martedì 12 maggio 2009

CANTO TRENTAQUATRESIMO

"Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; però dinanzi mira",
3 disse ’l maestro mio, "se tu ’l discerni".
Come quando una grossa nebbia spira,
o quando l’emisperio nostro annotta,
6 par di lungi un molin che ’l vento gira,
veder mi parve un tal dificio allotta;
poi per lo vento mi ristrinsi retro
9 al duca mio, ché non lì era altra grotta.
Già era, e con paura il metto in metro,
là dove l’ombre tutte eran coperte,
12 e trasparien come festuca in vetro.
Altre sono a giacere; altre stanno erte,
quella col capo e quella con le piante;
15 altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte.
Quando noi fummo fatti tanto avante,
ch’al mio maestro piacque di mostrarmi
18 la creatura ch’ebbe il bel sembiante,
d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,
"Ecco Dite", dicendo, "ed ecco il loco
21 ove convien che di fortezza t’armi".
Com’io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
24 però ch’ogne parlar sarebbe poco.
Io non mori’ e non rimasi vivo;
pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno,
27 qual io divenni, d’uno e d’altro privo.
Lo ’mperador del doloroso regno
da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia;
30 e più con un gigante io mi convegno,
che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant’esser dee quel tutto
33 ch’a così fatta parte si confaccia.
S’el fu sì bel com’elli è ora brutto,
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
36 ben dee da lui proceder ogne lutto.
Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand’io vidi tre facce a la sua testa!
39 L’una dinanzi, e quella era vermiglia;
l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa
sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,
42 e sé giugnieno al loco de la cresta:
e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
45 vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla.
Sotto ciascuna uscivan due grand’ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
48 vele di mar non vid’io mai cotali.
Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
51 sì che tre venti si movean da ello:
quindi Cocito tutto s’aggelava.
Con sei occhi piangëa, e per tre menti
54 gocciava ’l pianto e sanguinosa bava.
Da ogne bocca dirompea co’ denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
57 sì che tre ne facea così dolenti.
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
60 rimanea de la pelle tutta brulla.
"Quell’anima là sù c’ha maggior pena",
disse ’l maestro, "è Giuda Scarïotto,
63 che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
De li altri due c’hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
66 vedi come si storce, e non fa motto!;
e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
Ma la notte risurge, e oramai
69 è da partir, ché tutto avem veduto".
Com’a lui piacque, il collo li avvinghiai;
ed el prese di tempo e loco poste,
72 e quando l’ali fuoro aperte assai,
appigliò sé a le vellute coste;
di vello in vello giù discese poscia
75 tra ’l folto pelo e le gelate croste.
Quando noi fummo là dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l’anche,
78 lo duca, con fatica e con angoscia,
volse la testa ov’elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com’om che sale,
81 sì che ’n inferno i’ credea tornar anche.
"Attienti ben, ché per cotali scale",
disse ’l maestro, ansando com’uom lasso,
84 "conviensi dipartir da tanto male".
Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso
e puose me in su l’orlo a sedere;
87 appresso porse a me l’accorto passo.
Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero com’io l’avea lasciato,
90 e vidili le gambe in sù tenere;
e s’io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
93 qual è quel punto ch’io avea passato.
"Lèvati sù", disse ’l maestro, "in piede:
la via è lunga e ’l cammino è malvagio,
96 e già il sole a mezza terza riede".
Non era camminata di palagio
là ’v’eravam, ma natural burella
99 ch’avea mal suolo e di lume disagio.
"Prima ch’io de l’abisso mi divella,
maestro mio", diss’io quando fui dritto,
102 "a trarmi d’erro un poco mi favella:
ov’è la ghiaccia? e questi com’è fitto
sì sottosopra? e come, in sì poc’ora,
105 da sera a mane ha fatto il sol tragitto?".
Ed elli a me: "Tu imagini ancora
d’esser di là dal centro, ov’io mi presi
108 al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.
Di là fosti cotanto quant’io scesi;
quand’io mi volsi, tu passasti ’l punto
111 al qual si traggon d’ogne parte i pesi.
E se’ or sotto l’emisperio giunto
ch’è contraposto a quel che la gran secca
114 coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto
fu l’uom che nacque e visse sanza pecca;
tu haï i piedi in su picciola spera
117 che l’altra faccia fa de la Giudecca.
Qui è da man, quando di là è sera;
e questi, che ne fé scala col pelo,
120 fitto è ancora sì come prim’era.
Da questa parte cadde giù dal cielo;
e la terra, che pria di qua si sporse,
123 per paura di lui fé del mar velo,
e venne a l’emisperio nostro; e forse
per fuggir lui lasciò qui loco vòto
126 quella ch’appar di qua, e sù ricorse".
Luogo è là giù da Belzebù remoto
tanto quanto la tomba si distende,
129 che non per vista, ma per suono è noto
d’un ruscelletto che quivi discende
per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso,
132 col corso ch’elli avvolge, e poco pende.
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
135 e sanza cura aver d’alcun riposo,
salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
138 che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.

PARAFRASI
"Si avanzano i vessilli del re dell’inferno (le sei ali di Lucifero) verso di noi; guarda perciò davanti a te" disse Virgilio "se riesci a scorgerlo." Come quando una densa nebbia si diffonde, o quando il nostro emisfero si abbuia, appare da lontano un mulino la cui ruota è fatta girare dal vento, mi sembrò allora di vedere una tale macchina; poi, a causa del vento; mi rifugiai dietro a Virgilio, poiché non vi era altro riparo. Già mi trovavo, e con paura lo ricordo nei miei versi, là dove i dannati erano tutti coperti (dal ghiaccio), e trasparivano come un fuscello rimasto incorporato nel vetro. Alcuni stanno distesi; altri eretti, chi con la testa e chi cori i piedi in alto; altri, piegati all’indietro, raggiungono, a guisa di arco, col volto i piedi. Quando ci fummo inoltrati tanto, che Virgilio ritenne opportuno mostrarmi colui che era stato il più bello degli angeli, si scostò e mi fece fermare, dicendo: "Ecco Dite (è il nome di Plutone, re degli inferi, nella mitologia) ed ecco il luogo ove occorre che tu ti armi di coraggio ". Non chiedere, o lettore, quale gelo allora mi invase e come la voce mi si fermò, poiché non lo scrivo, ogni parola essendo inadeguata ad esprimerlo. Io non rimasi né vivo né morto: immagina ormai da solo, se appena hai un poco d’intelligenza, come divenni, privo sia di vita che di morte. Il sovrano dell’inferno sporgeva fuori dal ghiaccio a partire da metà del petto; e c’è più proporzione fra me e un gigante, che fra i giganti e le sue braccia: vedi ormai quanto deve essere grande l’intera massa di quel corpo perché sia proporzionato a simili braccia. Se fu così bello com’è brutto attualmente, e (ciononostante) si ribellò al suo Creatore, è ben naturale che ogni male derivi da lui. O come mi sembrò cosa degna di grande meraviglia vedere che la sua testa aveva tre facce! Una davanti, ed era rossa; delle altre due, che si congiungevano a questa sorgendo in corrispondenza della parte mediana di ciascuna spalla, e si congiungevano fra di loro nella parte mediana del volto dove alcuni uccelli hanno la cresta, la destra appariva di un colore tra il bianco e il giallo; la sinistra appariva di un colore simile a quello delle popolazioni originarie della regione da cui il Nilo scende a valle. Sotto ciascuna faccia sporgevano due grandi ali, proporzionate alle dimensioni di un così grande uccello: non vidi mai vele di imbarcazioni marine così grandi. Non avevano penne, ma il loro aspetto era quello delle ali del pipistrello; e le agitava, in modo che da lui si originavano tre venti: Per quel che riguarda le ali di Lucifero, il loro numero è uguale a quello delle ali dei serafini, gli angeli più vicini a Dio, ma, a differenza di quelle dei serafini, piumate e splendenti, quelle del sovrano dell’inferno sono prive di penne e nerastre. perciò l’intero Cocito era trasformato in ghiaccio. Piangeva con sei occhi, e su tre menti faceva gocciare lagrime miste a bava sanguigna. In ogni bocca frantumava con i denti un peccatore, come una gramola (maciulla: strumento che serve a tritare la canapa o il lino), in modo da tormentarne così tre. Per quello che era maciullato nella bocca anteriore il mordere di Lucifero era poca cosa rispetto al graffiare dei suoi artigli, tanto che a volte la sua schiena restava interamente priva di pelle. "Quel dannato lassù, che è sottoposto ad un maggiore tormento" disse Virgilio, " è Giuda Iscariota, il quale tiene la testa dentro la bocca di Lucifero e agita fuori di essa le gambe. Degli altri due, che hanno la testa rovesciata in basso, quello che pende dalla faccia di colore nero è Bruto, vedi come si divincola! e non emette lamento!; l’altro, che appare così muscoloso, è Cassio. Ma sta scendendo nuovamente la notte (i due poeti hanno dunque impiegato ventiquattro ore per percorrere tutto l’inferno), e ormai occorre allontanarci, poiché abbiamo veduto tutto (l’inferno). " Gli avvinsi il collo con le braccia secondo la sua volontà; ed egli scelse il momento ed il luogo opportuno; e quando le ali furono abbastanza aperte, si afferrò ai fianchi villosi: poi si calò di ciuffo in ciuffo nello spazio compreso tra il folto pelo e la superficie ghiacciata. Quando ci trovammo nel punto in cui la coscia si articola, proprio in corrispondenza della parte più grossa dell’anca (è la parte centrale del corpo di Lucifero e corrisponde al centro dell’universo), Virgilio, faticosamente ed affannosamente, si girò portando la testa in direzione dei piedi di Lucifero, e si aggrappò al pelo come chi sale, in modo che io credevo di tornare ancora nell’ inferno. "Tienti stretto, poiché per scale di tal genere" disse Virgilio, ansimando come un uomo stanco, " occorre allontanarsi dall’inferno. " Poi uscì attraverso l’apertura di una roccia, e mi fece sedere sull’orlo di essa; quindi diresse verso di me con cautela il suo passo (staccandosi così dal pelo di Lucifero). Volsi in alto lo sguardo. e pensai di vedere Lucifero nella posizione in cui lo avevo lasciato; e vidi invece che teneva le gambe rivolte in alto; e se io allora mi turbai, lo immagini la gente ignorante, che non comprende (come non avevo compreso io) quale è il punto che avevo oltrepassato (il centro della terra). " Alzati in piedi " disse Virgilio " poiché la via che dobbiamo percorrere è lunga e il cammino malagevole, e già il sole ritorna all’ora media (circa le sette e mezza del mattino) fra la prima ora canonica (corrisponde alle sei) e la terza (corrisponde alle nove). " Non ci trovavamo là in una sala di palazzo,, ma in un sotterraneo naturale che aveva il suolo irregolare e mancanza di luce. " Maestro, prima che io mi stacchi dall’inferno ", dissi quando fui in piedi, " parlami un poco per togliermi dal dubbio. Dov’è il ghiaccio? e come mai Lucifero vi è confitto così rovesciato? e come, in così breve tempo, il sole ha fatto il percorso dalla sera alla mattina? " Ed egli: " Tu ritieni di essere ancora dall’altra parte del centro della terra, là dove mi afferrai al pelo del maligno verme che perfora il mondo. Ti trovasti dall’altra parte per tutto il tempo durante il quale io scesi; allorché mi girai, oltrepassasti il punto (il centro della terra) verso il quale si portano da ogni direzione i pesi. E sei ora giunto sotto l’emisfero (australe) che è opposto a quello (boreale) che ricopre la terra emersa, e sotto il cui meridiano centrale (sotto ‘l cui colmo: a Gerusalemme, situata, secondo le credenze del Medioevo, al centro della terra emersa) fu ucciso l’uomo che nacque e visse senza peccato (Cristo) : tu poggi i piedi sulla piccola superficie che corrisponde nell’emisfero australe a quella costituita dalla Giudecca in quello boreale. Qui è mattina, quando nell’emisfero boreale è sera: e Lucifero, che col suo pelo ci servì come scala; è ancora confitto nella posizione nella quale si trovava prima. Dalla parte di questo emisfero precipitò dal cielo; e la terra, che prima della sua caduta emergeva in questo emisfero, per paura di lui (che precipitava) si ritrasse sotto il mare, ed emerse nel nostro emisfero; e forse la terra che è visibile (l’isola del purgatorio) da questa parte (nell’emisfero australe), per evitare il contatto con Lucifero (fermatosi nel centro della terra) lasciò qui un luogo vuoto (è la natural burella in cui i due poeti si trovano), e si spinse in alto". Vi è laggiù un luogo situato all’estremità del sotterraneo che avevamo percorso, lontano da Lucifero tanto quanto è lungo questo sotterraneo, riconoscibile non per mezzo della vista (a causa del buio), ma per il rumore di un piccolo ruscello che qui scende (si tratta verosimilmente del Leté, il corso d’acqua che nel paradiso terrestre, posto sulla sommità della montagna del purgatorio, toglie alle anime purganti, nel momento in cui si accingono a salire in cielo, la memoria dei loro peccati; in tal modo ogni traccia di peccato torna nell’inferno) attraverso l’apertura di una roccia, a esso scavata, col suo corso a spirale, e in lieve pendenza. Virgilio ed io ci avviammo per quella via nascosta (nel grembo della terra; è la via che conduce dall’estremità della natural burella alla superficie dell’ emisfero australe) per ritornare nel mondo luminoso; e senza curarci di interrompere il nostro cammino per riposare, salimmo, egli per primo e io dietro di lui, finché attraverso un foro rotondo vidi la luce degli astri: e attraverso questo foro uscimmo a rivedere il firmamento.

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