martedì 12 maggio 2009

CANTO TRENTADUESIMO

S’ïo avessi le rime aspre e chiocce,
come si converrebbe al tristo buco
3 sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce,
io premerei di mio concetto il suco
più pienamente; ma perch’io non l’abbo,
6 non sanza tema a dicer mi conduco;
ché non è impresa da pigliare a gabbo
discriver fondo a tutto l’universo,
9 né da lingua che chiami mamma o babbo.
Ma quelle donne aiutino il mio verso
ch’aiutaro Anfïone a chiuder Tebe,
12 sì che dal fatto il dir non sia diverso.
Oh sovra tutte mal creata plebe
che stai nel loco onde parlare è duro,
15 mei foste state qui pecore o zebe!
Come noi fummo giù nel pozzo scuro
sotto i piè del gigante assai più bassi,
18 e io mirava ancora a l’alto muro,
dicere udi’mi: "Guarda come passi:
va sì, che tu non calchi con le piante
21 le teste de’ fratei miseri lassi".
Per ch’io mi volsi, e vidimi davante
e sotto i piedi un lago che per gelo
24 avea di vetro e non d’acqua sembiante.
Non fece al corso suo sì grosso velo
di verno la Danoia in Osterlicchi,
27 né Tanaï là sotto ’l freddo cielo,
com’era quivi; che se Tambernicchi
vi fosse sù caduto, o Pietrapana,
30 non avria pur da l’orlo fatto cricchi.
E come a gracidar si sta la rana
col muso fuor de l’acqua, quando sogna
33 di spigolar sovente la villana;
livide, insin là dove appar vergogna
eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia,
36 mettendo i denti in nota di cicogna.
Ognuna in giù tenea volta la faccia;
da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo
39 tra lor testimonianza si procaccia.
Quand’io m’ebbi dintorno alquanto visto,
volsimi a’ piedi, e vidi due sì stretti,
42 che ’l pel del capo avieno insieme misto.
"Ditemi, voi che sì strignete i petti",
diss’io, "chi siete?". E quei piegaro i colli;
45 e poi ch’ebber li visi a me eretti,
li occhi lor, ch’eran pria pur dentro molli,
gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse
48 le lagrime tra essi e riserrolli.
Con legno legno spranga mai non cinse
forte così; ond’ei come due becchi
51 cozzaro insieme, tanta ira li vinse.
E un ch’avea perduti ambo li orecchi
per la freddura, pur col viso in giùe,
54 disse: "Perché cotanto in noi ti specchi?
Se vuoi saper chi son cotesti due,
la valle onde Bisenzo si dichina
57 del padre loro Alberto e di lor fue.
D’un corpo usciro; e tutta la Caina
potrai cercare, e non troverai ombra
60 degna più d’esser fitta in gelatina:
non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra
con esso un colpo per la man d’Artù;
63 non Focaccia; non questi che m’ingombra
col capo sì, ch’i’ non veggio oltre più,
e fu nomato Sassol Mascheroni;
66 se tosco se’, ben sai omai chi fu.
E perché non mi metti in più sermoni,
sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi;
69 e aspetto Carlin che mi scagioni".
Poscia vid’io mille visi cagnazzi
fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
72 e verrà sempre, de’ gelati guazzi.
E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo
al quale ogne gravezza si rauna,
75 e io tremava ne l’etterno rezzo;
se voler fu o destino o fortuna,
non so; ma, passeggiando tra le teste,
78 forte percossi ’l piè nel viso ad una.
Piangendo mi sgridò: "Perché mi peste?
se tu non vieni a crescer la vendetta
81 di Montaperti, perché mi moleste?".
E io: "Maestro mio, or qui m’aspetta,
sì ch’io esca d’un dubbio per costui;
84 poi mi farai, quantunque vorrai, fretta".
Lo duca stette, e io dissi a colui
che bestemmiava duramente ancora:
87 "Qual se’ tu che così rampogni altrui?".
"Or tu chi se’ che vai per l’Antenora,
percotendo", rispuose, "altrui le gote,
90 sì che, se fossi vivo, troppo fora?".
"Vivo son io, e caro esser ti puote",
fu mia risposta, "se dimandi fama,
93 ch’io metta il nome tuo tra l’altre note".
Ed elli a me: "Del contrario ho io brama.
Lèvati quinci e non mi dar più lagna,
96 ché mal sai lusingar per questa lama!".
Allor lo presi per la cuticagna,
e dissi: "El converrà che tu ti nomi,
99 o che capel qui sù non ti rimagna".
Ond’elli a me: "Perché tu mi dischiomi,
né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti
102 se mille fiate in sul capo mi tomi".
Io avea già i capelli in mano avvolti,
e tratto glien’avea più d’una ciocca,
105 latrando lui con li occhi in giù raccolti,
quando un altro gridò: "Che hai tu, Bocca?
non ti basta sonar con le mascelle,
108 se tu non latri? qual diavol ti tocca?".
"Omai", diss’io, "non vo’ che più favelle,
malvagio traditor; ch’a la tua onta
111 io porterò di te vere novelle".
"Va via", rispuose, "e ciò che tu vuoi conta;
ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
114 di quel ch’ebbe or così la lingua pronta.
El piange qui l’argento de’ Franceschi:
"Io vidi", potrai dir, "quel da Duera
117 là dove i peccatori stanno freschi".
Se fossi domandato "Altri chi v’era?",
tu hai dallato quel di Beccheria
120 di cui segò Fiorenza la gorgiera.
Gianni de’ Soldanier credo che sia
più là con Ganellone e Tebaldello,
123 ch’aprì Faenza quando si dormia".
Noi eravam partiti già da ello,
ch’io vidi due ghiacciati in una buca,
126 sì che l’un capo a l’altro era cappello;
e come ’l pan per fame si manduca,
così ’l sovran li denti a l’altro pose
129 là ’ve ’l cervel s’aggiugne con la nuca:
non altrimenti Tidëo si rose
le tempie a Menalippo per disdegno,
132 che quei faceva il teschio e l’altre cose.
"O tu che mostri per sì bestial segno
odio sovra colui che tu ti mangi,
135 dimmi ’l perché", diss’io, "per tal convegno,
che se tu a ragion di lui ti piangi,
sappiendo chi voi siete e la sua pecca,
138 nel mondo suso ancora io te ne cangi,
se quella con ch’io parlo non si secca".

PARAFRASI
Se i miei versi fossero aspri e striduli in misura adeguata al malvagio cerchio sopra il quale premono tutte le altre rocce, io esprimerei più compiutamente la sostanza dei mio pensiero; ma dal momento che non dispongo di tali versi, non senza timore mi accingo a parlare; poiché non è un’impresa da prendere alla leggiera descrivere il centro di tutto l’universo (nel sistema tolemaico il centro della terra coincide con il centro dell’universo; esso, nel mondo immaginato da Dante, è occupato da Lucifero, che si trova nel punto centrale dei nono cerchio), né tale da essere espressa da una lingua infantile ma soccorrano il mio poetare le Muse che aiutarono Anfione a cingere Tebe di mura, in modo che le mie parole non si allontanino dalla realtà. O anime più delle altre sciagurate che state nel luogo del quale è arduo parlare, meglio per voi se nel mondo foste state pecore o capre! Non appena fummo in fondo al buio pozzo assai più in basso dei piedi del gigante (poiché la superficie ghiacciata di Cocito è inclinata verso il suo centro e Anteo ha deposto i due pellegrini ad una certa distanza da sé, questi si trovano in un luogo più basso di quello ove il gigante poggia i piedi), e io guardavo ancora l’alta parete (del pozzo), udii dirmi: " Fai attenzione a come cammini; avanza, in modo da non calpestare con i piedi le teste degli infelici fratelli doloranti (di noi, che fummo uomini come te, e quindi siamo tuoi fratelli) ". Perciò mi volsi, e vidi stendersi davanti a me e sotto i miei piedi un lago che sembrava di vetro e non d’acqua. Il Danubio in Austria (la Danoia in Osterlicchi), o il Don sotto il freddo cielo boreale non formano durante l’inverno una crosta di ghiaccio così spessa, sullo scorrere delle loro acque, come quella che si trovava in quel posto; infatti se il monte Tambura, o la Pania della Croce (due montagne delle Alpi Apuane) vi fossero caduti sopra, non avrebbe scricchiolato nemmeno dalla parte dei margine (dove lo spessore del ghiaccio è minore). E come la rana sta a gracidare col muso fuori dell’acqua, nel periodo estivo, quando la contadina sogna spesso di raccogliere il grano, allo stesso modo, livide, le ombre dei dannati erano confitte nel ghiaccio fino al punto nel quale la vergogna si manifesta (solo il viso sporgeva cioè dalla superficie ghiacciata), emettendo, col battere dei denti, un suono simile a quello prodotto dalle cicogne. Ognuna teneva il volto abbassato: in loro il freddo è attestato dalla bocca (attraverso il battere dei denti), e il dolore dagli occhi. Dopo essermi alquanto guardato intorno, rivolsi lo sguardo ai miei piedi, e vidi due così vicini, che avevano i capelli mescolati insieme. " Ditemi, voi che così strettamente siete abbracciati ", dissi, " chi siete? " E quelli alzarono la testa; e dopo che ebbero levato lo sguardo verso di me, i loro occhi, che prima erano bagnati dalle lagrime soltanto all’interno, le lasciarono cadere fino alle labbra, e il gelo le trasformò in ghiaccio fra loro e li strinse l’uno all’altro. Una spranga di ferro non tenne mai così fortemente unito un pezzo di legno ad un altro pezzo di legno; per cui essi come due arieti cozzarono l’uno contro l’altro, tanta fu l’ira che li sopraffece. Ed uno di loro che a causa del freddo aveva perduto entrambi gli orecchi, continuando a tenere il viso abbassato, disse: " Perché ci fissi tanto intensamente ? Se vuoi apprendere chi sono questi due, sappi che la valle attraverso la quale scende il fiume Bisenzio appartenne al loro padre Alberto ed a loro. Furono generati da una medesima madre; e potrai cercare per tutta la Caina, senza trovare un dannato più meritevole di essere confitto nel ghiaccio; non colui del quale, per mano di Artù, il petto e l’ombra furono trafitti da un solo colpo di lancia; non Focaccia; non costui che mi ostruisce la vista con la sua testa, in modo che io non riesco a vedere più in là, ed ebbe nome Sassolo Mascheroni: se sei toscano, sai bene ormai di chi parlo. Focaccia è il soprannome del pistoiese di parte bianca Vanni dei Cancellieri, reo di aver ucciso proditoriamente il cugino Detto dei Cancellieri. E perché tu non mi faccia più oltre parlare, sappi che fui Camicione dei Pazzi; e aspetto Carlino che mi faccia apparire meno colpevole ". Poi vidi un’infinità di volti resi paonazzi dal freddo; per cui sento un brivido, e lo sentirò sempre, al pensiero degli stagni ghiacciati. E mentre avanzavamo in direzione del centro (della terra e dell’universo) verso il quale ogni peso converge, e io tremavo nella gelida ombra eterna, se lo feci deliberatamente o per volontà di Dio o per caso, non so; ma, mentre passeggiavo fra le teste, colpii violentemente col piede una di queste nel volto. Piangendo mi rimproverò: " Perché mi percuoti? se tu non vieni ad accrescere la punizione assegnatami a causa di Montaperti, perché mi tormenti? " Ed io: "Maestro, aspettami ora qui, in modo che io chiarisca un mio dubbio per mezzo di costui; poi mi farai affrettare quanto vorrai ". Virgilio si fermò, e io dissi a quello che continuava ad imprecare aspramente: "Chi sei tu che mi rimproveri in modo così violento? " " Di’ tu piuttosto chi sei che cammini per l’Antenora colpendo " rispose "le guance a me, in modo che, se io fossi vivo, la tua sarebbe un’offesa troppo grave (cioè: saprei vendicarmi)? ". " Son io che sono vivo, e ti può essere gradito " risposi, " se desideri fama, che io registri il tuo nome tra le altre cose che ricorderò. " Ed egli: " Desidero proprio l’opposto; va via di qua e non mi dare più fastidio, perché senza risultato usi le tue lusinghe in questa bassura! " Allora lo afferrai per la collottola, e dissi: " Occorrerà che tu dica il tuo nome, o che nemmeno un capello rimanga sulla tua testa". Per cui egli: "Per il fatto che tu mi strappi i capelli, né ti dirò chi sono, né te lo rivelerò, se anche tu mi cada sulla testa mille volte ". lo avevo già afferrato e attorcigliato i suoi capelli, e gliene avevo strappati più di una ciocca, mentre egli latrava con gli occhi ostinatamente volti in basso, allorché un altro gridò: " Che ti prende, Bocca? non ti basta battere i denti? hai bisogno anche di latrare? quale diavolo ha messo la mano su di te? " " Ormai " dissi " non ho più bisogno che tu parli, perverso traditore; ìnfatti, per aumenta. re la tua vergogna, io porterò notizie vere sul tuo conto. " " Vattene " rispose, " e racconta ciò che vuoi; ma non tralasciare, se potrai uscire di qui, di menzionare colui che poco fa è stato così pronto a parlare. Egli è punito qui per il denaro ricevuto dai Francesi: "Io vidi" potrai dire "quello di Dovera là dove i dannati soffrono il freddo ". Se ti venisse chiesto "Chi altro c’era?", sappi che accanto a te si trova quello dei Beccaria al quale Firenze tagliò il collo. Credo che più in là sì trovi Gianni dei Soldanieri con Gano e Tebaldello, che aprì le porte di Faenza di notte. " Ci eravamo già allontanati da lui, quando vidi in una sola buca sepolti nel ghiaccio due dannati, in modo che la testa dell’uno faceva da cappello a quella dell’altro; e con la stessa avidità con cui l’affamato mangia il pane, così quello che stava di sopra aveva conficcato i denti nell’altro nel punto in cui il cervello si congiunge al midollo spinale: non diversamente Tideo rose per odio il capo di Menalippo, da come quel dannato rodeva il cranio e il cervello. "O tu che manifesti attraverso un atto così bestiale il tuo odio verso colui che stai divorando, dimmene il motivo" dissi, "a questo patto, che se tu giustamente ti duoli di lui, sapendo chi siete e la sua colpa, su nel mondo io ti possa ricompensare, se quella lingua con la quale io parlo non si inaridirà.".

Nessun commento:

Posta un commento