate che abbandonarono l’ago, la spola e il fuso, e si fecero indovine; fecero incantesimi con erbe e con simulacri. Ma vieni via di qui ormai; poiché già la luna occupa il confine dei due emisferi (boreale e australe) e si immerge nel mare nelle vicinanze di Siviglia; e già ieri notte la luna fu piena: te ne devi ben ricordare, poiché ti fu utile una volta nella selva buia ". Così mi parlava, ed intanto camminavamo.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-29355640144512134292009-05-10T01:00:00.000-07:002009-05-10T01:02:11.255-07:00CANTO DICIANOVESIMOO Simon mago, o miseri seguaci<br />che le cose di Dio, che di bontate<br />3 deon essere spose, e voi rapaci<br />per oro e per argento avolterate,<br />or convien che per voi suoni la tromba,<br />6 però che ne la terza bolgia state.<br />Già eravamo, a la seguente tomba,<br />montati de lo scoglio in quella parte<br />9 ch’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba.<br />O somma sapïenza, quanta è l’arte<br />che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,<br />12 e quanto giusto tua virtù comparte!<br />Io vidi per le coste e per lo fondo<br />piena la pietra livida di fóri,<br />15 d’un largo tutti e ciascun era tondo.<br />Non mi parean men ampi né maggiori<br />che que’ che son nel mio bel San Giovanni,<br />18 fatti per loco d’i battezzatori;<br />l’un de li quali, ancor non è molt’anni,<br />rupp’io per un che dentro v’annegava:<br />21 e questo sia suggel ch’ogn’omo sganni.<br />Fuor de la bocca a ciascun soperchiava<br />d’un peccator li piedi e de le gambe<br />24 infino al grosso, e l’altro dentro stava.<br />Le piante erano a tutti accese intrambe;<br />per che sì forte guizzavan le giunte,<br />27 che spezzate averien ritorte e strambe.<br />Qual suole il fiammeggiar de le cose unte<br />muoversi pur su per la strema buccia,<br />30 tal era lì dai calcagni a le punte.<br />"Chi è colui, maestro, che si cruccia<br />guizzando più che li altri suoi consorti",<br />33 diss’io, "e cui più roggia fiamma succia?".<br />Ed elli a me: "Se tu vuo’ ch’i’ ti porti<br />là giù per quella ripa che più giace,<br />36 da lui saprai di sé e de’ suoi torti".<br />E io: "Tanto m’è bel, quanto a te piace:<br />tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto<br />39 dal tuo volere, e sai quel che si tace".<br />Allor venimmo in su l’argine quarto;<br />volgemmo e discendemmo a mano stanca<br />42 là giù nel fondo foracchiato e arto.<br />Lo buon maestro ancor de la sua anca<br />non mi dipuose, sì mi giunse al rotto<br />45 di quel che si piangeva con la zanca.<br />"O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto,<br />anima trista come pal commessa",<br />48 comincia’ io a dir, "se puoi, fa motto".<br />Io stava come ’l frate che confessa<br />lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,<br />51 richiama lui per che la morte cessa.<br />Ed el gridò: "Se’ tu già costì ritto,<br />se’ tu già costì ritto, Bonifazio?<br />54 Di parecchi anni mi mentì lo scritto.<br />Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio<br />per lo qual non temesti tòrre a ’nganno<br />57 la bella donna, e poi di farne strazio?".<br />Tal mi fec’io, quai son color che stanno,<br />per non intender ciò ch’è lor risposto,<br />60 quasi scornati, e risponder non sanno.<br />Allor Virgilio disse: "Dilli tosto:<br />"Non son colui, non son colui che credi"";<br />63 e io rispuosi come a me fu imposto.<br />Per che lo spirto tutti storse i piedi;<br />poi, sospirando e con voce di pianto,<br />66 mi disse: "Dunque che a me richiedi?<br />Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,<br />che tu abbi però la ripa corsa,<br />69 sappi ch’i’ fui vestito del gran manto;<br />e veramente fui figliuol de l’orsa,<br />cupido sì per avanzar li orsatti,<br />72 che sù l’avere e qui me misi in borsa.<br />Di sotto al capo mio son li altri tratti<br />che precedetter me simoneggiando,<br />75 per le fessure de la pietra piatti.<br />Là giù cascherò io altresì quando<br />verrà colui ch’i’ credea che tu fossi,<br />78 allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando.<br />Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi<br />e ch’i’ son stato così sottosopra,<br />81 ch’el non starà piantato coi piè rossi:<br />ché dopo lui verrà di più laida opra,<br />di ver’ ponente, un pastor sanza legge,<br />84 tal che convien che lui e me ricuopra.<br />Nuovo Iasón sarà, di cui si legge<br />ne’ Maccabei; e come a quel fu molle<br />87 suo re, così fia lui chi Francia regge".<br />Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle,<br />ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro:<br />90 "Deh, or mi dì: quanto tesoro volle<br />Nostro Segnore in prima da san Pietro<br />ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa?<br />93 Certo non chiese se non "Viemmi retro".<br />Né Pier né li altri tolsero a Matia<br />oro od argento, quando fu sortito<br />96 al loco che perdé l’anima ria.<br />Però ti sta, ché tu se’ ben punito;<br />e guarda ben la mal tolta moneta<br />99 ch’esser ti fece contra Carlo ardito.<br />E se non fosse ch’ancor lo mi vieta<br />la reverenza delle somme chiavi<br />102 che tu tenesti ne la vita lieta,<br />io userei parole ancor più gravi;<br />ché la vostra avarizia il mondo attrista,<br />105 calcando i buoni e sollevando i pravi.<br />Di voi pastor s’accorse il Vangelista,<br />quando colei che siede sopra l’acque<br />108 puttaneggiar coi regi a lui fu vista;<br />quella che con le sette teste nacque,<br />e da le diece corna ebbe argomento,<br />111 fin che virtute al suo marito piacque.<br />Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;<br />e che altro è da voi a l’idolatre,<br />114 se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?<br />Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,<br />non la tua conversion, ma quella dote<br />117 che da te prese il primo ricco patre!".<br />E mentr’io li cantava cotai note,<br />o ira o coscïenza che ’l mordesse,<br />120 forte spingava con ambo le piote.<br />I’ credo ben ch’al mio duca piacesse,<br />con sì contenta labbia sempre attese<br />123 lo suon de le parole vere espresse.<br />Però con ambo le braccia mi prese;<br />e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,<br />126 rimontò per la via onde discese.<br />Né si stancò d’avermi a sé distretto,<br />sì men portò sovra ’l colmo de l’arco<br />129 che dal quarto al quinto argine è tragetto.<br />Quivi soavemente spuose il carco,<br />soave per lo scoglio sconcio ed erto<br />132 che sarebbe a le capre duro varco.<br />Indi un altro vallon mi fu scoperto.<br /><br />PARAFRASI<br />O mago Simone, o suoi sciagurati seguaci, che gli uffici sacri, che devono essere uniti alla bontà (dati e ricevuti da chi è buono), voi avidamente prostituite per denaro; è giusto che adesso sia proclamata la vostra condanna, poiché vi trovate nella terza bolgia. Già eravamo saliti, nella bolgia seguente, su quel tratto del ponte che sovrasta perpendicolarmente proprio la parte mediana della bolgia. O sapienza infinita, quanta forza creativa dimostri in cielo, in terra e nell’inferno, e con quanta giustizia il tuo potere distribuisce premi e castighi ! Notai sulle pareti e sul fondo la roccia scura piena di buchi, tutti della stessa ampiezza e tutti circolari. Non mi sembravano meno larghi né più ampi di quelli che si trovano nel Battistero di San Gìovanni, creati perché in essi prendessero posto coloro che somministravano il battesimo; uno dei quali, non molti anni fa, fu da me spezzato a causa di uno che era sul punto di morirvi soffocato: e questa sia testimonianza, che tolga dall’errore ogni persona. Fuori dell’apertura sporgevano sopra ogni buco i piedi e parte delle gambe, fino alla coscia, di un dannato, e il resto dei corpo era conficcato dentro. Entrambe le piante dei piedi di tutti questi peccatori erano cosparse di fiamme; e perciò le loro articolazioni, si agitavano con tanta forza, che avrebbero spezzato funi di vimini e di erbe. Come le fiamme che consumano gli oggetti unti ne sfiorano soltanto la superficie più esterna, così avveniva sulle piante di quei piedi dalle calcagna alle punte (delle dita). " Maestro, chi è colui che manifesta il suo dolore agitando più degli altri suoi compagni di sorte " io domandai, " e che una fiamma più viva consuma ? " E Virgilio: " Se desideri che io ti accompagni laggiù scendendo da quell’ argine che è più basso (più giace: è là via più interna della bolgia, che è più bassa di quella esterna perché il piano di Malebolge declina verso il pozzo centrale), apprenderai da lui chi fu e quali furono i suoi peccati ". E io: " Tutto quello che piace a te mi è gradito: tu sei quello che comanda, e sai che non mi allontano dalla tua volontà, e conosci quello che, da parte mia, è taciuto ". Giungemmo allora sul quarto argine: ci dirigemmo e scendemmo verso sinistra giù nel fondo pieno di fori e malagevole da attraversare, Virgilio non mi pose a terra dal suo fianco, finché non mi accostò al foro di colui che tanto intensamente manifestava il proprio dolore con la gamba. " Chiunque tu sia, che hai la parte superiore del corpo in basso, anima malvagia conficcata come un palo ", presi a dire, " se ti è possibile, parla. " lo stavo nella posizione del frate che raccoglie la confessione del sicario spergiuro, il quale, dopo essere stato confitto in terra, lo richiama, in modo che allontana la morte. Ed egli gridò: " Sei già qui dritto in piedi, sei già qui dritto in piedi, Bonifacio? Il libro del futuro mi ha ingannato di molti anni. Sei tu così presto sazio di quei beni materiali per i quali non esitasti ad impadronirti con l’inganno della Chiesa, e poi a prostituirla ? " lo divenni come quelli che, per il fatto che non comprendono la risposta che viene data loro, restano come confusi, e non sanno rispondere. Allora Virgilio disse: " Digli subito: "Non sono quello, non sono quello che credi" "; e io risposi come mi fu ordinato. Per questo il dannato contorse quanto più poteva i piedi; poi, sospirando e con voce lamentosa, mi disse: " Allora, cosa vuoi sapere da me ? Se a tal punto ti importa conoscere chi io sia, da essere disceso dall’argine per questo motivo, sappi che io fui rivestito del manto papale. e fui davvero degno della famiglia degli Orsini, alla quale appartenni, a tal punto desideroso di rendere potenti gli altri membri della mia famiglia, che nel mondo misi nella borsa le ricchezze, e qui me stesso. Sotto la mia testa, nelle crepe della roccia stanno appiattiti, dopo esser stati trascinati fin li, gli altri (papi) che mi precedettero nel peccato di simonia. Anch’io precipiterò laggiù allorché giungerà colui che io ritenevo tu fossi. quando ti rivolsi l’improvvisa domanda. Ma più lungo è il tempo in cui mi sono bruciato i piedi e sono stato così capovolto, di quello in cui egli starà confitto con i piedi arsi dalle fiamme: poiché dopo di lui verrà da occidente un papa senza rispetto delle leggi umane e divine, dalla condotta ancor più riprovevole, tale da dover ricoprire sia lui (Bonifacio VIII) sia me. Sarà un novello Giasone, del quale si possono avere notizie nel libro dei Maccabei; e come nei confronti di Giasone il suo sovrano si mostrò debole, così si mostrerà debole, nei confronti di questo papa, il re di Francia ". Io non so se a questo punto fui troppo temerario (perché, pur essendo dannato, l’interlocutore era un pontefice), dal momento che gli risposi proprio in questo modo : " Orsù, dimmi adesso: quanta ricchezza pretese Gesù Cristo da San Pietro prima di mettere in suo potere le chiavi (del regno dei cieli)? Sicuramente non gli chiese se non: "Seguimi". Né Pietro né gli altri apostoli si fecero consegnare da Mattia oro e argento, allorché questi ottenne in sorte di occupare il posto perduto dal malvagio Giuda Iscariota. Perciò stattene dove sei, poiché sei giustamente punito; e custodisci con attenzione il denaro sottratto con l’inganno, che ti rese audace contro Carlo. E se non fosse per il fatto che ancora me lo impedisce il rispetto dovuto alle chiavi, simbolo della dignità pontificale, che tu avesti in tuo potere nella vita terrena, ricorrerei a parole ancora più aspre; poiché la vostra avidità corrompe il mondo, calpestando i buoni ed elevando (alle cariche più alte, per simonia) i cattivi. A voi, pontefici, pensò l’evangelista (San Giovanni), allorché quella che siede sulle acque fu da lui veduta fornicare con i re, quella che nacque con le sette teste, e trasse vigore dalle dieci corna, finché al suo sposo fu cara la virtù. Dell’oro e dell’argento avete fatto il vostro Dio: e quale altra differenza c’è tra voi e gli idolatri, se non quella che, per ogni idolo che essi adorano. voi (in quanto adoratori dei denaro, di ogni pezzo d’oro e d’argento) ne adorate un numero sterminato? Ahi, Costantino, di quanto male fu cagione, non la tua conversione (alla fede cristiana), ma quella donazione che ricevette da te il primo papa che fu ricco! " E, mentre gli facevo sentire simili parole, fosse rabbia o rimorso ciò che lo tormentava, scalciava violentemente con entrambi i piedi. Credo davvero che a Virgilio piacesse (quello che avevo detto), tanto soddisfatta era l’espressione con la quale prestò attenzione, per tutta la durata del mio discorso, alle parole veraci da me pronunciate. Perciò mi prese con entrambe le braccia; e dopo avermi sollevato all’altezza del petto, risalì per il cammino dal quale era disceso. Né si stancò di tenermi abbracciato strettamente, finché non mi ebbe portato nel punto più alto del ponte che serve da passaggio dal quarto al quinto argine. Qui depose dolcemente il carico, dolcemente sul ponte irto di sporgenze e ripido che rappresenterebbe anche per le capre un passaggio malagevole. Di lì mi si aprì davanti un’altra bolgia.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-49628580458923400652009-05-10T00:59:00.000-07:002009-05-10T01:00:38.970-07:00CANTO DICIOTTESIMOLuogo è in inferno detto Malebolge,<br />tutto di pietra di color ferrigno,<br />3 come la cerchia che dintorno il volge.<br />Nel dritto mezzo del campo maligno<br />vaneggia un pozzo assai largo e profondo,<br />6 di cui suo loco dicerò l’ordigno.<br />Quel cinghio che rimane adunque è tondo<br />tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura,<br />9 e ha distinto in dieci valli il fondo.<br />Quale, dove per guardia de le mura<br />più e più fossi cingon li castelli,<br />12 la parte dove son rende figura,<br />tale imagine quivi facean quelli;<br />e come a tai fortezze da’ lor sogli<br />15 a la ripa di fuor son ponticelli,<br />così da imo de la roccia scogli<br />movien che ricidien li argini e ’ fossi<br />18 infino al pozzo che i tronca e raccogli.<br />In questo luogo, de la schiena scossi<br />di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta<br />21 tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.<br />A la man destra vidi nova pieta,<br />novo tormento e novi frustatori,<br />24 di che la prima bolgia era repleta.<br />Nel fondo erano ignudi i peccatori;<br />dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto,<br />27 di là con noi, ma con passi maggiori,<br />come i Roman per l’essercito molto,<br />l’anno del giubileo, su per lo ponte<br />30 hanno a passar la gente modo colto,<br />che da l’un lato tutti hanno la fronte<br />verso ’l castello e vanno a Santo Pietro,<br />33 da l’altra sponda vanno verso ’l monte.<br />Di qua, di là, su per lo sasso tetro<br />vidi demon cornuti con gran ferze,<br />36 che li battien crudelmente di retro.<br />Ahi come facean lor levar le berze<br />a le prime percosse! già nessuno<br />39 le seconde aspettava né le terze.<br />Mentr’io andava, li occhi miei in uno<br />furo scontrati; e io sì tosto dissi:<br />42 "Già di veder costui non son digiuno".<br />Per ch’ïo a figurarlo i piedi affissi;<br />e ’l dolce duca meco si ristette,<br />45 e assentio ch’alquanto in dietro gissi.<br />E quel frustato celar si credette<br />bassando ’l viso; ma poco li valse,<br />48 ch’io dissi: "O tu che l’occhio a terra gette,<br />se le fazion che porti non son false,<br />Venedico se’ tu Caccianemico.<br />51 Ma che ti mena a sì pungenti salse?".<br />Ed elli a me: "Mal volentier lo dico;<br />ma sforzami la tua chiara favella,<br />54 che mi fa sovvenir del mondo antico.<br />I’ fui colui che la Ghisolabella<br />condussi a far la voglia del marchese,<br />57 come che suoni la sconcia novella.<br />E non pur io qui piango bolognese;<br />anzi n’è questo luogo tanto pieno,<br />60 che tante lingue non son ora apprese<br />a dicer "sipa" tra Sàvena e Reno;<br />e se di ciò vuoi fede o testimonio,<br />63 rècati a mente il nostro avaro seno".<br />Così parlando il percosse un demonio<br />de la sua scurïada, e disse: "Via,<br />66 ruffian! qui non son femmine da conio".<br />I’ mi raggiunsi con la scorta mia;<br />poscia con pochi passi divenimmo<br />69 là ’v’uno scoglio de la ripa uscia.<br />Assai leggeramente quel salimmo;<br />e vòlti a destra su per la sua scheggia,<br />72 da quelle cerchie etterne ci partimmo.<br />Quando noi fummo là dov’el vaneggia<br />di sotto per dar passo a li sferzati,<br />75 lo duca disse: "Attienti, e fa che feggia<br />lo viso in te di quest’altri mal nati,<br />ai quali ancor non vedesti la faccia<br />78 però che son con noi insieme andati".<br />Del vecchio ponte guardavam la traccia<br />che venìa verso noi da l’altra banda,<br />81 e che la ferza similmente scaccia.<br />E ’l buon maestro, sanza mia dimanda,<br />mi disse: "Guarda quel grande che vene,<br />84 e per dolor non par lagrime spanda:<br />quanto aspetto reale ancor ritene!<br />Quelli è Iasón, che per cuore e per senno<br />87 li Colchi del monton privati féne.<br />Ello passò per l’isola di Lenno<br />poi che l’ardite femmine spietate<br />90 tutti li maschi loro a morte dienno.<br />Ivi con segni e con parole ornate<br />Isifile ingannò, la giovinetta<br />93 che prima avea tutte l’altre ingannate.<br />Lasciolla quivi, gravida, soletta;<br />tal colpa a tal martiro lui condanna;<br />96 e anche di Medea si fa vendetta.<br />Con lui sen va chi da tal parte inganna;<br />e questo basti de la prima valle<br />99 sapere e di color che ’n sé assanna".<br />Già eravam là ’ve lo stretto calle<br />con l’argine secondo s’incrocicchia,<br />102 e fa di quello ad un altr’arco spalle.<br />Quindi sentimmo gente che si nicchia<br />ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,<br />105 e sé medesma con le palme picchia.<br />Le ripe eran grommate d’una muffa,<br />per l’alito di giù che vi s’appasta,<br />108 che con li occhi e col naso facea zuffa.<br />Lo fondo è cupo sì, che non ci basta<br />loco a veder sanza montare al dosso<br />111 de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta.<br />Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso<br />vidi gente attuffata in uno sterco<br />114 che da li uman privadi parea mosso.<br />E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,<br />vidi un col capo sì di merda lordo,<br />117 che non parëa s’era laico o cherco.<br />Quei mi sgridò: "Perché se’ tu sì gordo<br />di riguardar più me che li altri brutti?".<br />120 E io a lui: "Perché, se ben ricordo,<br />già t’ho veduto coi capelli asciutti,<br />e se’ Alessio Interminei da Lucca:<br />123 però t’adocchio più che li altri tutti".<br />Ed elli allor, battendosi la zucca:<br />"Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe<br />126 ond’io non ebbi mai la lingua stucca".<br />Appresso ciò lo duca "Fa che pinghe",<br />mi disse "il viso un poco più avante,<br />129 sì che la faccia ben con l’occhio attinghe<br />di quella sozza e scapigliata fante<br />che là si graffia con l’unghie merdose,<br />132 e or s’accoscia e ora è in piedi stante.<br />Taïde è, la puttana che rispuose<br />al drudo suo quando disse "Ho io grazie<br />135 grandi apo te?": "Anzi maravigliose!".<br />E quinci sian le nostre viste sazie".<br /><br />PARAFRASI<br />Vi è nell’inferno un luogo chiamato Malebolge, fatto interamente di una pietra del colore del ferro, come la parete rocciosa che tutt’intorno lo circonda. Proprio nel centro di questo piano malvagio si apre un pozzo molto largo e profondo, del quale descriverò la struttura quando sarà il momento. Quella fascia che resta tra il pozzo e la base dell’alta parete rocciosa è pertanto circolare, e ha la superficie suddivisa in dieci avvallamenti. Quale aspetto presenta, dove numerosi fossati circondano i castelli, per proteggerne le mura, il luogo in cui questi si trovano, tale figura offrivano lì quegli avvallamenti e come tali fortezze hanno dalle loro soglie fino alla riva esterna dell’ultimo fossato dei piccoli ponti, così dalla base della parete partivano ponti di pietra che attraversavano gli argini e i fossati fino al pozzo che li interrompe e nel quale convergono. In questo luogo ci venimmo a trovare, scesi dal dorso di Gerione; e Virgilio si diresse verso sinistra, e io mi avviai dietro di lui. Vidi verso destra nuovo dolore, pene mai prima vedute e fustigatori di nuovo genere, di cui il primo avvallamento era pieno. I dannati stavano nudi nel fondo: dalla metà della bolgia verso l’esterno procedevano in direzione contraria alla nostra, dall’altra parte camminavano nella nostra stessa direzione’, ma più velocemente’, come i Romani a causa della grande folla, nell’anno del giubileo, hanno trovato un espediente per far transitare la moltitudine sul ponte (di Castel Sant’Angelo), in modo che da un lato del ponte tutti avevano la fronte rivolta al Castello e si dirigevano verso San Pietro; dall’altro lato andavano verso il monte (Giordano: collina sta alla sinistra del Tevere). Da tutte le parti, sulla buia pietra vidi diavoli cornuti con grandi fruste, che Ii percuotevano spietatamente sulla schiena. Ahi come facevano loro alzare le calcagna fin dai primi colpi! nessuno certo aspettava i secondi e i terzi. Mentre camminavo, il mio sguardo s’imbatté in uno di loro; e immediatamente dissi: "Non è la prima volta che vedo costui "; perciò per poterlo osservare meglio mi fermai: e la mia cara guida si fermò con me, e acconsentì che tornassi un po’ indietro. E quel frustato credette di nascondersi abbassando il viso; ma a poco gli servì, poiché io gli dissi: " O tu che volgi lo sguardo a terra, se le tue fattezze non sono ingannevoli, tu sei Venedico Caccianemico: ma quale peccato ti conduce a così brucianti supplizi ? " Ed egli: " Lo dico controvoglia; ma mi costringono le tue precise parole, che richiamano alla mia memoria la vita terrena. lo fui colui che indusse Ghisolabella a cedere alle brame del Marchese, comunque venga narrata questa turpe storia. Ma non sono il solo bolognese che qui dolorosamente sconta la sua colpa; al contrario, questo luogo è così pieno di Bolognesi, che attualmente non vi sono tante lingue avvezze a dire "sia" tra i fiumi Sàvena e Reno; e se di questo fatto vuoi una prova sicura, ricordati del nostro animo avido ". Mentre così parlava un diavolo lo colpì con la sua frusta, e disse: " Vattene, ruffiano! qui non ci sono donne da prostituire ". lo mi riaccostai alla mia guida; poi, percorsi pochi passi, arrivammo in un punto dove dalla parete rocciosa si staccava un ponte di pietra. Salimmo su di esso con molta facilità; e, diretti verso destra, su per la sua superficie scheggiata, ci allontanammo da quell’eterno girare. Quando fummo nel punto in cui (il ponte) è vuoto sotto di sé per consentire ai frustati di passare, Virgilio disse: " Fermati, e fa in modo che cada su di te lo sguardo di questi altri sciagurati, dei quali ancora non hai veduto il volto poiché hanno camminato nella nostra stessa direzione ". Dal ponte antico osservavamo la fila che avanzava nella nostra direzione percorrendo l’altra parte della bolgia, e che la frusta sospingeva così come faceva con i ruffiani. E Virgilio, senza che io facessi domande, mi disse: " Guarda quel grande che si avvicina, e che non sembra versare lagrime per il dolore. Quale portamento regale ancora conserva! Quello è Giasone, che con il coraggio e la saggezza privò i Colchi del montone. Egli passò per l’isola di Lemno, dono che le audaci donne senza pietà avevano ucciso tutti i loro uomini. Qui con gesti e con parole lusinghiere ingannò Isifile, la giovane che prima aveva ingannato tutte le altre donne. La abbandonò lì, incinta, sola; questo peccato lo rende meritevole di tale supplizio; e si rende giustizia anche per il male da lui fatto a Medea. Con lui va chi usa l’inganno in tal modo: e basti questa conoscenza della prima bolgia e di coloro che essa strazia ". Ci trovavamo già nel punto dove l’angusto sentiero s’incrocia con il secondo argine, e di questo fa sostegno per un altro arco di ponte. Di qui udimmo gente che emetteva lamenti soffocati nell’altra bolgia e soffiava rumorosamente, e percuoteva se stessa con le palme aperte. Le sponde erano incrostate di muffa, a causa delle esalazioni che, provenendo dal basso vi si solidificavano formando come una pasta, la quale irritava la vista e l’olfatto. Il fondo è così profondo, che non vi è luogo adatto per vedere in esso, a meno di salire sulla sommità dell’arco, là dove il ponticello di píetra è più alto. Arrivammo in quel punto; e di là vidi in basso nella bolgia una moltitudine immersa in uno sterco che sembrava provenire dalle latrine umane. E mentre io percorrevo con lo sguardo il fondo della bolgia, scorsi uno con la testa, così imbrattata di sterco, che non si distingueva se avesse o no la tonsura. Quello mi apostrofò " Perché sei così avido di fermare il tuo sguardo su di me più che sugli altri insozzati ? " E io: " Perché, se ricordo bene, io ti ho già veduto quando i tuoi capelli erano puliti, e sei Alessio Interminelli di Lucca: per questo ti osservo più di tutti gli altri ". Ed egli allora, picchiandosi il capo: " Mi hanno fatto affondare in questo luogo le adulazioni delle quali non ebbi mai sazia la lingua ". Poi Virgilio mi disse: " Fa in modo di spingere lo sguardo un po’ più avanti, in modo da raggiungere con gli occhi la faccia di quella sudicia e scarmigliata donnaccia che si graffia laggiù con le unghie lorde, e ora si siede in terra, e ora è dritta in piedi. E’ Taide, la meretrice che al suo amante, quando costui le chiese "Ho io per te grandi meriti?" rispose: "Più che grandi, straordinari!" E di questo spettacolo i nostri occhi siano sazi ".berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-77567247939561561502009-05-10T00:57:00.000-07:002009-05-10T00:59:22.027-07:00CANTO DICIASSETTESIMO"Ecco la fiera con la coda aguzza,<br />che passa i monti e rompe i muri e l’armi!<br />3 Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!".<br />Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;<br />e accennolle che venisse a proda,<br />6 vicino al fin d’i passeggiati marmi.<br />E quella sozza imagine di froda<br />sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,<br />9 ma ’n su la riva non trasse la coda.<br />La faccia sua era faccia d’uom giusto,<br />tanto benigna avea di fuor la pelle,<br />12 e d’un serpente tutto l’altro fusto;<br />due branche avea pilose insin l’ascelle;<br />lo dosso e ’l petto e ambedue le coste<br />15 dipinti avea di nodi e di rotelle.<br />Con più color, sommesse e sovraposte<br />non fer mai drappi Tartari né Turchi,<br />18 né fuor tai tele per Aragne imposte.<br />Come tal volta stanno a riva i burchi,<br />che parte sono in acqua e parte in terra,<br />21 e come là tra li Tedeschi lurchi<br />lo bivero s’assetta a far sua guerra,<br />così la fiera pessima si stava<br />24 su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.<br />Nel vano tutta sua coda guizzava,<br />torcendo in sù la venenosa forca<br />27 ch’a guisa di scorpion la punta armava.<br />Lo duca disse: "Or convien che si torca<br />la nostra via un poco insino a quella<br />30 bestia malvagia che colà si corca".<br />Però scendemmo a la destra mammella,<br />e diece passi femmo in su lo stremo,<br />33 per ben cessar la rena e la fiammella.<br />E quando noi a lei venuti semo,<br />poco più oltre veggio in su la rena<br />36 gente seder propinqua al loco scemo.<br />Quivi ’l maestro "Acciò che tutta piena<br />esperïenza d’esto giron porti",<br />39 mi disse, "va, e vedi la lor mena.<br />Li tuoi ragionamenti sian là corti;<br />mentre che torni, parlerò con questa,<br />42 che ne conceda i suoi omeri forti".<br />Così ancor su per la strema testa<br />di quel settimo cerchio tutto solo<br />45 andai, dove sedea la gente mesta.<br />Per li occhi fora scoppiava lor duolo;<br />di qua, di là soccorrien con le mani<br />48 quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:<br />non altrimenti fan di state i cani<br />or col ceffo or col piè, quando son morsi<br />51 o da pulci o da mosche o da tafani.<br />Poi che nel viso a certi li occhi porsi,<br />ne’ quali ’l doloroso foco casca,<br />54 non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi<br />che dal collo a ciascun pendea una tasca<br />ch’avea certo colore e certo segno,<br />57 e quindi par che ’l loro occhio si pasca.<br />E com’io riguardando tra lor vegno,<br />in una borsa gialla vidi azzurro<br />60 che d’un leone avea faccia e contegno.<br />Poi, procedendo di mio sguardo il curro,<br />vidine un’altra come sangue rossa,<br />63 mostrando un’oca bianca più che burro.<br />E un che d’una scrofa azzurra e grossa<br />segnato avea lo suo sacchetto bianco,<br />66 mi disse: "Che fai tu in questa fossa?<br />Or te ne va; e perché se’ vivo anco,<br />sappi che ’l mio vicin Vitalïano<br />69 sederà qui dal mio sinistro fianco.<br />Con questi Fiorentin son padoano:<br />spesse fïate mi ’ntronan li orecchi<br />72 gridando: "Vegna ’l cavalier sovrano,<br />che recherà la tasca con tre becchi!"".<br />Qui distorse la bocca e di fuor trasse<br />75 la lingua, come bue che ’l naso lecchi.<br />E io, temendo no ’l più star crucciasse<br />lui che di poco star m’avea ’mmonito,<br />78 torna’mi in dietro da l’anime lasse.<br />Trova’ il duca mio ch’era salito<br />già su la groppa del fiero animale,<br />81 e disse a me: "Or sie forte e ardito.<br />Omai si scende per sì fatte scale;<br />monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,<br />84 sì che la coda non possa far male".<br />Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo<br />de la quartana, c’ha già l’unghie smorte,<br />87 e triema tutto pur guardando ’l rezzo,<br />tal divenn’io a le parole porte;<br />ma vergogna mi fé le sue minacce,<br />90 che innanzi a buon segnor fa servo forte.<br />I’ m’assettai in su quelle spallacce;<br />sì volli dir, ma la voce non venne<br />93 com’io credetti: "Fa che tu m’abbracce".<br />Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne<br />ad altro forse, tosto ch’i’ montai<br />96 con le braccia m’avvinse e mi sostenne;<br />e disse: "Gerïon, moviti omai:<br />le rote larghe, e lo scender sia poco;<br />99 pensa la nova soma che tu hai".<br />Come la navicella esce di loco<br />in dietro in dietro, sì quindi si tolse;<br />102 e poi ch’al tutto si sentì a gioco,<br />là ’v’era ’l petto, la coda rivolse,<br />e quella tesa, come anguilla, mosse,<br />105 e con le branche l’aere a sé raccolse.<br />Maggior paura non credo che fosse<br />quando Fetonte abbandonò li freni,<br />108 per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse;<br />né quando Icaro misero le reni<br />sentì spennar per la scaldata cera,<br />111 gridando il padre a lui "Mala via tieni!",<br />che fu la mia, quando vidi ch’i’ era<br />ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta<br />114 ogne veduta fuor che de la fera.<br />Ella sen va notando lenta lenta;<br />rota e discende, ma non me n’accorgo<br />117 se non che al viso e di sotto mi venta.<br />Io sentia già da la man destra il gorgo<br />far sotto noi un orribile scroscio,<br />120 per che con li occhi ’n giù la testa sporgo.<br />Allor fu’ io più timido a lo stoscio,<br />però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;<br />123 ond’io tremando tutto mi raccoscio.<br />E vidi poi, ché nol vedea davanti,<br />lo scendere e ’l girar per li gran mali<br />126 che s’appressavan da diversi canti.<br />Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali,<br />che sanza veder logoro o uccello<br />129 fa dire al falconiere "Omè, tu cali!",<br />discende lasso onde si move isnello,<br />per cento rote, e da lunge si pone<br />132 dal suo maestro, disdegnoso e fello;<br />così ne puose al fondo Gerïone<br />al piè al piè de la stagliata rocca,<br />135 e, discarcate le nostre persone,<br />si dileguò come da corda cocca.<br /><br />PARAFRASI<br />"Ecco il mostro dalla coda acuminata, che varca le montagne, e infrange ogni ostacolo; ecco quello che appesta col suo fetore l’intero universo! " Così cominciò a dirmi Virgilio; e gli fece segno di accostarsi all’orlo del burrone, vicino al termine degli argini pietrosi che avevamo percorso. E quell’immondo simbolo di frode gíunse, e portò sull’orlo la testa e il tronco, ma non depose sulla riva la coda. Il suo volto era volto di uomo onesto, tanto benevolo era il suo aspetto esteriore, e tutto il resto del corpo era quello di un serpente; aveva due zampe artigliate pelose fino alle ascelle; aveva il dorso e il petto e ambedue i fianchi disegnati con nodi e piccoli cerchi: né Tartari né Turchi fecero mai tappeti con più colori, con maggior varietà di fondi e di disegni a rilievo, né simili tele furono tessute da Aracne (espertissima tessitrice della Lidía che sfidò Minerva e fu dalla dea trasformata in ragno). Come a volte le barche sono ferme a riva, con una parte del loro scafo in acqua e una parte sulla terraferma, e come nelle terre abitate dai Tedeschi crapuloni il castoro si dispone a cacciare i pesci, così il peggiore dei mostri, stava sul margine che, pietroso, cinge la distesa di sabbia. L’intera sua coda si agitava nel vuoto, contorcendo in alto la velenosa estremità biforcuta che aveva le punte munite di aculei come quella di uno scorpione. Virgilio disse: " Occorre adesso che il nostro cammino sia deviato un poco fino a quella bestia perversa che si trova là ". Perciò scendemmo verso destra, e percorremmo dieci passi sull’estremità del cerchio, per evitare completamente la sabbia e la pioggia di fuoco. E quando fummo giunti vicino a lei, vidi un po’ più in là sulla sabbia gente che sedeva vicino all’abisso. Qui Virgilio: " Affinché tu abbia una conoscenza completa di questo girone" mi disse, "avvicinati a loro, e osserva la loro condizione. I tuoi discorsi siano lì brevi: finché non sarai tornato, parlerò con questa (bestia), perché ci offra le sue vigorose spalle ". Così me ne andai tutto solo ancora sull’orlo estremo del settimo cerchio, dove sedeva la gente tormentata. Il dolore di questi dannati prorompeva in lagrime attraverso gli occhi; si proteggevano con le mani, agitandole di qua e di là, ora dalle fiamme, e ora dal terreno infuocato: non diversamente fanno i cani d’estate ora con il muso, ora con la zampa, quando sono morsicati o dalle pulci o dalle mosche o dai tafani. Dopo che ebbi fissato lo sguardo nel volto di alcuni, sui quali cade il fuoco tormentatore, non riconobbi nessuno; ma osservai che a ciascuno di loro pendeva dal collo una borsa, che aveva un colore determinato e un determinato disegno, e sembrava che il loro sguardo traesse nutrimento da queste borse. E a mano a mano che li andavo osservando più attentamente, vidi su una borsa gialla dell’azzurro che aveva sembianza e atteggiamento di leone. Poi, mentre il carro dei mio sguardo procedeva, oltre, ne vidi un’altra rossa come sangue, che ostentava un’oca candida più del burro. E uno che aveva disegnata sulla sua borsa bianca una scrofa azzurra e pingue, mi disse: " Che fai in questa voragine? Parla, secondo la maggior parte dei critici, il padovano Reginaldo degli Scrovegni. "L'interrogazione stizzosa - scrive il Torraca - lascia intendere che l'usuraio s'è accorto di aver innanzi un vivo, e ne è scontento". Ora vattene; e poiché sei ancora vivo, sappi che il mio concittadino Vitaliano siederà qui alla mia sinistra. L'usuraio qui menzionato è probabilmente Vitaliano del Dente, podestà a Vicenza nel 1304 e a Padova nel 1307. Insieme a questi fiorentini sono padovano: molte volte mi assordano l’udíto gridando: "Venga il grande cavaliere, che porterà la borsa coi tre caproni !" " A questo punto storse la bocca e tirò fuori la lingua come un bue che sì lecca, il naso. E io, temendo che un ulteriore indugio infastidisse Virgilio che mi aveva raccomandato una breve sosta, tornai indietro (allontanandomi) da quelle anime afflitte. Trovai Virgilio che era già salito sulla groppa del mostro terrificante, e che mi disse: " Ora sii forte e coraggioso. D’ora in poi si scende con tali mezzi: sali davanti, perché io voglio stare nel mezzo, in modo che la coda non possa nuocere ". Come colui che sente così vicino il brivido della malaria, da averne già le unghie livide, e che trema in ogni sua fibra al solo vedere un luogo pieno d’ombra, tale divenni dopo le parole pronunciate (da Virgilio); ma mi ammonì il pudore, il quale rende il servo coraggioso in presenza di un valente padrone. lo mi sedetti su quelle paurose spalle: provai bensì a dire, ma la voce non uscì come credetti: " Fa in modo di cingermi con le tue braccia ". Ma egli, che già altre volte mi aveva aiutato in altri momenti di pericolo, appena fui salito, mi cinse e mi sorresse con le braccia; e disse: " Gerione, è tempo di partire: i giri siano ampi, e la discesa graduale: tieni conto del carico inusitato che trasporti ". Corne la barca si stacca dal punto dove ha attraccato procedendo a ritroso, così si staccò di lì; e dopo che si sentì del tutto a suo agio, volse la coda, là dove prima era il petto, e, tesa, la mosse come un’anguilla, e con le zampe tirò a sé l’aria. Non credo che fosse maggiore la paura quando Fetonte lasciò andare le redini, motivo per cui il cielo, come ancora si vede, fu bruciato; né quando l’infelice Icaro sentì le spalle perdere le penne a causa della cera che si era scaldata, mentre il padre gli gridava: " Fai un percorso sbagliato! ", di quanto fosse la mia, allorché vidi che mi trovavo circondato da ogni parte dall’aria, e vidi scomparire la vista di ogni cosa fuorché quella del mostro. Esso procede nuotando lentamente: scende compiendo cerchi, ma non me ne rendo conto se non per il fatto che l’aria mi colpisce in volto e dal basso. Io sentivo già a destra la cascata (del Flegetonte) fare sotto di noi uno spaventoso fragore, per cui sporsi verso il basso la testa per vedere, Allora temetti maggiormente di cadere, perché vidi fuochi e udii pianti; perciò tremando strinsi fortemente le gambe (al dorso di Gerione). E mi resi conto allora, poiché non me ne ero accorto prima, dello scendere in cerchio a causa dei grandi supplizi che si avvicinavano ora da una parte ora dall’altra. Come il falco che è stato a lungo in volo, il quale, senza aver veduto il richiamo del cacciatore o alcuna preda, fa dire al falconiere " Ahimè, tu stai calando! ", scende stanco verso il luogo dal quale si era mosso agile, con innumerevoli giri, e si posa lontano dal suo padrone, sdegnoso e crucciato, così Gerione ci depose sul fondo, proprio ai piedi della rupe tagliata a picco e, liberatosi del peso dei nostri corpi, sparì come freccia che si stacchi dalla corda dell’arco.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-87233431288848538452009-05-10T00:56:00.000-07:002009-05-10T00:57:46.501-07:00CANTO SEDICESIMOGià era in loco onde s’udia ’l rimbombo<br />de l’acqua che cadea ne l’altro giro,<br />3 simile a quel che l’arnie fanno rombo,<br />quando tre ombre insieme si partiro,<br />correndo, d’una torma che passava<br />6 sotto la pioggia de l’aspro martiro.<br />Venian ver’ noi, e ciascuna gridava:<br />"Sòstati tu ch’a l’abito ne sembri<br />9 esser alcun di nostra terra prava".<br />Ahimé, che piaghe vidi ne’ lor membri,<br />ricenti e vecchie, da le fiamme incese!<br />12 Ancor men duol pur ch’i’ me ne rimembri.<br />A le lor grida il mio dottor s’attese;<br />volse ’l viso ver’ me, e: "Or aspetta",<br />15 disse, "a costor si vuole esser cortese.<br />E se non fosse il foco che saetta<br />la natura del loco, i’ dicerei<br />18 che meglio stesse a te che a lor la fretta".<br />Ricominciar, come noi restammo, ei<br />l’antico verso; e quando a noi fuor giunti,<br />21 fenno una rota di sé tutti e trei.<br />Qual sogliono i campion far nudi e unti,<br />avvisando lor presa e lor vantaggio,<br />24 prima che sien tra lor battuti e punti,<br />così rotando, ciascuno il visaggio<br />drizzava a me, sì che ’n contraro il collo<br />27 faceva ai piè continüo vïaggio.<br />E "Se miseria d’esto loco sollo<br />rende in dispetto noi e nostri prieghi",<br />30 cominciò l’uno, "e ’l tinto aspetto e brollo,<br />la fama nostra il tuo animo pieghi<br />a dirne chi tu se’, che i vivi piedi<br />33 così sicuro per lo ’nferno freghi.<br />Questi, l’orme di cui pestar mi vedi,<br />tutto che nudo e dipelato vada,<br />36 fu di grado maggior che tu non credi:<br />nepote fu de la buona Gualdrada;<br />Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita<br />39 fece col senno assai e con la spada.<br />L’altro, ch’appresso me la rena trita,<br />è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce<br />42 nel mondo sù dovria esser gradita.<br />E io, che posto son con loro in croce,<br />Iacopo Rusticucci fui, e certo<br />45 la fiera moglie più ch’altro mi nuoce".<br />S’i’ fossi stato dal foco coperto,<br />gittato mi sarei tra lor di sotto,<br />48 e credo che ’l dottor l’avria sofferto;<br />ma perch’io mi sarei brusciato e cotto,<br />vinse paura la mia buona voglia<br />51 che di loro abbracciar mi facea ghiotto.<br />Poi cominciai: "Non dispetto, ma doglia<br />la vostra condizion dentro mi fisse,<br />54 tanta che tardi tutta si dispoglia,<br />tosto che questo mio segnor mi disse<br />parole per le quali i’ mi pensai<br />57 che qual voi siete, tal gente venisse.<br />Di vostra terra sono, e sempre mai<br />l’ovra di voi e li onorati nomi<br />60 con affezion ritrassi e ascoltai.<br />Lascio lo fele e vo per dolci pomi<br />promessi a me per lo verace duca;<br />63 ma ’nfino al centro pria convien ch’i’ tomi".<br />"Se lungamente l’anima conduca<br />le membra tue", rispuose quelli ancora,<br />66 "e se la fama tua dopo te luca,<br />cortesia e valor dì se dimora<br />ne la nostra città sì come suole,<br />69 o se del tutto se n’è gita fora;<br />ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole<br />con noi per poco e va là coi compagni,<br />72 assai ne cruccia con le sue parole".<br />"La gente nuova e i sùbiti guadagni<br />orgoglio e dismisura han generata,<br />75 Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni".<br />Così gridai con la faccia levata;<br />e i tre, che ciò inteser per risposta,<br />78 guardar l’un l’altro com’al ver si guata.<br />"Se l’altre volte sì poco ti costa",<br />rispuoser tutti, "il satisfare altrui,<br />81 felice te se sì parli a tua posta!<br />Però, se campi d’esti luoghi bui<br />e torni a riveder le belle stelle,<br />84 quando ti gioverà dicere "I’ fui",<br />fa che di noi a la gente favelle".<br />Indi rupper la rota, e a fuggirsi<br />87 ali sembiar le gambe loro isnelle.<br />Un amen non saria potuto dirsi<br />tosto così com’e’ fuoro spariti;<br />90 per ch’al maestro parve di partirsi.<br />Io lo seguiva, e poco eravam iti,<br />che ’l suon de l’acqua n’era sì vicino,<br />93 che per parlar saremmo a pena uditi.<br />Come quel fiume c’ha proprio cammino<br />prima dal Monte Viso ’nver’ levante,<br />96 da la sinistra costa d’Apennino,<br />che si chiama Acquacheta suso, avante<br />che si divalli giù nel basso letto,<br />99 e a Forlì di quel nome è vacante,<br />rimbomba là sovra San Benedetto<br />de l’Alpe per cadere ad una scesa<br />102 ove dovea per mille esser recetto;<br />così, giù d’una ripa discoscesa,<br />trovammo risonar quell’acqua tinta,<br />105 sì che ’n poc’ora avria l’orecchia offesa.<br />Io avea una corda intorno cinta,<br />e con essa pensai alcuna volta<br />108 prender la lonza a la pelle dipinta.<br />Poscia ch’io l’ebbi tutta da me sciolta,<br />sì come ’l duca m’avea comandato,<br />111 porsila a lui aggroppata e ravvolta.<br />Ond’ei si volse inver’ lo destro lato,<br />e alquanto di lunge da la sponda<br />114 la gittò giuso in quell’alto burrato.<br />"E’ pur convien che novità risponda",<br />dicea fra me medesmo, "al novo cenno<br />117 che ’l maestro con l’occhio sì seconda".<br />Ahi quanto cauti li uomini esser dienno<br />presso a color che non veggion pur l’ovra,<br />120 ma per entro i pensier miran col senno!<br />El disse a me: "Tosto verrà di sovra<br />ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna;<br />123 tosto convien ch’al tuo viso si scovra".<br />Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna<br />de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote,<br />126 però che sanza colpa fa vergogna;<br />ma qui tacer nol posso; e per le note<br />di questa comedìa, lettor, ti giuro,<br />129 s’elle non sien di lunga grazia vòte,<br />ch’i’ vidi per quell’aere grosso e scuro<br />venir notando una figura in suso,<br />132 maravigliosa ad ogne cor sicuro,<br />sì come torna colui che va giuso<br />talora a solver l’àncora ch’aggrappa<br />135 o scoglio o altro che nel mare è chiuso,<br />che ’n sù si stende e da piè si rattrappa.<br /><br />PARAFRASI<br />Mi trovavo già in un luogo dal quale si udiva il fragore dell’acqua (del fiumicello) che precipitava nel cerchio seguente, simile a quel ronzio cupo che producono gli alveari, allorché tre ombre si staccarono contemporaneamente, correndo, da una schiera che passava sotto la pioggia del crudele supplizio. Venivano verso di noi, e ciascuna gridava: " Fermati tu che dall’abito ci sembri essere uno della nostra città malvagia ". Ahimè, quali ferite recenti e antiche, aperte dalle fiamme, vidi nelle loro membra! Ne provo ancora dolore soltanto a ricordarmene. Alle loro grida Virgilio fermò la propria attenzione; volse il viso verso di me, e disse: " Aspetta: bisogna essere cortesi con costoro. E se non fosse per le fiamme che la natura del luogo scaglia, direi che converrebbe a te più che a loro l’affrettarsi ". Non appena ci fummo fermati, essi ripresero (a muoversi) nel solito modo; e quando furono giunti presso di noi, si disposero in cerchio tutti e tre, come sono soliti fare i lottatori nudi e unti, nel momento in cui cercano con gli occhi la presa più vantaggiosa, prima di colpirsi e ferirsi a vicenda; e così girando, ciascuno volgeva il viso verso di me, in modo che il collo si muoveva continuamente in direzione opposta a quella dei piedi. E " Se la triste condizione di questo luogo sabbioso e il nostro aspetto annerito e devastato rendono spregevoli noi e le nostre preghiere" cominciò uno di essi " la nostra fama induca il tuo animo a dirci chi sei tu, che così immune da tormenti cammini ancora vivo nell’inferno. Questo, di cui mi vedi calpestare le orme, benché cammini nudo e spellato, fu di condizione più elevata di quanto tu possa credere: fu nipote della virtuosa Gualdrada; ebbe nome Guido Guerra, e nella sua vita si distinse per ingegno e valore, Se io fossi stato al riparo dal fuoco, mi sarei lanciato di sotto in mezzo a loro, e credo che Virgilio lo avrebbe permesso; ma poiché sarei stato arso dalle fiamme, il timore prevalse sul mio lodevole desiderio che mi rendeva bramoso di abbracciarli. Poi cominciai: "La condizione nella quale vi trovate non ha suscitato in me disprezzo, ma un dolore tanto grande che passerà molto tempo prima che io me ne liberi completamente, allorché Virgilio mi disse parole dalle quali argomentai che si avvicinassero anime grandi quali voi siete. Appartengo alla vostra città, e ho sempre appreso e ascoltato le vostre opere e i vostri nomi onorati con commozione. Lascio l’amarezza del peccato e mi dirigo verso i dolci frutti del bene a me promessi dalla mia guida (Virgilio) veritiera; ma occorre che io precipiti prima fino al centro (della terra) ". "Possa tu vivere a lungo" rispose ancora quello, " e la tua fama risplendere dopo la tua morte, ma di’ se nella nostra città abitano ancora cortesia e valore così come solevano, o se sono completamente scomparsi; poiché Guglielmo Borsiere, il quale da poco soffre qui con noi, e cammina là con i compagni, ci addolora molto con le sue parole." " La gente nuova (pervenuta di recente alle cariche politiche e arrivata in gran parte dal contado) e gli improvvisi guadagni hanno prodotto superbia e sfrenatezza, in te, Firenze, tanto che già te ne duoli." Così gridai a testa alta; e i tre, che interpretarono queste parole come una risposta, si guardarono l’un l’altro come ci si guarda quando si ode una verità (che rattrista). " Se ti costa sempre così poco sforzo " risposero tutti " accontentare gli altri, te fortunato se riesci ad esprimerti così bene ! Perciò, possa tu scampare a questi luoghi oscuri e tornare a rivedere le belle stelle, quando ti sarà dolce dire "Io fui (nell’inferno)", (in nome di questo augurio) fa in modo di parlare alla gente di noi. " Quindi ruppero il cerchio, e le loro agili gambe sembrarono ali nel fuggire. Non si sarebbe potuto pronunciare un amen così rapidamente come essi sparirono; e perciò Virgilio giudicò opportuno che ci allontanassimo. lo lo seguivo, ed avevamo percorso poco cammino, quando il fragore dell’acqua ci fu così vicino, che se avessimo parlato ci saremmo uditi appena. Come quel fiume che, per primo (per chi guarda) dal Monviso verso levante, ha (tra i fiumi che nascono) dal versante sinistro dell’Appennino, un corso interamente suo, il quale nella parte superiore si chiama Acquacheta, prima di scendere nel suo alveo in pianura, e a Forlì non ha più quel nome rimbomba sopra San Benedetto dell’Alpe per il fatto che precipita attraverso una sola cascata ove dovrebbe essere ricevuto da mille (cascate), così trovammo che rimbombava quell’acqua oscura, riversandosi attraverso un pendio ripido, in modo tale che avrebbe in poco tempo danneggiato l’udito. Io avevo una corda legata intorno (ai fianchi), e con essa avevo pensato una volta di catturare la lonza dal manto screziato. Dopo essermi completamente slegato, così come mi aveva ordinato Virgilio, gliela porsi stretta e avvolta. Per cui egli si volse verso destra, e la gettò giù in quel profondo precipizio alquanto lontano dalla sponda. " Eppure occorre che qualcosa di nuovo appaia " dicevo fra me stesso " in risposta al segnale inusitato che Vìrgìlio segue con lo sguardo così attentamente. " Ahi quanto prudenti devono essere gli uommi davanti a coloro che non vedono soltanto le azioni, ma penetrano con l’ inteffigenza dentro i pensieri ! Egli mi disse: " Fra poco salirà ciò che attendo e che il tuo pensiero confusamente immagina : fra poco dovrà apparire alla tua vista ". L’uomo deve sempre tacere, finché può, quella verità che ha apparenza di menzogna (per il fatto che è incredibile), poiché essa, senza che egli ne abbia colpa, lo pone nella condizione di vergognarsi; ma a questo punto non posso tacere (la verità); e sui versi di questa commedia, o lettore, ti giuro, così possano essi non essere privi di accoglienza gradita che duri a lungo, che vidi attraverso quell’aria densa e tenebrosa venire nuotando verso l’alto una figura, tale da destare sgomento in ogni animo forte, così come torna alla superficie colui che scende talvolta a disincagliare l’ancora impigliata o in uno scoglio o in altra cosa chiusa nel mare, il quale si tende nella parte superiore del corpo, e si rattrappisce in quella inferiore.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-23047323055062049802009-05-10T00:54:00.000-07:002009-05-10T00:56:09.276-07:00CANTO QUINDICESIMOOra cen porta l’un de’ duri margini;<br />e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia,<br />3 sì che dal foco salva l’acqua e li argini.<br />Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,<br />temendo ’l fiotto che ’nver’ lor s’avventa,<br />6 fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia;<br />e quali Padoan lungo la Brenta,<br />per difender lor ville e lor castelli,<br />9 anzi che Carentana il caldo senta:<br />a tale imagine eran fatti quelli,<br />tutto che né sì alti né sì grossi,<br />12 qual che si fosse, lo maestro félli.<br />Già eravam da la selva rimossi<br />tanto, ch’i’ non avrei visto dov’era,<br />15 perch’io in dietro rivolto mi fossi,<br />quando incontrammo d’anime una schiera<br />che venian lungo l’argine, e ciascuna<br />18 ci riguardava come suol da sera<br />guardare uno altro sotto nuova luna;<br />e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia<br />21 come ’l vecchio sartor fa ne la cruna.<br />Così adocchiato da cotal famiglia,<br />fui conosciuto da un, che mi prese<br />24 per lo lembo e gridò: "Qual maraviglia!".<br />E io, quando ’l suo braccio a me distese,<br />ficcaï li occhi per lo cotto aspetto,<br />27 sì che ’l viso abbrusciato non difese<br />la conoscenza süa al mio ’ntelletto;<br />e chinando la mano a la sua faccia,<br />30 rispuosi: "Siete voi qui, ser Brunetto?".<br />E quelli: "O figliuol mio, non ti dispiaccia<br />se Brunetto Latino un poco teco<br />33 ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia".<br />I’ dissi lui: "Quanto posso, ven preco;<br />e se volete che con voi m’asseggia,<br />36 faròl, se piace a costui che vo seco".<br />"O figliuol", disse, "qual di questa greggia<br />s’arresta punto, giace poi cent’anni<br />39 sanz’arrostarsi quando ’l foco il feggia.<br />Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni;<br />e poi rigiugnerò la mia masnada,<br />42 che va piangendo i suoi etterni danni".<br />Io non osava scender de la strada<br />per andar par di lui; ma ’l capo chino<br />45 tenea com’uom che reverente vada.<br />El cominciò: "Qual fortuna o destino<br />anzi l’ultimo dì qua giù ti mena?<br />48 e chi è questi che mostra ’l cammino?".<br />"Là sù di sopra, in la vita serena",<br />rispuos’io lui, "mi smarri’ in una valle,<br />51 avanti che l’età mia fosse piena.<br />Pur ier mattina le volsi le spalle:<br />questi m’apparve, tornand’ïo in quella,<br />54 e reducemi a ca per questo calle".<br />Ed elli a me: "Se tu segui tua stella,<br />non puoi fallire a glorïoso porto,<br />57 se ben m’accorsi ne la vita bella;<br />e s’io non fossi sì per tempo morto,<br />veggendo il cielo a te così benigno,<br />60 dato t’avrei a l’opera conforto.<br />Ma quello ingrato popolo maligno<br />che discese di Fiesole ab antico,<br />63 e tiene ancor del monte e del macigno,<br />ti si farà, per tuo ben far, nimico;<br />ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi<br />66 si disconvien fruttare al dolce fico.<br />Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;<br />gent’è avara, invidiosa e superba:<br />69 dai lor costumi fa che tu ti forbi.<br />La tua fortuna tanto onor ti serba,<br />che l’una parte e l’altra avranno fame<br />72 di te; ma lungi fia dal becco l’erba.<br />Faccian le bestie fiesolane strame<br />di lor medesme, e non tocchin la pianta,<br />75 s’alcuna surge ancora in lor letame,<br />in cui riviva la sementa santa<br />di que’ Roman che vi rimaser quando<br />78 fu fatto il nido di malizia tanta".<br />"Se fosse tutto pieno il mio dimando",<br />rispuos’io lui, "voi non sareste ancora<br />81 de l’umana natura posto in bando;<br />ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,<br />la cara e buona imagine paterna<br />84 di voi quando nel mondo ad ora ad ora<br />m’insegnavate come l’uom s’etterna:<br />e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo<br />87 convien che ne la mia lingua si scerna.<br />Ciò che narrate di mio corso scrivo,<br />e serbolo a chiosar con altro testo<br />90 a donna che saprà, s’a lei arrivo.<br />Tanto vogl’io che vi sia manifesto,<br />pur che mia coscïenza non mi garra,<br />93 ch’a la Fortuna, come vuol, son presto.<br />Non è nuova a li orecchi miei tal arra:<br />però giri Fortuna la sua rota<br />96 come le piace, e ’l villan la sua marra".<br />Lo mio maestro allora in su la gota<br />destra si volse in dietro e riguardommi;<br />99 poi disse: "Bene ascolta chi la nota".<br />Né per tanto di men parlando vommi<br />con ser Brunetto, e dimando chi sono<br />102 li suoi compagni più noti e più sommi.<br />Ed elli a me: "Saper d’alcuno è buono;<br />de li altri fia laudabile tacerci,<br />105 ché ’l tempo sarìa corto a tanto suono.<br />In somma sappi che tutti fur cherci<br />e litterati grandi e di gran fama,<br />108 d’un peccato medesmo al mondo lerci.<br />Priscian sen va con quella turba grama,<br />e Francesco d’Accorso anche; e vedervi,<br />111 s’avessi avuto di tal tigna brama,<br />colui potei che dal servo de’ servi<br />fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione,<br />114 dove lasciò li mal protesi nervi.<br />Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone<br />più lungo esser non può, però ch’i’ veggio<br />117 là surger nuovo fummo del sabbione.<br />Gente vien con la quale esser non deggio.<br />Sieti raccomandato il mio Tesoro,<br />120 nel qual io vivo ancora, e più non cheggio".<br />Poi si rivolse, e parve di coloro<br />che corrono a Verona il drappo verde<br />123 per la campagna; e parve di costoro<br />quelli che vince, non colui che perde.<br /><br />PARAFRASI<br />Ora ci porta una delle due salde sponde; e il vapore del ruscello fa schermo, in modo da riparare dalle fiamme l’acqua e gli argini. Come la diga che i Fiamminghi, temendo la marea che si scaglia contro di loro, innalzano tra Wissant e Bruges perché il mare si ritiri, e come quella che i Padovani (innalzano) lungo il corso del Brenta, per proteggere le loro città e i loro borghi fortificati, prima che la Carinzia (comprendeva anche la Valsugana dove nasce il Brenta) senta il caldo (che, sciogliendo le nevi, fa ingrossare i fiumi), in tal modo erano costruiti quegli argini, benché l’artefice, chiunque egli fosse stato, non li avesse fatti né così alti né così larghi. Già ci eravamo allontanati dalla selva tanto, che non avrei veduto dove essa era, anche se io mi fossi voltato indietro, quando incontrammo un gruppo di anime che camminavano lungo l’argine, e ognuna ci osservava come ci si scruta di sera nel periodo del novilunio; e aguzzavano lo sguardo verso di noi avvicinando l’una all’altra le palpebre così come il vecchio sarto fa (nello sforzo di introdurre il filo) nella cruna dell’ago. Osservato in tal modo da questa schiera, fui riconosciuto da uno, che afferrò l’orlo della mia veste e gridò: "Quale sorpresa! " E io, allorché tese il suo braccio verso di me, fissai lo sguardo in quei lineamenti bruciati, in modo che il volto ustionato non impedì alla mia mente di riconoscerlo; e chinando il mio viso verso il suo, risposi: "Qui vi trovate, ser Brunetto? " E quello: " Figliolo, non ti rincresca il fatto che Brunetto Latini torni un po’ indietro con te e abbandoni la schiera ". Gli dissi: " Ve ne prego di tutto cuore; e se volete che mi sieda con voi, lo farò, se la cosa incontra l’approvazione di costui insieme al quale cammino ". " Figlio ", disse, " chiunque di questa schiera si ferma per un attiimo, giace poi per cento anni senza poter difendersi quando la pioggia di fuoco lo colpisce. Perciò continua a procedere: io ti camminerò accanto; poi raggiungerò la mia schiera, che sconta dolorosamente la sua pena eterna. " Io non osavo scendere dall’argine (della strada) per camminare al suo stesso livello; ma tenevo la testa china come chi cammina pieno di riverenza. Egli cominciò a parlare: "Quale caso o quale volere divino ti conduce quaggiù prima dell’ultimo giorno (prima della morte)? e chi è costui che indica la strada? " " Lassù, nel mondo luminoso " gli risposi " mi perdetti in una valle, prima che la parabola della mia vita fosse giunta al suo culmine. Soltanto ieri mattina l’ho lasciata: costui mi si mostrò nel momento in cui stavo per rientrare in essa, e mi riconduce a casa (sulla retta via) attraverso questo cammino." Ed egli: " Se tu segui l’ astro che ti guida, non puoi non approdare alla gloria, se non errai nel mio giudizio mentre ero tra i vivi; e se io non fossi morto tanto presto, vedendo il cielo a te così favorevole, ti avrei incoraggiato e sostenuto nella tua opera. Ma quel popolo ingrato e perverso che anticamente scese da Fiesole, e ancora conserva l’indole della rupe e della pietra, diventerà, per il tuo retto agire, tuo nemìco: ed è giusto, poiché il dolce fico non deve produrre i suoi frutti in mezzo ai sorbi aspri. Un antico detto nel mondo dei vivi li definisce ciechi; è gente avara, invidiosa e superba: fa in modo di mantenerti immune dai loro costumi . La tua sorte ti riserva tanto onore, che sia l’uno che l’altro partito (sia i Neri che i Bianchi) vorranno divorarti; ma l’erba sarà lontana dal caprone, Le belve discese da Fiesole facciano foraggio di loro medesime (si divorino fra di loro), e non tocchino l’albero, se in mezzo alla loro sozzura se ne eleva ancor uno, nel quale riviva il sacro seme di quei Romani che lì si fermarono allorché si costituì il covo di tanta malvagità ". " Se la mia preghiera fosse stata interamente esaudita " gli risposi, " voi non sareste ancora morto (dell’umana natura posto in bando: esiliato dalla vita umana). poiché nella mia memoria è impresso, e adesso mi addolora, il caro e buon aspetto paterno che avevate quando in vita di tanto in tanto mi insegnavate come l’uomo acquista gloria imperitura: e quanto (il vostro aspetto) mi sia gradito, è giusto che si veda attraverso le mie parole. Quello che mi raccontate sul corso della mia vita lo annoto nella memoria, e lo conservo per farlo interpretare insieme con un’altra predizione (la profezia di Farinata) da una donna (Beatrìce) che ne sarà capace, se sarò in grado di arrivare fino a lei. Questo soltanto voglio che sappiate: sono preparato ai colpi della Fortuna, comunque voglia colpirmi, purché la mia coscienza non mi rimproveri. Una tale promessa non è nuova al mio udito: perciò la Fortuna giri pure la sua ruota come vuole, e il contadino la sua zappa." Virgilio si volse allora indietro verso destra, e mi fissò; poi disse: "Ascolta con profitto una cosa chi sa ricordarla ". Nondimeno continuo a camminare parlando con ser Brunetto, e chiedo chi siano i suoi compagni più celebri e più egregi. Ed egli: " E’ bene apprendere qualcosa intorno ad alcuni (di loro); degli altri sarà cosa lodevole non fare menzione, poiché il tempo non basterebbe a un discorso così lungo. Sappi in breve che furono tutti ecclesiastici e dotti di grande valore e di grande rinomanza, insozzati in vita da un medesimo peccato. Con quella folla infelice se ne vanno Prisciano e Francesco d’Accorso; e se avessi avuto desiderio di guardare una tale sozzura, avresti potuto vedere in essa colui che dal pontefice fu trasferito da Firenze a Vicenza, dove lasciò la sua vita peccaminosa. Parlerei più a lungo; ma il camminare e il parlare non possono essere prolungati, poiché vedo laggiù levarsi nuova polvere dalla distesa sabbiosa. Si avvicina una schiera alla quale non devo unirmi: ti sia raccomandato il mio Tesoro nel quale sopravvívo, e non chiedo altro ". Poi si voltò, e sembrò uno di quelli che a Verona corrono nella campagna (gareggiando per vincere) il drappo verde; e sembrò quello che tra costoro vince, non quello che perde.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-74674769464943988932009-05-10T00:53:00.000-07:002009-05-10T00:54:50.701-07:00CANTO QUATTORDICESIMOPoi che la carità del natio loco<br />mi strinse, raunai le fronde sparte<br />3 e rende’le a colui, ch’era già fioco.<br />Indi venimmo al fine ove si parte<br />lo secondo giron dal terzo, e dove<br />6 si vede di giustizia orribil arte.<br />A ben manifestar le cose nove,<br />dico che arrivammo ad una landa<br />9 che dal suo letto ogne pianta rimove.<br />La dolorosa selva l’è ghirlanda<br />intorno, come ’l fosso tristo ad essa;<br />12 quivi fermammo i passi a randa a randa.<br />Lo spazzo era una rena arida e spessa,<br />non d’altra foggia fatta che colei<br />15 che fu da’ piè di Caton già soppressa.<br />O vendetta di Dio, quanto tu dei<br />esser temuta da ciascun che legge<br />18 ciò che fu manifesto a li occhi miei!<br />D’anime nude vidi molte gregge<br />che piangean tutte assai miseramente,<br />21 e parea posta lor diversa legge.<br />Supin giacea in terra alcuna gente,<br />alcuna si sedea tutta raccolta,<br />24 e altra andava continüamente.<br />Quella che giva ’ntorno era più molta,<br />e quella men che giacëa al tormento,<br />27 ma più al duolo avea la lingua sciolta.<br />Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento,<br />piovean di foco dilatate falde,<br />30 come di neve in alpe sanza vento.<br />Quali Alessandro in quelle parti calde<br />d’Indïa vide sopra ’l suo stuolo<br />33 fiamme cadere infino a terra salde,<br />per ch’ei provide a scalpitar lo suolo<br />con le sue schiere, acciò che lo vapore<br />36 mei si stingueva mentre ch’era solo:<br />tale scendeva l’etternale ardore;<br />onde la rena s’accendea, com’esca<br />39 sotto focile, a doppiar lo dolore.<br />Sanza riposo mai era la tresca<br />de le misere mani, or quindi or quinci<br />42 escotendo da sé l’arsura fresca.<br />I’ cominciai: "Maestro, tu che vinci<br />tutte le cose, fuor che ’ demon duri<br />45 ch’a l’intrar de la porta incontra uscinci,<br />chi è quel grande che non par che curi<br />lo ’ncendio e giace dispettoso e torto,<br />48 sì che la pioggia non par che ’l marturi?".<br />E quel medesmo, che si fu accorto<br />ch’io domandava il mio duca di lui,<br />51 gridò: "Qual io fui vivo, tal son morto.<br />Se Giove stanchi ’l suo fabbro da cui<br />crucciato prese la folgore aguta<br />54 onde l’ultimo dì percosso fui;<br />o s’elli stanchi li altri a muta a muta<br />in Mongibello a la focina negra,<br />57 chiamando "Buon Vulcano, aiuta, aiuta!",<br />sì com’el fece a la pugna di Flegra,<br />e me saetti con tutta sua forza:<br />60 non ne potrebbe aver vendetta allegra".<br />Allora il duca mio parlò di forza<br />tanto, ch’i’ non l’avea sì forte udito:<br />63 "O Capaneo, in ciò che non s’ammorza<br />la tua superbia, se’ tu più punito;<br />nullo martiro, fuor che la tua rabbia,<br />66 sarebbe al tuo furor dolor compito".<br />Poi si rivolse a me con miglior labbia,<br />dicendo: "Quei fu l’un d’i sette regi<br />69 ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’elli abbia<br />Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi;<br />ma, com’io dissi lui, li suoi dispetti<br />72 sono al suo petto assai debiti fregi.<br />Or mi vien dietro, e guarda che non metti,<br />ancor, li piedi ne la rena arsiccia;<br />75 ma sempre al bosco tien li piedi stretti".<br />Tacendo divenimmo là ’ve spiccia<br />fuor de la selva un picciol fiumicello,<br />78 lo cui rossore ancor mi raccapriccia.<br />Quale del Bulicame esce ruscello<br />che parton poi tra lor le peccatrici,<br />81 tal per la rena giù sen giva quello.<br />Lo fondo suo e ambo le pendici<br />fatt’era ’n pietra, e ’ margini dallato;<br />84 per ch’io m’accorsi che ’l passo era lici.<br />"Tra tutto l’altro ch’i’ t’ho dimostrato,<br />poscia che noi intrammo per la porta<br />87 lo cui sogliare a nessuno è negato,<br />cosa non fu da li tuoi occhi scorta<br />notabile com’è ’l presente rio,<br />90 che sovra sé tutte fiammelle ammorta".<br />Queste parole fuor del duca mio;<br />per ch’io ’l pregai che mi largisse ’l pasto<br />93 di cui largito m’avëa il disio.<br />"In mezzo mar siede un paese guasto",<br />diss’elli allora, "che s’appella Creta,<br />96 sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto.<br />Una montagna v’è che già fu lieta<br />d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;<br />99 or è diserta come cosa vieta.<br />Rëa la scelse già per cuna fida<br />del suo figliuolo, e per celarlo meglio,<br />102 quando piangea, vi facea far le grida.<br />Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,<br />che tien volte le spalle inver’ Dammiata<br />105 e Roma guarda come süo speglio.<br />La sua testa è di fin oro formata,<br />e puro argento son le braccia e ’l petto,<br />108 poi è di rame infino a la forcata;<br />da indi in giuso è tutto ferro eletto,<br />salvo che ’l destro piede è terra cotta;<br />111 e sta ’n su quel, più che ’n su l’altro, eretto.<br />Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta<br />d’una fessura che lagrime goccia,<br />114 le quali, accolte, fóran quella grotta.<br />Lor corso in questa valle si diroccia;<br />fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;<br />117 poi sen van giù per questa stretta doccia,<br />infin, là ove più non si dismonta,<br />fanno Cocito; e qual sia quello stagno<br />120 tu lo vedrai, però qui non si conta".<br />E io a lui: "Se ’l presente rigagno<br />si diriva così dal nostro mondo,<br />123 perché ci appar pur a questo vivagno?".<br />Ed elli a me: "Tu sai che ’l loco è tondo;<br />e tutto che tu sie venuto molto,<br />126 pur a sinistra, giù calando al fondo,<br />non se’ ancor per tutto il cerchio vòlto;<br />per che, se cosa n’apparisce nova,<br />129 non de’ addur maraviglia al tuo volto".<br />E io ancor: "Maestro, ove si trova<br />Flegetonta e Letè? ché de l’un taci,<br />132 e l’altro di’ che si fa d’esta piova".<br />"In tutte tue question certo mi piaci",<br />rispuose, "ma ’l bollor de l’acqua rossa<br />135 dovea ben solver l’una che tu faci.<br />Letè vedrai, ma fuor di questa fossa,<br />là dove vanno l’anime a lavarsi<br />138 quando la colpa pentuta è rimossa".<br />Poi disse: "Omai è tempo da scostarsi<br />dal bosco; fa che di retro a me vegne:<br />141 li margini fan via, che non son arsi,<br />e sopra loro ogne vapor si spegne".<br /><br />PARAFRASI<br />Poiché l’amore di patria mi riempì di commozione, raccolsi le fronde disperse, e le restituii a quell’anima, che ormai era muta. Giungemmo quindi al confine dove il secondo girone si separa dal terzo, e dove si contempla una spaventosa opera della giustizia. Per spiegare bene le cose qui vedute per la prima volta, dico che arrivammo presso una pianura che respinge dalla sua superficie ogni forma di vegetazione. La triste foresta (dei suicidi) la circonda, come il fiume di sangue circonda quest’ultima: qui ci arrestammo sul margine. Il terreno era una sabbia asciutta e compatta, non dissimile da quella che fu calpestata un tempo da Catone. O castigo di Dio, quanto devi essere temuto da chiunque legge ciò che apparve ai miei occhi! Vidi molte schiere di dannati indifesi che piangevano tutte con grande strazio, e appariva imposta a ciascuna una diversa punizione. Alcuni (i bestemmiatori) giacevano in terra in posizione supina; altri (gli usurai) sedevano tutti rannicchiati, altri ancora (i sodomiti) camminavano senza posa. Quelli che camminavano girando intorno erano più numerosi, mentre quelli che sostenevano il castigo distesi erano in minor numero, ma più pronti a manifestare il dolore. Sulla distesa dì sabbia, per tutta la sua ampiezza, scendevano lentamente, larghe falde di fuoco, come (falde) di neve su una montagna senza vento. Come le fiamme che nelle calde regioni dell’India Alessandro vide cadere compatte fino a terra sul suo esercito, e perciò fece calpestare il terreno dalle schiere, perché il fuoco si spegneva meglio, finché era isolato, allo stesso modo, scendeva il fuoco eterno; e perciò la sabbia si infiammava, come materia infiammabile sotto l’acciarino, per raddoppiare la sofferenza. Il movimento frenetico delle misere mani era incessante, nello scostare dai corpi il fuoco appena caduto. Cominciai a parlare: " Maestro, tu che superi ogni difficoltà, tranne i diavoli ostinati che ci uscirono incontro mentre stavamo per entrare attraverso la porta (di Dite), chi è quel grande che non sembra tenere in considerazione le fiamme e giace sprezzante e torvo, in modo che la pioggia (di fuoco) non sembra fiaccarlo ?" E quello stesso accortosi che chiedevo di lui a Virgilio, gridò: " Come fui da vìvo, così sono da morto. Anche se Giove facesse lavorare fino all’esaurimento delle forze il suo fabbro (Vulcano) dal quale adirato prese il fulmine acuminato con cui mi colpì nell’ultimo giorno della mia vita; anche se facesse stancare gli altri (i Ciclopi), un gruppo dopo l’altro, nella nera fucina dentro l’Etna, invocando: "Esperto Vulcano. Aiuto, aiuto!", così come fece durante la battaglia di Flegra (combattuta tra i giganti che tentavano di scalare l’Olimpo e gli dei), e mi fulminasse con tutta la sua forza, non potrebbe gioire della sua vendetta". Allora Virgilio parlò con tanta veemenza, come non lo avevo udito mai fino allora: " O Capaneo, proprio nel fatto che non si modera la tua superbia, tu sei maggiormente punito: nessun supplizio, all’infuori della tua rabbia, sarebbe una sofferenza adeguata al tuo furore " . Poi si rivolse verso di me con viso più sereno dicendo: "Quello fu uno dei sette re che assediarono Tebe; ed ebbe e sembra abbia Dio in dispregio, e sembra che poco lo stimi; ma, come gli dissi, i suoi atteggiamenti di disprezzo sono ornamenti assai appropriati al suo animo. Seguimi adesso, e stai attento, anche ora, a non mettere i piedi nella sabbia bruciata; ma tieni sempre i piedi a contatto col suolo del bosco ". In silenzio giungemmo, nel punto dove scaturisce dalla selva un fiumicello, il cui colore rosso ancora mi fa raccapricciare. Come dal Bulicame esce un ruscello che le pettinatrici (della canapa) dividono poi fra di loro, similmente quello scorreva attraverso la sabbia. Il suo letto ed entrambe le sponde erano fatti di pietra, come pure gli argini laterali; e perciò mi accorsi che lì era il passaggio (attraverso la sabbia infuocata). " Fra tutte le altre cose che ti ho mostrato, dopo che entrammo attraverso la porta (dell’inferno) il cui ingresso non è precluso a nessuno, i tuoi occhi non videro nessuna cosa notevole come questo corso d’acqua, che sopra di sé smorza tutte le fiammelle. " Queste furono le parole della mia guida; perciò la pregai che mi concedesse il cibo di cui mi aveva dato il desiderio (che mi spiegasse le cose che, dopo il suo accenno, desideravo sapere). " In mezzo al mare si trova una terra desolata " disse Virgilio allora, " che si chiama Creta, sotto il cui re un tempo il mondo fu virtuoso. Vi si trova una montagna una volta allietata da acque e vegetazione, il cui nome fu Ida: ora è abbandonata come cosa vecchia. Rea la scelse una volta come nascondiglio sicuro per suo figlio, e per celarlo meglio, quando piangeva, ordinava di gridare. Dentro il monte sta eretto un gran vecchio, che tiene le spalle volte verso Damiata (Damietta, su una delle foci del Nilo: indica qui l’Oriente) e guarda Roma come fosse il suo specchio, Il suo capo è fatto di oro puro, le braccia e il petto sono di puro argento, poi è di rame fino al punto in cui le gambe si biforcano; da questo punto in giù è tutto di ferro scelto, eccetto il piede destro che è di terracotta; e si appoggia più su questo che sull’altro piede. Ogni parte, fuorché quella d’oro, è incisa da una fessura che stilla lagrime, le quali, raccolte insieme, perforano la roccia. Esse precipitano di roccia in roccia in questo abisso: formano l’Acheronte, lo Stige e il Flegetonte; poi scendono attraverso questo stretto canale fino al punto ove più non si scende: formano il Cocito; e che aspetto abbia quella palude, lo vedrai; perciò adesso non ne parlo." E io: " Se questo fiumicello scaturisce quindi dalla terra, perché ci si mostra soltanto su questo margine ? " E Virgilio: "Tu sai che questo luogo ha forma circolare; benché, scendendo verso il fondo, tu ti sia inoltrato parecchio procedendo sempre a sinistra, non hai ancora compiuto un giro intero: perciò, se appare una cosa nuova, essa non deve apportare un’espressione di stupore sul tuo volto ". E io ancora: " Maestro, dove si trovano il Flegetonte e il Letè ? poiché di uno di questi non parli, e dell’altro dici che ha origine da questa pioggia (di lagrime)". " In tutte le tue domande riscuoti certamente la mia approvazione " rispose; "ma il ribollire dell’acqua rossa doveva ben risolvere uno dei due quesiti che proponi. Vedrai il Letè, ma fuori di questo abisso, là dove le anime vanno a detergersi quando ogni peccato di cui si sono pentite è cancellato. " Quindi disse: " Ormai è tempo di allontanarsi dal bosco; fa in modo di seguire i miei passi: gli argini, che non sono bruciati dal fuoco, indicano la strada, e sopra di loro ogni fiamma si spegne ".berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-36941932145003846562009-05-10T00:52:00.001-07:002009-05-10T00:53:25.525-07:00CANTO TREDICESIMONon era ancor di là Nesso arrivato,<br />quando noi ci mettemmo per un bosco<br />3 che da neun sentiero era segnato.<br />Non fronda verde, ma di color fosco;<br />non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;<br />6 non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.<br />Non han sì aspri sterpi né sì folti<br />quelle fiere selvagge che ’n odio hanno<br />9 tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.<br />Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,<br />che cacciar de le Strofade i Troiani<br />12 con tristo annunzio di futuro danno.<br />Ali hanno late, e colli e visi umani,<br />piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;<br />15 fanno lamenti in su li alberi strani.<br />E ’l buon maestro "Prima che più entre,<br />sappi che se’ nel secondo girone",<br />18 mi cominciò a dire, "e sarai mentre<br />che tu verrai ne l’orribil sabbione.<br />Però riguarda ben; sì vederai<br />21 cose che torrien fede al mio sermone".<br />Io sentia d’ogne parte trarre guai,<br />e non vedea persona che ’l facesse;<br />24 per ch’io tutto smarrito m’arrestai.<br />Cred’ïo ch’ei credette ch’io credesse<br />che tante voci uscisser, tra quei bronchi,<br />27 da gente che per noi si nascondesse.<br />Però disse ’l maestro: "Se tu tronchi<br />qualche fraschetta d’una d’este piante,<br />30 li pensier c’hai si faran tutti monchi".<br />Allor porsi la mano un poco avante,<br />e colsi un ramicel da un gran pruno;<br />33 e ’l tronco suo gridò: "Perché mi schiante?".<br />Da che fatto fu poi di sangue bruno,<br />ricominciò a dir: "Perché mi scerpi?<br />36 non hai tu spirto di pietade alcuno?<br />Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:<br />ben dovrebb’esser la tua man più pia,<br />39 se state fossimo anime di serpi".<br />Come d’un stizzo verde ch’arso sia<br />da l’un de’capi, che da l’altro geme<br />42 e cigola per vento che va via,<br />sì de la scheggia rotta usciva insieme<br />parole e sangue; ond’io lasciai la cima<br />45 cadere, e stetti come l’uom che teme.<br />"S’elli avesse potuto creder prima",<br />rispuose ’l savio mio, "anima lesa,<br />48 ciò c’ha veduto pur con la mia rima,<br />non averebbe in te la man distesa;<br />ma la cosa incredibile mi fece<br />51 indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa.<br />Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece<br />d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi<br />54 nel mondo sù, dove tornar li lece".<br />E ’l tronco: "Sì col dolce dir m’adeschi,<br />ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi<br />57 perch’ïo un poco a ragionar m’inveschi.<br />Io son colui che tenni ambo le chiavi<br />del cor di Federigo, e che le volsi,<br />60 serrando e diserrando, sì soavi,<br />che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi:<br />fede portai al glorïoso offizio,<br />63 tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.<br />La meretrice che mai da l’ospizio<br />di Cesare non torse li occhi putti,<br />66 morte comune e de le corti vizio,<br />infiammò contra me li animi tutti;<br />e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,<br />69 che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.<br />L’animo mio, per disdegnoso gusto,<br />credendo col morir fuggir disdegno,<br />72 ingiusto fece me contra me giusto.<br />Per le nove radici d’esto legno<br />vi giuro che già mai non ruppi fede<br />75 al mio segnor, che fu d’onor sì degno.<br />E se di voi alcun nel mondo riede,<br />conforti la memoria mia, che giace<br />78 ancor del colpo che ’nvidia le diede".<br />Un poco attese, e poi "Da ch’el si tace",<br />disse ’l poeta a me, "non perder l’ora;<br />81 ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace".<br />Ond’ïo a lui: "Domandal tu ancora<br />di quel che credi ch’a me satisfaccia;<br />84 ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora".<br />Perciò ricominciò: "Se l’om ti faccia<br />liberamente ciò che ’l tuo dir priega,<br />87 spirito incarcerato, ancor ti piaccia<br />di dirne come l’anima si lega<br />in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,<br />90 s’alcuna mai di tai membra si spiega".<br />Allor soffiò il tronco forte, e poi<br />si convertì quel vento in cotal voce:<br />93 "Brievemente sarà risposto a voi.<br />Quando si parte l’anima feroce<br />dal corpo ond’ella stessa s’è disvelta,<br />96 Minòs la manda a la settima foce.<br />Cade in la selva, e non l’è parte scelta;<br />ma là dove fortuna la balestra,<br />99 quivi germoglia come gran di spelta.<br />Surge in vermena e in pianta silvestra:<br />l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie,<br />102 fanno dolore, e al dolor fenestra.<br />Come l’altre verrem per nostre spoglie,<br />ma non però ch’alcuna sen rivesta,<br />105 ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie.<br />Qui le strascineremo, e per la mesta<br />selva saranno i nostri corpi appesi,<br />108 ciascuno al prun de l’ombra sua molesta".<br />Noi eravamo ancora al tronco attesi,<br />credendo ch’altro ne volesse dire,<br />111 quando noi fummo d’un romor sorpresi,<br />similemente a colui che venire<br />sente ’l porco e la caccia a la sua posta,<br />114 ch’ode le bestie, e le frasche stormire.<br />Ed ecco due da la sinistra costa,<br />nudi e graffiati, fuggendo sì forte,<br />117 che de la selva rompieno ogni rosta.<br />Quel dinanzi: "Or accorri, accorri, morte!".<br />E l’altro, cui pareva tardar troppo,<br />120 gridava: "Lano, sì non furo accorte<br />le gambe tue a le giostre dal Toppo!".<br />E poi che forse li fallia la lena,<br />123 di sé e d’un cespuglio fece un groppo.<br />Di rietro a loro era la selva piena<br />di nere cagne, bramose e correnti<br />126 come veltri ch’uscisser di catena.<br />In quel che s’appiattò miser li denti,<br />e quel dilaceraro a brano a brano;<br />129 poi sen portar quelle membra dolenti.<br />Presemi allor la mia scorta per mano,<br />e menommi al cespuglio che piangea<br />132 per le rotture sanguinenti in vano.<br />"O Iacopo", dicea, "da Santo Andrea,<br />che t’è giovato di me fare schermo?<br />135 che colpa ho io de la tua vita rea?".<br />Quando ’l maestro fu sovr’esso fermo,<br />disse "Chi fosti, che per tante punte<br />138 soffi con sangue doloroso sermo?".<br />Ed elli a noi: "O anime che giunte<br />siete a veder lo strazio disonesto<br />141 c’ha le mie fronde sì da me disgiunte,<br />raccoglietele al piè del tristo cesto.<br />I’ fui de la città che nel Batista<br />144 mutò il primo padrone; ond’ei per questo<br />sempre con l’arte sua la farà trista;<br />e se non fosse che ’n sul passo d’Arno<br />147 rimane ancor di lui alcuna vista,<br />que’ cittadin che poi la rifondarno<br />sovra ’l cener che d’Attila rimase,<br />150 avrebber fatto lavorare indarno.<br />Io fei gibetto a me de le mie case".<br /><br />PARAFRASI<br />Nesso non era, ancora arrivato di là (dal guado), quando noi entrammo in un bosco che non aveva alcuna traccia di sentieri. Non c’erano foglie verdi, ma di colore scuro; non rami lisci e diritti, ma nodosi e contorti; non frutti, ma spine con veleno: quegli animali selvaggi che (in Maremma) tra il fiume Cecina e la località di Corneto odiano i luoghi coltivati, non hanno (per loro dimora) macchie così irte e pungentì e così folte. Qui fanno i loro nidi le sozze Arpie, che costrinsero alla fuga dalle isole Strofadi i Troiani con la funesta profezia di mali futuri. Hanno ali larghe, colli e facce di esseri umani, piedi con artigli, e il grande ventre coperto di penne; si lamentano, in modo strano, sugli alberi. E il valente maestro: " Prima che tu ti inoltri, sappi che sei nel secondo girone " cominciò a dirmi, " e vi starai fino a quando tu arriverai all’orribile distesa sabbiosa: perciò guarda ripetutamente e con attenzione; così facendo vedrai cose tali che toglierebbero credito alle mie parole". lo sentivo da ogni parte emettere lamenti acuti, e non vedevo nessuno che li facesse; per questo tutto smarrito mi fermai. Ritengo che Virgilio pensasse che io credessi che voci così numerose uscissero, (passando) tra quegli alberi secchi, da gente che si nasc:ondesse a noi. Perciò il maestro disse: " Se tu spezzi un qualsiasi ramoscello di una di queste piante, i tuoi pensieri si dimostreranno tutti erronei ". Allora stesi la mano un poco in avanti, e colsi un ramoscello da un grande albero spinoso; e il suo tronco gridò: " Perché mi schianti ? " Poi, dopo che si coprì di sangue, ricominciò a dire: " Perché mi strappi ? non hai tu alcun senso di pietà? Fummo uomini, e ora siamo trasformati in piante selvatiche: la tua mano dovrebbe essere anche più pietosa, se fossimo state anime di serpi ". Come da un tizzone verde al quale ad una estremità sia appiccato il fuoco, che dall’altra stilla gocce di umore e stride a causa dell’arla interna che ne esce, allo stesso modo dal ramo rotto uscivano insieme parole e sangue; perciò io lasciai cadere il ramoscello, e rimasi immobile come chi ha paura. "Se egli avesse potuto credere senza provare" rispose il saggio Virgilio: "o anima ferita, ciò che ha veduto soltanto per mezzo della mia poesia, non avrebbe stesa la mano contro di te; ma la cosa, in sé incredibile, mi spinse a indurlo a compiere un atto che rincresce a me per primo. Ma digli chi tu fosti, cosicché invece di un qualche risarcimento ravvivi la tua fama nel mondo dei vivi, dove gli è lecito ritornare. " E il tronco (disse) : " Mi attiri, con l’esca delle tue dolci parole in modo tale, che io non posso tacere; e a voi non pesi se io mi trattengo un poco a discorrere. Io sono colui, che tenni tutte e due le chiavi del cuore di Federico, e che le girai, aprendo e chiudendo, così delicatamente, che esclusi quasi ogni altra persona dalla sua intimità: fui tanto fedele al mio glorioso incarico, che a causa di ciò perdetti la quiete e la salute. L’invidia, rovina di tutti è male delle corti, che mai ha distolto il suo sguardo disonesto dalla corte imperiale, aizzò tutti gli animi contro di me; e gli aizzati aizzarono tanto l’imperatore, che le gloriose onorificenze si convertirono in cupi dolori. Il mio animo, per sprezzante compiacimento, credendo che con la morte si sarebbe sottratto al disprezzo, mi rese ingiusto contro me stesso (che ero invece) giusto. Per le mostruose radici di questo albero vi giuro che mai venni meno alla fedeltà verso il mio signore, che fu tanto degno di rispetto. E se l’uno o l’altro di voi torna nel mondo, renda giustizia alla mia memoria, che è ancora prostrata per il colpo che l’invidia le inferse ". Virgilio attese un poco, e poi mi disse: " Dal momento che egli tace non perdere tempo; ma parla, rivolgigli domande, se hai piacere di sapere di più ". Perciò io dissi a lui: " Domanda ancora tu ciò che credi possa appagarmi; perché io non potrei, da così grande pietà sono toccato nel cuore! " Perciò riprese: " Se ti verrà fatto spontaneamente il favore che le tue parole chiedono in tono di preghìera, spirito prigioniero, ti sia gradito ancora di dirci in che modo l’anima si rapprende in questi duri nodi; e rivelaci, se puoi, se mai qualche anima si libera da simili membra. Allora il tronco soffiò forte, e poi quel soffio si convertì in tali parole " Vi sarà data una risposta breve. Quando l’anima crudele (contro il corpo) si separa dal corpo dal quale essa stessa si è strappata, Minosse la manda al settimo cerchio. Cade nella selva, e non le è prescelto il luogo; ma là dove il caso la scaglia, qui germoglia come seme di frumento. Cresce in forma di virgulto e di pianta selvatica: poi le Arpie, pascendosi delle sue foglie, le procurano dolore, e un varco alle manifestazioni di esso. Come le altre (anime) verremo (nella valle di Giosafàt) a riprendere i nostri corpi, ma non per questo alcuna di noi se ne rivestirà, poiché non è giusto avere ciò di cui ci si è privati. Trascinererno penosamente i nostri corpi (fin qui), ed essi saranno appesi nella mesta selva, ciascuno alla pianta in cui è chiusa la sua anima nemica a se stessa ". Noi eravamo ancora tutti intenti all’albero, credendo che ci volesse dire altre cose, quando fummo sorpresi da un rumore, come colui che sente arrivare il cinghiaie e i cani e i cacciatori al luogo dove si è appostato, e ode le bestie e lo stormire delle fronde. Ed ecco apparire due dal lato sinistro, nudi e pieni di graffi, che scappavano così in fretta, da rompere ogni fronda del bosco. Quello (che correva) davanti (gridava): " Presto corrimi in aiuto, corrimi in aiuto, o morte ! " E l’altro, che si accorgeva di restare pericolosamente indietro, gridava: " Lano, non furono così abili le tue gambe nella battaglia del Toppo! " E poiché forse gli mancava il fiato, di sé e di un cespuglio fece un viluppo annodato strettamente. Dietro di loro c’era la selva piena di nere cagne, bramose e veloci come cani da caccia sguinzagliati in quel momento, Azzannarono quello che si era nascosto (nel cespuglio), e lo lacerarono pezzo per pezzo; poi se ne andarono portando (con sé) quelle membra dolenti. Allora la mia guida mi prese per mano, e mi condusse al cespuglio che piangeva inutilmente attraverso gli squarci sanguinanti. Diceva il cespuglio: " O Giacomo da Sant’Andrea, a che ti è servito farti scudo di me? che colpa ho io della tua vita colpevole? " Quando il maestro si fermò presso di lui, disse: " Chi fosti, che attraverso tante ferite emetti parole dolorose insieme a sangue? " Ed egli (rispose) a noi: " O anime che siete arrivate per vedere lo strazio indecoroso che ha staccato con tanta violenza le mie fronde da me stesso, radunatele ai piedi del cespuglio miserevole. Io fui della città (Firenze) che mutò il primo patrono (Marte) con il Battista (San Giovanni Battista); onde egli (Marte) a causa di ciò sempre la affliggerà con la sua arte (la guerra); e se non fosse che sul ponte dell’Arno rimane ancora un’immagine di lui, quei cittadini che più tardi la fondarono nuovamente sulle ceneri rimaste dopo Attila, avrebbero fatto fare il lavoro inutilmente. Io mi impiccai nella mia casa ".berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-45793154277927038492009-05-10T00:51:00.001-07:002009-05-10T00:52:39.078-07:00CANTO DODICESIMOEra lo loco ov’a scender la riva<br />venimmo, alpestro e, per quel che v’er’anco,<br />3 tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva.<br />Qual è quella ruina che nel fianco<br />di qua da Trento l’Adice percosse,<br />6 o per tremoto o per sostegno manco,<br />che da cima del monte, onde si mosse,<br />al piano è sì la roccia discoscesa,<br />9 ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:<br />cotal di quel burrato era la scesa;<br />e ’n su la punta de la rotta lacca<br />12 l’infamïa di Creti era distesa<br />che fu concetta ne la falsa vacca;<br />e quando vide noi, sé stesso morse,<br />15 sì come quei cui l’ira dentro fiacca.<br />Lo savio mio inver’ lui gridò: "Forse<br />tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,<br />18 che sù nel mondo la morte ti porse?<br />Pàrtiti, bestia, ché questi non vene<br />ammaestrato da la tua sorella,<br />21 ma vassi per veder le vostre pene".<br />Qual è quel toro che si slaccia in quella<br />c’ha ricevuto già ’l colpo mortale,<br />24 che gir non sa, ma qua e là saltella,<br />vid’io lo Minotauro far cotale;<br />e quello accorto gridò: "Corri al varco;<br />27 mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale".<br />Così prendemmo via giù per lo scarco<br />di quelle pietre, che spesso moviensi<br />30 sotto i miei piedi per lo novo carco.<br />Io gia pensando; e quei disse: "Tu pensi<br />forse a questa ruina, ch’è guardata<br />33 da quell’ira bestial ch’i’ ora spensi.<br />Or vo’ che sappi che l’altra fïata<br />ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno,<br />36 questa roccia non era ancor cascata.<br />Ma certo poco pria, se ben discerno,<br />che venisse colui che la gran preda<br />39 levò a Dite del cerchio superno,<br />da tutte parti l’alta valle feda<br />tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo<br />42 sentisse amor, per lo qual è chi creda<br />più volte il mondo in caòsso converso;<br />e in quel punto questa vecchia roccia,<br />45 qui e altrove, tal fece riverso.<br />Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia<br />la riviera del sangue in la qual bolle<br />48 qual che per vïolenza in altrui noccia".<br />Oh cieca cupidigia e ira folle,<br />che sì ci sproni ne la vita corta,<br />51 e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!<br />Io vidi un’ampia fossa in arco torta,<br />come quella che tutto ’l piano abbraccia,<br />54 secondo ch’avea detto la mia scorta;<br />e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia<br />corrien centauri, armati di saette,<br />57 come solien nel mondo andare a caccia.<br />Veggendoci calar, ciascun ristette,<br />e de la schiera tre si dipartiro<br />60 con archi e asticciuole prima elette;<br />e l’un gridò da lungi: "A qual martiro<br />venite voi che scendete la costa?<br />63 Ditel costinci; se non, l’arco tiro".<br />Lo mio maestro disse: "La risposta<br />farem noi a Chirón costà di presso:<br />66 mal fu la voglia tua sempre sì tosta".<br />Poi mi tentò, e disse: "Quelli è Nesso,<br />che morì per la bella Deianira,<br />69 e fé di sé la vendetta elli stesso.<br />E quel di mezzo, ch’al petto si mira,<br />è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;<br />72 quell’altro è Folo, che fu sì pien d’ira.<br />Dintorno al fosso vanno a mille a mille,<br />saettando qual anima si svelle<br />75 del sangue più che sua colpa sortille".<br />Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:<br />Chirón prese uno strale, e con la cocca<br />78 fece la barba in dietro a le mascelle.<br />Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,<br />disse a’ compagni: "Siete voi accorti<br />81 che quel di retro move ciò ch’el tocca?<br />Così non soglion far li piè d’i morti".<br />E ’l mio buon duca, che già li er’al petto,<br />84 dove le due nature son consorti,<br />rispuose: "Ben è vivo, e sì soletto<br />mostrar li mi convien la valle buia;<br />87 necessità ’l ci ’nduce, e non diletto.<br />Tal si partì da cantare alleluia<br />che mi commise quest’officio novo:<br />90 non è ladron, né io anima fuia.<br />Ma per quella virtù per cu’ io movo<br />li passi miei per sì selvaggia strada,<br />93 danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a provo,<br />e che ne mostri là dove si guada,<br />e che porti costui in su la groppa,<br />96 ché non è spirto che per l’aere vada".<br />Chirón si volse in su la destra poppa,<br />e disse a Nesso: "Torna, e sì li guida,<br />99 e fa cansar s’altra schiera v’intoppa".<br />Or ci movemmo con la scorta fida<br />lungo la proda del bollor vermiglio,<br />102 dove i bolliti facieno alte strida.<br />Io vidi gente sotto infino al ciglio;<br />e ’l gran centauro disse: "E’ son tiranni<br />105 che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.<br />Quivi si piangon li spietati danni;<br />quivi è Alessandro, e Dïonisio fero,<br />108 che fé Cicilia aver dolorosi anni.<br />E quella fronte c’ha ’l pel così nero,<br />è Azzolino; e quell’altro ch’è biondo,<br />111 è Opizzo da Esti, il qual per vero<br />fu spento dal figliastro sù nel mondo".<br />Allor mi volsi al poeta, e quei disse:<br />114 "Questi ti sia or primo, e io secondo".<br />Poco più oltre il centauro s’affisse<br />sovr’una gente che ’nfino a la gola<br />117 parea che di quel bulicame uscisse.<br />Mostrocci un’ombra da l’un canto sola,<br />dicendo: "Colui fesse in grembo a Dio<br />120 lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola".<br />Poi vidi gente che di fuor del rio<br />tenean la testa e ancor tutto ’l casso;<br />123 e di costoro assai riconobb’io.<br />Così a più a più si facea basso<br />quel sangue, sì che cocea pur li piedi;<br />126 e quindi fu del fosso il nostro passo.<br />"Sì come tu da questa parte vedi<br />lo bulicame che sempre si scema",<br />129 disse ’l centauro, "voglio che tu credi<br />che da quest’altra a più a più giù prema<br />lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge<br />132 ove la tirannia convien che gema.<br />La divina giustizia di qua punge<br />quell’Attila che fu flagello in terra,<br />135 e Pirro e Sesto; e in etterno munge<br />le lagrime, che col bollor diserra,<br />a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,<br />138 che fecero a le strade tanta guerra".<br />Poi si rivolse e ripassossi ’l guazzo.<br /><br />PARAFRASI<br />Il luogo in cui giungemmo per scendere lungo il dirupo era scosceso e, per di più a causa di ciò che in esso si trovava (il Minotauro), tale, che ogni sguardo lo avrebbe evitato. Quale è la frana che a valle di Trento colpì in una delle sue rive l’Adige, o a causa di un terremoto o per l’erosione del terreno sottostante, in modo che il pendio dalla vetta della montagna, dalla quale la frana si staccò, alla pianura è così inclinato, da offrire una via di discesa a chi si trovasse in alto, tale era la discesa di quel burrone; e nella parte superiore della Costa franata giaceva distesa la vergogna, dei Cretesi che fu concepita nella finta vacca; e quando ci vide, morse se stesso, come colui che è sopraffatto internamente dall’ira. Il mio saggio maestro gli si rivolse gridando: " Pensi forse di trovarti in presenza del signore d’Atene, che sulla terra ti diede la morte? Allontanati, bestia: costui non giunge infatti guidato da tua sorella, ma si reca a vedere i vostri tormenti". Come fa il toro che si scioglie dai nodi che lo legano nell’istante in cui, mortalmente colpito, non è più capace di camminare, ma barcolla qua e là, tale io vidi diventare il Minotauro; e il sagace Virgilio gridò: " Corri al punto di discesa; è bene che tu scenda, mentre è infuriato ". Così ci avviammo attraverso l’ammasso di quelle pietre, che si muovevano spesso sotto i miei piedi per l’insolito peso. Procedevo meditabondo; e Virgilio disse: "Tu pensi forse a questa frana custodita da quella belva irosa che ora ho reso inoffensiva. Voglio dunque che tu sappia che la volta precedente, allorché scesi nella parte inferiore dell’inferno, questo pendio non era ancora franato. Ma, se non mi inganno, senza dubbio poco prima della venuta di colui che tolse a Satana il glorioso bottino del limbo, il profondo abisso immondo tremò in ogni sua parte tanto, che io credetti che l’ universo fosse preso da quell’amore, a causa del quale alcuni ritengono che più di una volta il mondo sia ritornato nel caos; e allora questa antica rupe subì, in questo luogo e altrove (nella bolgia degli ipocriti; Inferno XXI, 106-108), tale franamento. Ma guarda attentamente in basso, poiché si avvicina il fiume di sangue bollente in cui è immerso chiunque rechi danno ad altri con la violenza ". O irragionevole avidità e ira sconsiderata, che a tal punto ci stimoli nella breve vita terrena, e poi in tanto dolore ci immergi in quella eterna! Vidi un largo fossato circolare, in quanto cinge tutto il piano (del settimo cerchio), secondo quello che aveva detto il mio accompagnatore; e tra la base del dirupo e questo fossato, dei centauri correvano raccolti in gruppo, armati di frecce, come solevano fare sulla terra quando andavano a caccia. Vedendoci scendere, ciascuno si fermò, e tre di loro si separarono dalla schiera con archi e frecce scelte in precedenza; e uno gridò da lontano: " Verso quale pena vi dirigete voi che scendete il pendio ? Ditelo dal punto in cui vi trovate; altrimenti tendo l’arco ". Virgilio disse: " Risponderemo a Chirone quando vi saremo vicini: con tuo danno la tua volontà fu sempre così impulsiva ". Poi mi toccò, e disse: "Quello è Nesso, che perdette la vita per amore della bella Deianira e vendicò da sé la propria morte. E quello che sta In mezzo, e tiene lo sguardo abbassato, è il grande Chirone, che educò Achille; l’altro è Folo, che fu così iroso. Girano a migliaia intorno al fossato, colpendo con frecce qualsiasi dannato si trae fuori dal sangue più di quanto il suo peccato gli diede in sorte ". Ci avvicinammo a quegli animali ve1oci: Chirone prese una freccia, e con la cocca trasse indietro la barba sulle mascelle. Quando la grande bocca fu completamente libera disse ai compagni: "Vi siete accorti che colui che sta di dietro è un essere vivente ? E Virgilio, che già gli era di fronte, e arrivava all’altezza del suo petto, là dove le due nature (di uomo e di cavallo) si uniscono, rispose: " E’ veramente vivo, e a lui, a lui solo, devo mostrare l’inferno: ci spinge a ciò la necessità, non il piacere. Dal cielo si mosse qualcuno che mi affidò questo straordinario incarico: non è un ladrone, né io sono l’anima di un ladro. Ma in nome di quel potere divino, ad opera del quale percorro un cammino cosi impervio, dacci uno dei tuoi, a cui possiamo stare vicini, e che ci indichi il punto dove il fiume può essere attraversato e trasporti costui sulla sua groppa, poiché egli non è uno spirito che possa volare ". Chirone si volse a destra, e parlò a Nesso: "Volgiti indietro, e fa loro da guida, e fa scansare qualunque altra schiera s’imbatta in voi". Ci avviammo dunque insieme col sicuro accompagnatore lungo la sponda del sangue bollente, nel quale i dannatì emettevano grida laceranti. Vidi una rnoltitudine immersa fino agli occhi; e Nesso spiegò: "Essi sono tiranni che uccisero e depredarono. Qui si sconta il male arrecato agli altri senza pietà; qui si trovano Alessandro, e il crudele Dionisio, che fu causa alla Sicilia di anni dolorosi. E quella fronte coperta di così neri capelli, è (la fronte) di Ezzelino; quello biondo è invece Obizzo d’Este, il quale davvero fu ucciso in terra dal figlio snaturato ". Allora mi rivolsi a Virgilio, ed egli disse: " Nesso sia ora la tua guida, io verrò secondo ". Poco più oltre il Centauro si arrestò presso una moltitudine che appariva immersa in quel bollore fino alla gola. Ci indicò un’ombra isolata in un angolo e disse: " Quel dannato trafisse in chiesa il cuore che è ancora venerato a Londra ". Guido, conte di Montfort, vicario in Toscana di Carlo I d'Angiò, pugnalò nel 1272, in una chiesa di Viterbo, Arrigo, cugìno del re d'Inghilterra Edoardo I, che gli aveva ucciso il padre. Sulla tomba di Arrigo, posta sul ponte del Tamigi a Londra, una statua dorata, secondo quanto riferisce un antico commentatore, Benvenuto da ImoIa, reggeva un calice contenente il suo cuore imbalsamato. Vidi in seguito una moltitudine che teneva fuori del fiume il capo ed anche tutto il petto; e riconobbi parecchi di costoro. A questo modo il livello del sangue andava sempre più diminuendo, fino a bruciare soltanto i piedi; qui guadammo il fossato. " Così come vedi che il liquido bollente si abbassa progressivamente da questa parte " disse il Centauro, " voglio che tu sappia che dalla parte opposta il suo alveo diventa sempre più profondo, finché si ricongiunge al punto dove è giusto che i tiranni espiino. Da quest’altra parte la giustizia di Dio punisce Attila che sulla terra fu strumento di dolore e Pirro e Sesto; e per l’eternità spreme le lagrime, che fa sgorgare con il supplizio del sangue bollente, a Rinieri da Corneto, a Rinieri dei Pazzi, che resero così pericolose le strade. " Poi si voltò indietro, e riattraversò il pantano.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-74051077154027077522009-05-10T00:46:00.000-07:002009-05-10T00:51:39.123-07:00CANTO UNDICESIMOIn su l’estremità d’un’alta ripa<br />che facevan gran pietre rotte in cerchio,<br />3 venimmo sopra più crudele stipa;<br />e quivi, per l’orribile soperchio<br />del puzzo che ’l profondo abisso gitta,<br />6 ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio<br />d’un grand’avello, ov’io vidi una scritta<br />che dicea: "Anastasio papa guardo,<br />9 lo qual trasse Fotin de la via dritta".<br />"Lo nostro scender conviene esser tardo,<br />sì che s’ausi un poco in prima il senso<br />12 al tristo fiato; e poi no i fia riguardo".<br />Così ’l maestro; e io "Alcun compenso",<br />dissi lui, "trova che ’l tempo non passi<br />15 perduto". Ed elli: "Vedi ch’a ciò penso".<br />"Figliuol mio, dentro da cotesti sassi",<br />cominciò poi a dir, "son tre cerchietti<br />18 di grado in grado, come que’ che lassi.<br />Tutti son pien di spirti maladetti;<br />ma perché poi ti basti pur la vista,<br />21 intendi come e perché son costretti.<br />D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista,<br />ingiuria è ’l fine, ed ogne fin cotale<br />24 o con forza o con frode altrui contrista.<br />Ma perché frode è de l’uom proprio male,<br />più spiace a Dio; e però stan di sotto<br />27 li frodolenti, e più dolor li assale.<br />Di vïolenti il primo cerchio è tutto;<br />ma perché si fa forza a tre persone,<br />30 in tre gironi è distinto e costrutto.<br />A Dio, a sé, al prossimo si pòne<br />far forza, dico in loro e in lor cose,<br />33 come udirai con aperta ragione.<br />Morte per forza e ferute dogliose<br />nel prossimo si danno, e nel suo avere<br />36 ruine, incendi e tollette dannose;<br />onde omicide e ciascun che mal fiere,<br />guastatori e predon, tutti tormenta<br />39 lo giron primo per diverse schiere.<br />Puote omo avere in sé man vïolenta<br />e ne’ suoi beni; e però nel secondo<br />42 giron convien che sanza pro si penta<br />qualunque priva sé del vostro mondo,<br />biscazza e fonde la sua facultade,<br />45 e piange là dov’esser de’ giocondo.<br />Puossi far forza ne la deïtade,<br />col cor negando e bestemmiando quella,<br />48 e spregiando natura e sua bontade;<br />e però lo minor giron suggella<br />del segno suo e Soddoma e Caorsa<br />51 e chi, spregiando Dio col cor, favella.<br />La frode, ond’ogne coscïenza è morsa,<br />può l’omo usare in colui che ’n lui fida<br />54 e in quel che fidanza non imborsa.<br />Questo modo di retro par ch’incida<br />pur lo vinco d’amor che fa natura;<br />57 onde nel cerchio secondo s’annida<br />ipocresia, lusinghe e chi affattura,<br />falsità, ladroneccio e simonia,<br />60 ruffian, baratti e simile lordura.<br />Per l’altro modo quell’amor s’oblia<br />che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,<br />63 di che la fede spezïal si cria;<br />onde nel cerchio minore, ov’è ’l punto<br />de l’universo in su che Dite siede,<br />66 qualunque trade in etterno è consunto".<br />E io: "Maestro, assai chiara procede<br />la tua ragione, e assai ben distingue<br />69 questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede.<br />Ma dimmi: quei de la palude pingue,<br />che mena il vento, e che batte la pioggia,<br />72 e che s’incontran con sì aspre lingue,<br />perché non dentro da la città roggia<br />sono ei puniti, se Dio li ha in ira?<br />75 e se non li ha, perché sono a tal foggia?".<br />Ed elli a me "Perché tanto delira",<br />disse "lo ’ngegno tuo da quel che sòle?<br />78 o ver la mente dove altrove mira?<br />Non ti rimembra di quelle parole<br />con le quai la tua Etica pertratta<br />81 le tre disposizion che ’l ciel non vole,<br />incontenenza, malizia e la matta<br />bestialitade? e come incontenenza<br />84 men Dio offende e men biasimo accatta?<br />Se tu riguardi ben questa sentenza,<br />e rechiti a la mente chi son quelli<br />87 che sù di fuor sostegnon penitenza,<br />tu vedrai ben perché da questi felli<br />sien dipartiti, e perché men crucciata<br />90 la divina vendetta li martelli".<br />"O sol che sani ogni vista turbata,<br />tu mi contenti sì quando tu solvi,<br />93 che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.<br />Ancora in dietro un poco ti rivolvi",<br />diss’io, "là dove di’ ch’usura offende<br />96 la divina bontade, e ’l groppo solvi".<br />"Filosofia", mi disse, "a chi la ’ntende,<br />nota, non pure in una sola parte,<br />99 come natura lo suo corso prende<br />dal divino ’ntelletto e da sua arte;<br />e se tu ben la tua Fisica note,<br />102 tu troverai, non dopo molte carte,<br />che l’arte vostra quella, quanto pote,<br />segue, come ’l maestro fa ’l discente;<br />105 sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote.<br />Da queste due, se tu ti rechi a mente<br />lo Genesì dal principio, convene<br />108 prender sua vita e avanzar la gente;<br />e perché l’usuriere altra via tene,<br />per sé natura e per la sua seguace<br />111 dispregia, poi ch’in altro pon la spene.<br />Ma seguimi oramai, che ’l gir mi piace;<br />ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta,<br />114 e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace,<br />e ’l balzo via là oltra si dismonta".<br /><br />PARAFRASI<br />Sull’orlo di un alto pendio, formato da grandi macigni spaccati disposti circolarmente, Giungemmo al di sopra di una folla sottoposta a più dolorosi tormenti; e qui per lo spaventoso insopportabile fetore che esala il basso inferno, cercammo riparo dietro il coperchio di una grande tomba, sul quale vidi la seguente iscrizione: " Custodisco papa Anastasio, che Fotino allontanò dalla giusta strada ". "Occorre che la nostra discesa sia ritardata, in modo che prima il nostro olfatto si abitui un poco alla pestifera esalazione; dopo non dovremo più prendere, riguardo ad essa, alcuna precauzione." Così parlò Virgilio; e io gli dissi: "Trova un compenso (alla nostra sosta), in modo che il tempo non scorra inutilmente ". E Virgilio: " E’ proprio ciò a cui sto pensando". "Figliolo, all’interno di questa riva pietrosa" prese poi a dire "si trovano tre cerchi piccoli, (rispetto ai precedenti), digradanti come quelli dai quali sei uscito. Sono tutti pieni di anime dannate; ma perché poi ti sia sufficiente soltanto vederle (senza più bisogno di spiegazioni), odi in che modo e per quale motivo si trovano in essi stipate. Lo scopo di ogni cattiva azione, che suscita ira in cielo, è la violazione di un diritto, ed ogni scopo di questo genere (ogni ingiuria) offende qualcuno o con la violenza o con la frode. Ma poiché la frode è malvagità propria dell’uomo, essa spiace maggiormente a Dio; perciò i fraudolenti stanno in basso e sono sottoposti a tormenti maggiori. Il primo dei tre cerchi è interamente occupato dai violenti; ma poiché si compie violenza contro tre specie di persone, esso è stato costruito e suddiviso in tre zone concentriche. Si può usar violenza contro Dio, se stessi, il prossimo, e precisamente tanto contro loro personalmente quanto contro le cose che loro appartengono, come ti sarà spiegato attraverso un ragionamento più chiaro. Al prossimo si possono infliggere morte violenta e dolorose ferite, e ai suoi beni distruzioni, incendi ed estorsioni dannose; perciò il primo girone punisce, divisi in gruppi (per diverse schiere), tutti quanti gli omicidi e chiunque colpevolmente ferisce, i saccheggiatori e i ladroni. Si può usar violenza contro se stessi e contro i propri averi; e perciò è giusto che nel secondo girone si penta inutilmente chiunque priva se stesso della vita, dilapida al gioco e sperpera le sue ricchezze, e (quindi) piange là dove avrebbe dovuto essere lieto. Si può usare violenza contro Dio, rinnegandolo in cuore e apertamente bestemmiandolo, e recando oltraggio alla sua bontà nella natura; perciò il girone più piccolo segna del suo marchio sia Sodoma sia Cahors, sia colui che parla disprezzando Dio nel suo animo (il bestemmiatore). Significativa in proposito è la seguente frase del Boccaccio: "Come l'uomo dice dì alcuno - egli è Caorsino - come s'intende ch'egli sia usuraio". La frode, che offende ogni coscienza, può essere usata tanto contro colui che si fida quanto contro colui che non ha fiducia. Questo secondo tipo di frode sembra distruggere soltanto il vincolo d’amore creato (tra gli uomini) dalla natura; perciò nel secondo cerchio (della città di Dite, ottavo di tutto l’inferno) sono raccolti i peccati di ipocrisia, adulazione e magia, falsificazione, latrocinio e simonia, seduzione, baratteria e colpe ugualmente immonde. L’altro tipo di frode fa dimenticare sia il vincolo dell’amore naturale, sia quello che ad esso si aggiunge in seguito, dal quale nasce la fiducia specifica; perciò,nel cerchio più piccolo, dove si trova il punto dell’universo occupato da Lucifero (Dite), chiunque tradisce è dilaniato da tormenti eterni. " Ed io: " Maestro, il tuo ragionamento si svolge con grande chiarezza, e descrive assai bene questo abisso e le genti in esso contenute. Ma spiegami: quelli della palude melmosa, quelli travolti dal vento, e quelli che la pioggia percuote, e quegli altri che, incontrandosi, così aspramente si insultano, perché non sono puniti dentro la città arroventata, se Dio li ha in odio? e se non li ha, perché si trovano in tali condizioni ? " Non ti ricordi delle parole con le quali I’Etica, libro a te familiare, tratta a fondo le tre inclinazioni che Dio disapprova, l’incontinenza, la malizia e la sfrenata bestialità? e di come l’incontinenza offenda meno Dio, e attiri su di sé una condanna minore? Se tu riesamini attentamente questa affermazione, e ricordi chi sono coloro che vengono puniti nella parte alta dell’inferno, fuori della città di Dite, "O luce che come sole liberi la vista (dell’intelletto) da ogni offuscamento, mi riempi di tanta gioia quando sciogli i miei dubbi, che il dubitare non mi è meno gradito del sapere. Torna ancora un po’ indietro " dissi, " nel punto in cui dici che l’usura oltraggia la bontà di Dio, e chiarisci questa difficoltà. " "A colui che sa capirla " disse " la filosofia dimostra e non in un solo punto, come la natura prende origine dalla mente e dall’opera di Dio; e se tu leggi attentamente la Fisica (di Aristotile), a te ben familiare, troverai, dopo non molte pagine, che l’operato umano imita, per quanto può, la natura, come l’alunno imita il maestro; tanto che il vostro operare è quasi nipote di Dio. Se tu richiami alla tua memoria l’inizio del libro della Genesi, vedrai che è dalla natura e dall’arte che gli uomini devono trarre i mezzi per vivere e migliorare le proprie condizioni; e poiché l’usuraio segue un altro cammino, offende la natura in se stessa e nella sua imitatrice, affidando ad altro la sua speranza. Ma è tempo ormai che tu mi venga dietro, poiché ritengo che dobbiamo incamminarci; la costellazione dei Pesci (che precede di tre ore l’apparizione dell’alba), infatti, sale scintillando sopra l’orizzonte e quella dell’Orsa Maggiore si trova esattamente nella direzione del vento Cauro, e si discende il dirupo assai più in là."berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1323717978355521053.post-65534574856138766402009-04-05T10:20:00.000-07:002009-04-05T10:23:16.859-07:00DECIMO CANTOOra sen va per un secreto calle,<br />tra ’l muro de la terra e li martìri,<br />3 lo mio maestro, e io dopo le spalle.<br />"O virtù somma, che per li empi giri<br />mi volvi", cominciai, "com’a te piace,<br />6 parlami, e sodisfammi a’ miei disiri.<br />La gente che per li sepolcri giace<br />potrebbesi veder? già son levati<br />9 tutt’i coperchi, e nessun guardia face".<br />E quelli a me: "Tutti saran serrati<br />quando di Iosafàt qui torneranno<br />12 coi corpi che là sù hanno lasciati.<br />Suo cimitero da questa parte hanno<br />con Epicuro tutti suoi seguaci,<br />15 che l’anima col corpo morta fanno.<br />Però a la dimanda che mi faci<br />quinc’entro satisfatto sarà tosto,<br />18 e al disio ancor che tu mi taci".<br />E io: "Buon duca, non tegno riposto<br />a te mio cuor se non per dicer poco,<br />21 e tu m’hai non pur mo a ciò disposto".<br />"O Tosco che per la città del foco<br />vivo ten vai così parlando onesto,<br />24 piacciati di restare in questo loco.<br />La tua loquela ti fa manifesto<br />di quella nobil patrïa natio,<br />27 a la qual forse fui troppo molesto".<br />Subitamente questo suono uscìo<br />d’una de l’arche; però m’accostai,<br />30 temendo, un poco più al duca mio.<br />Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai?<br />Vedi là Farinata che s’è dritto:<br />33 da la cintola in sù tutto ’l vedrai".<br />Io avea già il mio viso nel suo fitto;<br />ed el s’ergea col petto e con la fronte<br />36 com’avesse l’inferno a gran dispitto.<br />E l’animose man del duca e pronte<br />mi pinser tra le sepulture a lui,<br />39 dicendo: "Le parole tue sien conte".<br />Com’io al piè de la sua tomba fui,<br />guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,<br />42 mi dimandò: "Chi fuor li maggior tui?".<br />Io ch’era d’ubidir disideroso,<br />non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;<br />45 ond’ei levò le ciglia un poco in suso;<br />poi disse: "Fieramente furo avversi<br />a me e a miei primi e a mia parte,<br />48 sì che per due fïate li dispersi".<br />"S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte",<br />rispuos’io lui, "l’una e l’altra fïata;<br />51 ma i vostri non appreser ben quell’arte".<br />Allor surse a la vista scoperchiata<br />un’ombra, lungo questa, infino al mento:<br />54 credo che s’era in ginocchie levata.<br />Dintorno mi guardò, come talento<br />avesse di veder s’altri era meco;<br />57 e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,<br />piangendo disse: "Se per questo cieco<br />carcere vai per altezza d’ingegno,<br />60 mio figlio ov’è? e perché non è teco?".<br />E io a lui: "Da me stesso non vegno:<br />colui ch’attende là, per qui mi mena<br />63 forse cui Guido vostro ebbe a disdegno".<br />Le sue parole e ’l modo de la pena<br />m’avean di costui già letto il nome;<br />66 però fu la risposta così piena.<br />Di sùbito drizzato gridò: "Come?<br />dicesti "elli ebbe"? non viv’elli ancora?<br />69 non fiere li occhi suoi lo dolce lume?".<br />Quando s’accorse d’alcuna dimora<br />ch’io facëa dinanzi a la risposta,<br />72 supin ricadde e più non parve fora.<br />Ma quell’altro magnanimo, a cui posta<br />restato m’era, non mutò aspetto,<br />75 né mosse collo, né piegò sua costa;<br />e sé continüando al primo detto,<br />"S’elli han quell’arte", disse, "male appresa,<br />78 ciò mi tormenta più che questo letto.<br />Ma non cinquanta volte fia raccesa<br />la faccia de la donna che qui regge,<br />81 che tu saprai quanto quell’arte pesa.<br />E se tu mai nel dolce mondo regge,<br />dimmi: perché quel popolo è sì empio<br />84 incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?".<br />Ond’io a lui: "Lo strazio e ’l grande scempio<br />che fece l’Arbia colorata in rosso,<br />87 tal orazion fa far nel nostro tempio".<br />Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,<br />"A ciò non fu’ io sol", disse, "né certo<br />90 sanza cagion con li altri sarei mosso.<br />Ma fu’ io solo, là dove sofferto<br />fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,<br />93 colui che la difesi a viso aperto".<br />"Deh, se riposi mai vostra semenza",<br />prega’ io lui, "solvetemi quel nodo<br />96 che qui ha ’nviluppata mia sentenza.<br />El par che voi veggiate, se ben odo,<br />dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,<br />99 e nel presente tenete altro modo".<br />"Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,<br />le cose", disse, "che ne son lontano;<br />102 cotanto ancor ne splende il sommo duce.<br />Quando s’appressano o son, tutto è vano<br />nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,<br />105 nulla sapem di vostro stato umano.<br />Però comprender puoi che tutta morta<br />fia nostra conoscenza da quel punto<br />108 che del futuro fia chiusa la porta".<br />Allor, come di mia colpa compunto,<br />dissi: "Or direte dunque a quel caduto<br />111 che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto;<br />e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,<br />fate i saper che ’l fei perché pensava<br />114 già ne l’error che m’avete soluto".<br />E già ’l maestro mio mi richiamava;<br />per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio<br />117 che mi dicesse chi con lu’ istava.<br />Dissemi: "Qui con più di mille giaccio:<br />qua dentro è ’l secondo Federico<br />120 e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio".<br />Indi s’ascose; e io inver’ l’antico<br />poeta volsi i passi, ripensando<br />123 a quel parlar che mi parea nemico.<br />Elli si mosse; e poi, così andando,<br />mi disse: "Perché se’ tu sì smarrito?".<br />126 E io li sodisfeci al suo dimando.<br />"La mente tua conservi quel ch’udito<br />hai contra te", mi comandò quel saggio;<br />129 "e ora attendi qui", e drizzò ’l dito:<br />"quando sarai dinanzi al dolce raggio<br />di quella il cui bell’occhio tutto vede,<br />132 da lei saprai di tua vita il vïaggio".<br />Appresso mosse a man sinistra il piede:<br />lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo<br />135 per un sentier ch’a una valle fiede,<br />che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.<br /><br />PARAFRASI<br />Ora il mio maestro avanza per uno stretto sentiero, tra il muro che cinge la città e i sepolcri roventi, e io lo seguo. "O virtù eccelsa (Virgilio), che mi conduci, come tu vuoi, attraverso i cerchi degli empi" presi a dire, "parla ed esaudisci il mio desiderio. Sarebbe possibile vedere i peccatori che giacciono dentro le tombe? tutti i coperchi, infatti, sono sollevati, e nessuno fa ad essi la guardia. " E Virgilio: "Tutte le tombe saranno chiuse quando (nel giorno del Giudizio Universale) le anime torneranno qui dalla valle di Giosafàt insieme ai corpi che hanno lasciato in terra. In questa zona del cerchio hanno il loro luogo di sepoltura Epicuro e i suoi adepti, i quali credono che l’anima muoia insieme al corpo. Perciò ben presto dentro questo stesso cerchio sarà data soddisfazione alla domanda che mi fai, e anche al desiderio che mi nascondi ". E io: "Mia buona guida, io non ti tengo celato il mio animo se non per parlare poco, e tu stesso mi hai indotto a ciò non soltanto ora". "O Toscano che ancora in vita percorri la città infuocata parlando in modo così decoroso, abbi la compiacenza di fermarti qui. Il tuo modo di parlare rivela che sei nato in quella nobile terra alla quale forse arrecai troppo danno." Questa voce si levò all’improvviso da uno dei sepolcri; mi avvicinai, intimorito, un po più a Virgilio. Ed egli mi disse: "Voltati: che cosa fai? Ecco là Farinata che si è levato: lo vedrai interamente dalla cintola in su ". Io avevo già fissato il mio sguardo nel suo; ed egli stava eretto con il petto e con la fronte quasi avesse l’inferno in grande disprezzo. E le mani incoraggianti e sollecite ti Virgilio mi sospinsero fra le tombe verso quel dannato, con questa esortazione: "Le tue parole siano misurate". Non appena fui ai piedi della sua tomba, mi osservò un poco, e poi, quasi sprezzante, mi chiese: "Chi furono i tuoi antenati ? " Io, che desideravo obbedire, non glieli nascosi, ma tutti glieli indicai; per cui egli sollevò un poco le ciglia, poi disse: "Furono acerrimi nemici miei e dei miei avi e del mio partito, tanto che per due volte li debellai". " Se furono mandati in esilio, tornarono da ogni luogo" gli risposi "sia la prima che la seconda volta; ma i vostri non impararono bene l’arte del ritornare". A questo punto si levò dall’apertura scoperchiata un’ombra accanto a quella di Farinata, visibile dal mento in su: penso si fosse alzata sulle ginocchia. Guardò intorno a me, come se avesse desiderio di vedere se con me c’era qualcun altro; e dopo che ebbe finito di dubitare, tra le lagrime disse: "Se il tuo alto ingegno ti consente di attraversare la buia prigione infernale, dov’è mio figlio? perché non è con te? ". Ed io: "Non giungo per mio merito: Virgilio, che là mi aspetta, attraverso questo luogo mi conduce, se riuscirà a seguirlo, fino a colei (Beatrice, simbolo della fede) che il vostro Guido ebbe in dispregio". Le sue parole e la qualità del supplizio mi avevano già palesato il nome di questo peccatore; perciò la mia risposta fu tanto esauriente. Alzatosi di scatto in piedi gridò: "Come hai detto? egli ebbe? non vive più? la dolce luce non colpisce più i suoi occhi? " Quando si avvide di un certo indugio che io facevo prima di rispondergli, cadde nuovamente indietro e non si mostrò più fuori. Ma il magnanimo Farinata, a richiesta del quale mi ero fermato, non cambiò espressione, né mosse il collo, né chinò il suo fianco; e proseguendo il discorso di prima, disse: " Se hanno male imparato l’ arte del ritornare, ciò mi procura un dolore più grande di quanto non faccia la tomba in cui sto a giacere. Ma il volto della donna che qui governa non si riaccenderà nemmeno cinquanta volte, che tu stesso apprenderai quanto sia dura l’arte di ritornare in patria. E voglia il cielo che tu possa ritornare nel mondo dei vivi, dimmi (per questo augurio che ti faccio): perché il popolo fiorentino è così spietato in ogni sua legge contro quelli della mia famiglia? " Gli risposi: " La crudelissima strage che tinse del colore del sangue il fiume Arbia, fa prendere tali decisioni nelle nostre assemblee ". Dopo aver sospirato e scosso la testa, disse: " Non fui io solo a provocare questa strage né certamente senza un motivo mi sarei mosso insieme agli altri esuli. Ma fui io solo, là dove fu da tutti tollerato che Firenze venisse rasa al suolo, colui che la difesi apertamente " "Deh, possa aver pace un giorno la vostra discendenza " lo pregai, "scioglietemi (in nome di questo augurio) quel dubbio che in questo cerchio ha confuso le mie idee. Sembra che voi prevediate , se intendo bene, quello che il tempo porta con sé (il futuro), ma per il presente vi trovate in una condizione diversa. " " Noi vediamo " disse " come colui che ha la vista difettosa, le cose che sono da noi lontane; di tanto ancora ci illumina Dio. Quando esse si avvicinano o sono presenti, la nostra mente non ci è di nessun aiuto; e se qualcun altro non ci porta notizie, non sappiamo nulla del vostro stato sulla terra. Puoi pertanto capire come la nostra conoscenza sarà del tutto offuscata dal momento in cui (dopo il Giudizio Universale) la porta del futuro si chiuderà. " Allora, come punto dal rimorso per una colpa da me compiuta, parlai: " Ora direte dunque all’ombra che è ricaduta (nel sepolcro) che suo figlio è ancora unito ai vivi; e riferitele che, se poc’anzi tacqui invece di risponderle, lo feci perché già stavo pensando al dubbio che mi avete chiarito ". Ormai Virgilio mi stava richiamando; perciò con maggior sollecitudine pregai Farinata che mi facesse i nomi dei suoi compagni di pena. Mi disse: " In questa parte del cerchio giaccio con moltissimi altri: qui dentro ci sono Federico Il, e il Cardinale; e taccio dei rimanenti ". Poi si nascose (nel sepolcro); ed io mi diressi verso Virgilio, riandando col pensiero a quella profezia che mi sembrava ostile. Egli s’incamminò; e poi, mentre procedevamo, mi chìese: " Perché sei così turbato? " E io risposi alla sua domanda. "La tua memoria serbi ciò che di ostile ti è stato predetto " mi ingiunse Virgilio. "Ed ora fa attenzione a queste parole " ed alzò l’indice: " quando ti troverai in presenza della soave luce che si sprigiona da colei (Beatrice) che vede tutte le cose, apprenderai da lei il corso della tua vita. " Poi si diresse verso sinìstra: ci allontanammo dal muro e procedemmo, verso la parte centrale del cerchio seguendo un sentiero che terminava in un baratro il quale faceva giungere fin lassù il suo puzzo nauseabondo.berthttp://www.blogger.com/profile/03454000374225430597noreply@blogger.com1