domenica 10 maggio 2009

CANTO DODICESIMO

Era lo loco ov’a scender la riva
venimmo, alpestro e, per quel che v’er’anco,
3 tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva.
Qual è quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l’Adice percosse,
6 o per tremoto o per sostegno manco,
che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
9 ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:
cotal di quel burrato era la scesa;
e ’n su la punta de la rotta lacca
12 l’infamïa di Creti era distesa
che fu concetta ne la falsa vacca;
e quando vide noi, sé stesso morse,
15 sì come quei cui l’ira dentro fiacca.
Lo savio mio inver’ lui gridò: "Forse
tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,
18 che sù nel mondo la morte ti porse?
Pàrtiti, bestia, ché questi non vene
ammaestrato da la tua sorella,
21 ma vassi per veder le vostre pene".
Qual è quel toro che si slaccia in quella
c’ha ricevuto già ’l colpo mortale,
24 che gir non sa, ma qua e là saltella,
vid’io lo Minotauro far cotale;
e quello accorto gridò: "Corri al varco;
27 mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale".
Così prendemmo via giù per lo scarco
di quelle pietre, che spesso moviensi
30 sotto i miei piedi per lo novo carco.
Io gia pensando; e quei disse: "Tu pensi
forse a questa ruina, ch’è guardata
33 da quell’ira bestial ch’i’ ora spensi.
Or vo’ che sappi che l’altra fïata
ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno,
36 questa roccia non era ancor cascata.
Ma certo poco pria, se ben discerno,
che venisse colui che la gran preda
39 levò a Dite del cerchio superno,
da tutte parti l’alta valle feda
tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo
42 sentisse amor, per lo qual è chi creda
più volte il mondo in caòsso converso;
e in quel punto questa vecchia roccia,
45 qui e altrove, tal fece riverso.
Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia
la riviera del sangue in la qual bolle
48 qual che per vïolenza in altrui noccia".
Oh cieca cupidigia e ira folle,
che sì ci sproni ne la vita corta,
51 e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!
Io vidi un’ampia fossa in arco torta,
come quella che tutto ’l piano abbraccia,
54 secondo ch’avea detto la mia scorta;
e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette,
57 come solien nel mondo andare a caccia.
Veggendoci calar, ciascun ristette,
e de la schiera tre si dipartiro
60 con archi e asticciuole prima elette;
e l’un gridò da lungi: "A qual martiro
venite voi che scendete la costa?
63 Ditel costinci; se non, l’arco tiro".
Lo mio maestro disse: "La risposta
farem noi a Chirón costà di presso:
66 mal fu la voglia tua sempre sì tosta".
Poi mi tentò, e disse: "Quelli è Nesso,
che morì per la bella Deianira,
69 e fé di sé la vendetta elli stesso.
E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
72 quell’altro è Folo, che fu sì pien d’ira.
Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle
75 del sangue più che sua colpa sortille".
Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:
Chirón prese uno strale, e con la cocca
78 fece la barba in dietro a le mascelle.
Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,
disse a’ compagni: "Siete voi accorti
81 che quel di retro move ciò ch’el tocca?
Così non soglion far li piè d’i morti".
E ’l mio buon duca, che già li er’al petto,
84 dove le due nature son consorti,
rispuose: "Ben è vivo, e sì soletto
mostrar li mi convien la valle buia;
87 necessità ’l ci ’nduce, e non diletto.
Tal si partì da cantare alleluia
che mi commise quest’officio novo:
90 non è ladron, né io anima fuia.
Ma per quella virtù per cu’ io movo
li passi miei per sì selvaggia strada,
93 danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a provo,
e che ne mostri là dove si guada,
e che porti costui in su la groppa,
96 ché non è spirto che per l’aere vada".
Chirón si volse in su la destra poppa,
e disse a Nesso: "Torna, e sì li guida,
99 e fa cansar s’altra schiera v’intoppa".
Or ci movemmo con la scorta fida
lungo la proda del bollor vermiglio,
102 dove i bolliti facieno alte strida.
Io vidi gente sotto infino al ciglio;
e ’l gran centauro disse: "E’ son tiranni
105 che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.
Quivi si piangon li spietati danni;
quivi è Alessandro, e Dïonisio fero,
108 che fé Cicilia aver dolorosi anni.
E quella fronte c’ha ’l pel così nero,
è Azzolino; e quell’altro ch’è biondo,
111 è Opizzo da Esti, il qual per vero
fu spento dal figliastro sù nel mondo".
Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
114 "Questi ti sia or primo, e io secondo".
Poco più oltre il centauro s’affisse
sovr’una gente che ’nfino a la gola
117 parea che di quel bulicame uscisse.
Mostrocci un’ombra da l’un canto sola,
dicendo: "Colui fesse in grembo a Dio
120 lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola".
Poi vidi gente che di fuor del rio
tenean la testa e ancor tutto ’l casso;
123 e di costoro assai riconobb’io.
Così a più a più si facea basso
quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
126 e quindi fu del fosso il nostro passo.
"Sì come tu da questa parte vedi
lo bulicame che sempre si scema",
129 disse ’l centauro, "voglio che tu credi
che da quest’altra a più a più giù prema
lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge
132 ove la tirannia convien che gema.
La divina giustizia di qua punge
quell’Attila che fu flagello in terra,
135 e Pirro e Sesto; e in etterno munge
le lagrime, che col bollor diserra,
a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
138 che fecero a le strade tanta guerra".
Poi si rivolse e ripassossi ’l guazzo.

PARAFRASI
Il luogo in cui giungemmo per scendere lungo il dirupo era scosceso e, per di più a causa di ciò che in esso si trovava (il Minotauro), tale, che ogni sguardo lo avrebbe evitato. Quale è la frana che a valle di Trento colpì in una delle sue rive l’Adige, o a causa di un terremoto o per l’erosione del terreno sottostante, in modo che il pendio dalla vetta della montagna, dalla quale la frana si staccò, alla pianura è così inclinato, da offrire una via di discesa a chi si trovasse in alto, tale era la discesa di quel burrone; e nella parte superiore della Costa franata giaceva distesa la vergogna, dei Cretesi che fu concepita nella finta vacca; e quando ci vide, morse se stesso, come colui che è sopraffatto internamente dall’ira. Il mio saggio maestro gli si rivolse gridando: " Pensi forse di trovarti in presenza del signore d’Atene, che sulla terra ti diede la morte? Allontanati, bestia: costui non giunge infatti guidato da tua sorella, ma si reca a vedere i vostri tormenti". Come fa il toro che si scioglie dai nodi che lo legano nell’istante in cui, mortalmente colpito, non è più capace di camminare, ma barcolla qua e là, tale io vidi diventare il Minotauro; e il sagace Virgilio gridò: " Corri al punto di discesa; è bene che tu scenda, mentre è infuriato ". Così ci avviammo attraverso l’ammasso di quelle pietre, che si muovevano spesso sotto i miei piedi per l’insolito peso. Procedevo meditabondo; e Virgilio disse: "Tu pensi forse a questa frana custodita da quella belva irosa che ora ho reso inoffensiva. Voglio dunque che tu sappia che la volta precedente, allorché scesi nella parte inferiore dell’inferno, questo pendio non era ancora franato. Ma, se non mi inganno, senza dubbio poco prima della venuta di colui che tolse a Satana il glorioso bottino del limbo, il profondo abisso immondo tremò in ogni sua parte tanto, che io credetti che l’ universo fosse preso da quell’amore, a causa del quale alcuni ritengono che più di una volta il mondo sia ritornato nel caos; e allora questa antica rupe subì, in questo luogo e altrove (nella bolgia degli ipocriti; Inferno XXI, 106-108), tale franamento. Ma guarda attentamente in basso, poiché si avvicina il fiume di sangue bollente in cui è immerso chiunque rechi danno ad altri con la violenza ". O irragionevole avidità e ira sconsiderata, che a tal punto ci stimoli nella breve vita terrena, e poi in tanto dolore ci immergi in quella eterna! Vidi un largo fossato circolare, in quanto cinge tutto il piano (del settimo cerchio), secondo quello che aveva detto il mio accompagnatore; e tra la base del dirupo e questo fossato, dei centauri correvano raccolti in gruppo, armati di frecce, come solevano fare sulla terra quando andavano a caccia. Vedendoci scendere, ciascuno si fermò, e tre di loro si separarono dalla schiera con archi e frecce scelte in precedenza; e uno gridò da lontano: " Verso quale pena vi dirigete voi che scendete il pendio ? Ditelo dal punto in cui vi trovate; altrimenti tendo l’arco ". Virgilio disse: " Risponderemo a Chirone quando vi saremo vicini: con tuo danno la tua volontà fu sempre così impulsiva ". Poi mi toccò, e disse: "Quello è Nesso, che perdette la vita per amore della bella Deianira e vendicò da sé la propria morte. E quello che sta In mezzo, e tiene lo sguardo abbassato, è il grande Chirone, che educò Achille; l’altro è Folo, che fu così iroso. Girano a migliaia intorno al fossato, colpendo con frecce qualsiasi dannato si trae fuori dal sangue più di quanto il suo peccato gli diede in sorte ". Ci avvicinammo a quegli animali ve1oci: Chirone prese una freccia, e con la cocca trasse indietro la barba sulle mascelle. Quando la grande bocca fu completamente libera disse ai compagni: "Vi siete accorti che colui che sta di dietro è un essere vivente ? E Virgilio, che già gli era di fronte, e arrivava all’altezza del suo petto, là dove le due nature (di uomo e di cavallo) si uniscono, rispose: " E’ veramente vivo, e a lui, a lui solo, devo mostrare l’inferno: ci spinge a ciò la necessità, non il piacere. Dal cielo si mosse qualcuno che mi affidò questo straordinario incarico: non è un ladrone, né io sono l’anima di un ladro. Ma in nome di quel potere divino, ad opera del quale percorro un cammino cosi impervio, dacci uno dei tuoi, a cui possiamo stare vicini, e che ci indichi il punto dove il fiume può essere attraversato e trasporti costui sulla sua groppa, poiché egli non è uno spirito che possa volare ". Chirone si volse a destra, e parlò a Nesso: "Volgiti indietro, e fa loro da guida, e fa scansare qualunque altra schiera s’imbatta in voi". Ci avviammo dunque insieme col sicuro accompagnatore lungo la sponda del sangue bollente, nel quale i dannatì emettevano grida laceranti. Vidi una rnoltitudine immersa fino agli occhi; e Nesso spiegò: "Essi sono tiranni che uccisero e depredarono. Qui si sconta il male arrecato agli altri senza pietà; qui si trovano Alessandro, e il crudele Dionisio, che fu causa alla Sicilia di anni dolorosi. E quella fronte coperta di così neri capelli, è (la fronte) di Ezzelino; quello biondo è invece Obizzo d’Este, il quale davvero fu ucciso in terra dal figlio snaturato ". Allora mi rivolsi a Virgilio, ed egli disse: " Nesso sia ora la tua guida, io verrò secondo ". Poco più oltre il Centauro si arrestò presso una moltitudine che appariva immersa in quel bollore fino alla gola. Ci indicò un’ombra isolata in un angolo e disse: " Quel dannato trafisse in chiesa il cuore che è ancora venerato a Londra ". Guido, conte di Montfort, vicario in Toscana di Carlo I d'Angiò, pugnalò nel 1272, in una chiesa di Viterbo, Arrigo, cugìno del re d'Inghilterra Edoardo I, che gli aveva ucciso il padre. Sulla tomba di Arrigo, posta sul ponte del Tamigi a Londra, una statua dorata, secondo quanto riferisce un antico commentatore, Benvenuto da ImoIa, reggeva un calice contenente il suo cuore imbalsamato. Vidi in seguito una moltitudine che teneva fuori del fiume il capo ed anche tutto il petto; e riconobbi parecchi di costoro. A questo modo il livello del sangue andava sempre più diminuendo, fino a bruciare soltanto i piedi; qui guadammo il fossato. " Così come vedi che il liquido bollente si abbassa progressivamente da questa parte " disse il Centauro, " voglio che tu sappia che dalla parte opposta il suo alveo diventa sempre più profondo, finché si ricongiunge al punto dove è giusto che i tiranni espiino. Da quest’altra parte la giustizia di Dio punisce Attila che sulla terra fu strumento di dolore e Pirro e Sesto; e per l’eternità spreme le lagrime, che fa sgorgare con il supplizio del sangue bollente, a Rinieri da Corneto, a Rinieri dei Pazzi, che resero così pericolose le strade. " Poi si voltò indietro, e riattraversò il pantano.

Nessun commento:

Posta un commento