domenica 10 maggio 2009

CANTO DICIASSETTESIMO

"Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
3 Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!".
Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;
e accennolle che venisse a proda,
6 vicino al fin d’i passeggiati marmi.
E quella sozza imagine di froda
sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,
9 ma ’n su la riva non trasse la coda.
La faccia sua era faccia d’uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle,
12 e d’un serpente tutto l’altro fusto;
due branche avea pilose insin l’ascelle;
lo dosso e ’l petto e ambedue le coste
15 dipinti avea di nodi e di rotelle.
Con più color, sommesse e sovraposte
non fer mai drappi Tartari né Turchi,
18 né fuor tai tele per Aragne imposte.
Come tal volta stanno a riva i burchi,
che parte sono in acqua e parte in terra,
21 e come là tra li Tedeschi lurchi
lo bivero s’assetta a far sua guerra,
così la fiera pessima si stava
24 su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.
Nel vano tutta sua coda guizzava,
torcendo in sù la venenosa forca
27 ch’a guisa di scorpion la punta armava.
Lo duca disse: "Or convien che si torca
la nostra via un poco insino a quella
30 bestia malvagia che colà si corca".
Però scendemmo a la destra mammella,
e diece passi femmo in su lo stremo,
33 per ben cessar la rena e la fiammella.
E quando noi a lei venuti semo,
poco più oltre veggio in su la rena
36 gente seder propinqua al loco scemo.
Quivi ’l maestro "Acciò che tutta piena
esperïenza d’esto giron porti",
39 mi disse, "va, e vedi la lor mena.
Li tuoi ragionamenti sian là corti;
mentre che torni, parlerò con questa,
42 che ne conceda i suoi omeri forti".
Così ancor su per la strema testa
di quel settimo cerchio tutto solo
45 andai, dove sedea la gente mesta.
Per li occhi fora scoppiava lor duolo;
di qua, di là soccorrien con le mani
48 quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:
non altrimenti fan di state i cani
or col ceffo or col piè, quando son morsi
51 o da pulci o da mosche o da tafani.
Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
ne’ quali ’l doloroso foco casca,
54 non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi
che dal collo a ciascun pendea una tasca
ch’avea certo colore e certo segno,
57 e quindi par che ’l loro occhio si pasca.
E com’io riguardando tra lor vegno,
in una borsa gialla vidi azzurro
60 che d’un leone avea faccia e contegno.
Poi, procedendo di mio sguardo il curro,
vidine un’altra come sangue rossa,
63 mostrando un’oca bianca più che burro.
E un che d’una scrofa azzurra e grossa
segnato avea lo suo sacchetto bianco,
66 mi disse: "Che fai tu in questa fossa?
Or te ne va; e perché se’ vivo anco,
sappi che ’l mio vicin Vitalïano
69 sederà qui dal mio sinistro fianco.
Con questi Fiorentin son padoano:
spesse fïate mi ’ntronan li orecchi
72 gridando: "Vegna ’l cavalier sovrano,
che recherà la tasca con tre becchi!"".
Qui distorse la bocca e di fuor trasse
75 la lingua, come bue che ’l naso lecchi.
E io, temendo no ’l più star crucciasse
lui che di poco star m’avea ’mmonito,
78 torna’mi in dietro da l’anime lasse.
Trova’ il duca mio ch’era salito
già su la groppa del fiero animale,
81 e disse a me: "Or sie forte e ardito.
Omai si scende per sì fatte scale;
monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,
84 sì che la coda non possa far male".
Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo
de la quartana, c’ha già l’unghie smorte,
87 e triema tutto pur guardando ’l rezzo,
tal divenn’io a le parole porte;
ma vergogna mi fé le sue minacce,
90 che innanzi a buon segnor fa servo forte.
I’ m’assettai in su quelle spallacce;
sì volli dir, ma la voce non venne
93 com’io credetti: "Fa che tu m’abbracce".
Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne
ad altro forse, tosto ch’i’ montai
96 con le braccia m’avvinse e mi sostenne;
e disse: "Gerïon, moviti omai:
le rote larghe, e lo scender sia poco;
99 pensa la nova soma che tu hai".
Come la navicella esce di loco
in dietro in dietro, sì quindi si tolse;
102 e poi ch’al tutto si sentì a gioco,
là ’v’era ’l petto, la coda rivolse,
e quella tesa, come anguilla, mosse,
105 e con le branche l’aere a sé raccolse.
Maggior paura non credo che fosse
quando Fetonte abbandonò li freni,
108 per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse;
né quando Icaro misero le reni
sentì spennar per la scaldata cera,
111 gridando il padre a lui "Mala via tieni!",
che fu la mia, quando vidi ch’i’ era
ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta
114 ogne veduta fuor che de la fera.
Ella sen va notando lenta lenta;
rota e discende, ma non me n’accorgo
117 se non che al viso e di sotto mi venta.
Io sentia già da la man destra il gorgo
far sotto noi un orribile scroscio,
120 per che con li occhi ’n giù la testa sporgo.
Allor fu’ io più timido a lo stoscio,
però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;
123 ond’io tremando tutto mi raccoscio.
E vidi poi, ché nol vedea davanti,
lo scendere e ’l girar per li gran mali
126 che s’appressavan da diversi canti.
Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali,
che sanza veder logoro o uccello
129 fa dire al falconiere "Omè, tu cali!",
discende lasso onde si move isnello,
per cento rote, e da lunge si pone
132 dal suo maestro, disdegnoso e fello;
così ne puose al fondo Gerïone
al piè al piè de la stagliata rocca,
135 e, discarcate le nostre persone,
si dileguò come da corda cocca.

PARAFRASI
"Ecco il mostro dalla coda acuminata, che varca le montagne, e infrange ogni ostacolo; ecco quello che appesta col suo fetore l’intero universo! " Così cominciò a dirmi Virgilio; e gli fece segno di accostarsi all’orlo del burrone, vicino al termine degli argini pietrosi che avevamo percorso. E quell’immondo simbolo di frode gíunse, e portò sull’orlo la testa e il tronco, ma non depose sulla riva la coda. Il suo volto era volto di uomo onesto, tanto benevolo era il suo aspetto esteriore, e tutto il resto del corpo era quello di un serpente; aveva due zampe artigliate pelose fino alle ascelle; aveva il dorso e il petto e ambedue i fianchi disegnati con nodi e piccoli cerchi: né Tartari né Turchi fecero mai tappeti con più colori, con maggior varietà di fondi e di disegni a rilievo, né simili tele furono tessute da Aracne (espertissima tessitrice della Lidía che sfidò Minerva e fu dalla dea trasformata in ragno). Come a volte le barche sono ferme a riva, con una parte del loro scafo in acqua e una parte sulla terraferma, e come nelle terre abitate dai Tedeschi crapuloni il castoro si dispone a cacciare i pesci, così il peggiore dei mostri, stava sul margine che, pietroso, cinge la distesa di sabbia. L’intera sua coda si agitava nel vuoto, contorcendo in alto la velenosa estremità biforcuta che aveva le punte munite di aculei come quella di uno scorpione. Virgilio disse: " Occorre adesso che il nostro cammino sia deviato un poco fino a quella bestia perversa che si trova là ". Perciò scendemmo verso destra, e percorremmo dieci passi sull’estremità del cerchio, per evitare completamente la sabbia e la pioggia di fuoco. E quando fummo giunti vicino a lei, vidi un po’ più in là sulla sabbia gente che sedeva vicino all’abisso. Qui Virgilio: " Affinché tu abbia una conoscenza completa di questo girone" mi disse, "avvicinati a loro, e osserva la loro condizione. I tuoi discorsi siano lì brevi: finché non sarai tornato, parlerò con questa (bestia), perché ci offra le sue vigorose spalle ". Così me ne andai tutto solo ancora sull’orlo estremo del settimo cerchio, dove sedeva la gente tormentata. Il dolore di questi dannati prorompeva in lagrime attraverso gli occhi; si proteggevano con le mani, agitandole di qua e di là, ora dalle fiamme, e ora dal terreno infuocato: non diversamente fanno i cani d’estate ora con il muso, ora con la zampa, quando sono morsicati o dalle pulci o dalle mosche o dai tafani. Dopo che ebbi fissato lo sguardo nel volto di alcuni, sui quali cade il fuoco tormentatore, non riconobbi nessuno; ma osservai che a ciascuno di loro pendeva dal collo una borsa, che aveva un colore determinato e un determinato disegno, e sembrava che il loro sguardo traesse nutrimento da queste borse. E a mano a mano che li andavo osservando più attentamente, vidi su una borsa gialla dell’azzurro che aveva sembianza e atteggiamento di leone. Poi, mentre il carro dei mio sguardo procedeva, oltre, ne vidi un’altra rossa come sangue, che ostentava un’oca candida più del burro. E uno che aveva disegnata sulla sua borsa bianca una scrofa azzurra e pingue, mi disse: " Che fai in questa voragine? Parla, secondo la maggior parte dei critici, il padovano Reginaldo degli Scrovegni. "L'interrogazione stizzosa - scrive il Torraca - lascia intendere che l'usuraio s'è accorto di aver innanzi un vivo, e ne è scontento". Ora vattene; e poiché sei ancora vivo, sappi che il mio concittadino Vitaliano siederà qui alla mia sinistra. L'usuraio qui menzionato è probabilmente Vitaliano del Dente, podestà a Vicenza nel 1304 e a Padova nel 1307. Insieme a questi fiorentini sono padovano: molte volte mi assordano l’udíto gridando: "Venga il grande cavaliere, che porterà la borsa coi tre caproni !" " A questo punto storse la bocca e tirò fuori la lingua come un bue che sì lecca, il naso. E io, temendo che un ulteriore indugio infastidisse Virgilio che mi aveva raccomandato una breve sosta, tornai indietro (allontanandomi) da quelle anime afflitte. Trovai Virgilio che era già salito sulla groppa del mostro terrificante, e che mi disse: " Ora sii forte e coraggioso. D’ora in poi si scende con tali mezzi: sali davanti, perché io voglio stare nel mezzo, in modo che la coda non possa nuocere ". Come colui che sente così vicino il brivido della malaria, da averne già le unghie livide, e che trema in ogni sua fibra al solo vedere un luogo pieno d’ombra, tale divenni dopo le parole pronunciate (da Virgilio); ma mi ammonì il pudore, il quale rende il servo coraggioso in presenza di un valente padrone. lo mi sedetti su quelle paurose spalle: provai bensì a dire, ma la voce non uscì come credetti: " Fa in modo di cingermi con le tue braccia ". Ma egli, che già altre volte mi aveva aiutato in altri momenti di pericolo, appena fui salito, mi cinse e mi sorresse con le braccia; e disse: " Gerione, è tempo di partire: i giri siano ampi, e la discesa graduale: tieni conto del carico inusitato che trasporti ". Corne la barca si stacca dal punto dove ha attraccato procedendo a ritroso, così si staccò di lì; e dopo che si sentì del tutto a suo agio, volse la coda, là dove prima era il petto, e, tesa, la mosse come un’anguilla, e con le zampe tirò a sé l’aria. Non credo che fosse maggiore la paura quando Fetonte lasciò andare le redini, motivo per cui il cielo, come ancora si vede, fu bruciato; né quando l’infelice Icaro sentì le spalle perdere le penne a causa della cera che si era scaldata, mentre il padre gli gridava: " Fai un percorso sbagliato! ", di quanto fosse la mia, allorché vidi che mi trovavo circondato da ogni parte dall’aria, e vidi scomparire la vista di ogni cosa fuorché quella del mostro. Esso procede nuotando lentamente: scende compiendo cerchi, ma non me ne rendo conto se non per il fatto che l’aria mi colpisce in volto e dal basso. Io sentivo già a destra la cascata (del Flegetonte) fare sotto di noi uno spaventoso fragore, per cui sporsi verso il basso la testa per vedere, Allora temetti maggiormente di cadere, perché vidi fuochi e udii pianti; perciò tremando strinsi fortemente le gambe (al dorso di Gerione). E mi resi conto allora, poiché non me ne ero accorto prima, dello scendere in cerchio a causa dei grandi supplizi che si avvicinavano ora da una parte ora dall’altra. Come il falco che è stato a lungo in volo, il quale, senza aver veduto il richiamo del cacciatore o alcuna preda, fa dire al falconiere " Ahimè, tu stai calando! ", scende stanco verso il luogo dal quale si era mosso agile, con innumerevoli giri, e si posa lontano dal suo padrone, sdegnoso e crucciato, così Gerione ci depose sul fondo, proprio ai piedi della rupe tagliata a picco e, liberatosi del peso dei nostri corpi, sparì come freccia che si stacchi dalla corda dell’arco.

Nessun commento:

Posta un commento