martedì 12 maggio 2009

CANTO VENTITREESIMO

Taciti, soli, sanza compagnia
n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,
3 come frati minor vanno per via.
Vòlt’era in su la favola d’Isopo
lo mio pensier per la presente rissa,
6 dov’el parlò de la rana e del topo;
ché più non si pareggia "mo" e "issa"
che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia
9 principio e fine con la mente fissa.
E come l’un pensier de l’altro scoppia,
così nacque di quello un altro poi,
12 che la prima paura mi fé doppia.
Io pensava così: "Questi per noi
sono scherniti con danno e con beffa
15 sì fatta, ch’assai credo che lor nòi.
Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa,
ei ne verranno dietro più crudeli
18 che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa".
Già mi sentia tutti arricciar li peli
de la paura e stava in dietro intento,
21 quand’io dissi: "Maestro, se non celi
te e me tostamente, i’ ho pavento
d’i Malebranche. Noi li avem già dietro;
24 io li ’magino sì, che già li sento".
E quei: "S’i’ fossi di piombato vetro,
l’imagine di fuor tua non trarrei
27 più tosto a me, che quella dentro ’mpetro.
Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei,
con simile atto e con simile faccia,
30 sì che d’intrambi un sol consiglio fei.
S’elli è che sì la destra costa giaccia,
che noi possiam ne l’altra bolgia scendere,
33 noi fuggirem l’imaginata caccia".
Già non compié di tal consiglio rendere,
ch’io li vidi venir con l’ali tese
36 non molto lungi, per volerne prendere.
Lo duca mio di sùbito mi prese,
come la madre ch’al romore è desta
39 e vede presso a sé le fiamme accese,
che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
avendo più di lui che di sé cura,
42 tanto che solo una camiscia vesta;
e giù dal collo de la ripa dura
supin si diede a la pendente roccia,
45 che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura.
Non corse mai sì tosto acqua per doccia
a volger ruota di molin terragno,
48 quand’ella più verso le pale approccia,
come ’l maestro mio per quel vivagno,
portandosene me sovra ’l suo petto,
51 come suo figlio, non come compagno.
A pena fuoro i piè suoi giunti al letto
del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle
54 sovresso noi; ma non lì era sospetto:
ché l’alta provedenza che lor volle
porre ministri de la fossa quinta,
57 poder di partirs’indi a tutti tolle.
Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
60 piangendo e nel sembiante stanca e vinta.
Elli avean cappe con cappucci bassi
dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
63 che in Clugnì per li monaci fassi.
Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
66 che Federigo le mettea di paglia.
Oh in etterno faticoso manto!
Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
69 con loro insieme, intenti al tristo pianto;
ma per lo peso quella gente stanca
venìa sì pian, che noi eravam nuovi
72 di compagnia ad ogne mover d’anca.
Per ch’io al duca mio: "Fa che tu trovi
alcun ch’al fatto o al nome si conosca,
75 e li occhi, sì andando, intorno movi".
E un che ’ntese la parola tosca,
di retro a noi gridò: "Tenete i piedi,
78 voi che correte sì per l’aura fosca!
Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi".
Onde ’l duca si volse e disse: "Aspetta,
81 e poi secondo il suo passo procedi".
Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
de l’animo, col viso, d’esser meco;
84 ma tardavali ’l carco e la via stretta.
Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco
mi rimiraron sanza far parola;
87 poi si volsero in sé, e dicean seco:
"Costui par vivo a l’atto de la gola;
e s’e’ son morti, per qual privilegio
90 vanno scoperti de la grave stola?".
Poi disser me: "O Tosco, ch’al collegio
de l’ipocriti tristi se’ venuto,
93 dir chi tu se’ non avere in dispregio".
E io a loro: "I’ fui nato e cresciuto
sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa,
96 e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto.
Ma voi chi siete, a cui tanto distilla
quant’i’ veggio dolor giù per le guance?
99 e che pena è in voi che sì sfavilla?".
E l’un rispuose a me: "Le cappe rance
son di piombo sì grosse, che li pesi
102 fan così cigolar le lor bilance.
Frati godenti fummo, e bolognesi;
io Catalano e questi Loderingo
105 nomati, e da tua terra insieme presi
come suole esser tolto un uom solingo,
per conservar sua pace; e fummo tali,
108 ch’ancor si pare intorno dal Gardingo".
Io cominciai: "O frati, i vostri mali...";
ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse
111 un, crucifisso in terra con tre pali.
Quando mi vide, tutto si distorse,
soffiando ne la barba con sospiri;
114 e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse,
mi disse: "Quel confitto che tu miri,
consigliò i Farisei che convenia
117 porre un uom per lo popolo a’ martìri.
Attraversato è, nudo, ne la via,
come tu vedi, ed è mestier ch’el senta
120 qualunque passa, come pesa, pria.
E a tal modo il socero si stenta
in questa fossa, e li altri dal concilio
123 che fu per li Giudei mala sementa".
Allor vid’io maravigliar Virgilio
sovra colui ch’era disteso in croce
126 tanto vilmente ne l’etterno essilio.
Poscia drizzò al frate cotal voce:
"Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
129 s’a la man destra giace alcuna foce
onde noi amendue possiamo uscirci,
sanza costrigner de li angeli neri
132 che vegnan d’esto fondo a dipartirci".
Rispuose adunque: "Più che tu non speri
s’appressa un sasso che de la gran cerchia
135 si move e varca tutt’i vallon feri,
salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia;
montar potrete su per la ruina,
138 che giace in costa e nel fondo soperchia".
Lo duca stette un poco a testa china;
poi disse: "Mal contava la bisogna
141 colui che i peccator di qua uncina".
E ’l frate: "Io udi’ già dire a Bologna
del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’
144 ch’elli è bugiardo e padre di menzogna".
Appresso il duca a gran passi sen gì,
turbato un poco d’ira nel sembiante;
147 ond’io da li ’ncarcati mi parti’
dietro a le poste de le care piante.

PARAFRASI
Silenziosi, soli, non più accompagnati (dai diavoli) procedevamo l’uno davanti all’altro, come i francescani camminano per la strada. A causa della recente zuffa il mio pensiero era rivolto alla favola di Esopo, nella quale egli narra della rana e del topo; poiché "ora" e "adesso" non sono più uguali, di quanto non lo siano la favola e la zuffa, se si confrontano con attenzione l’inizio e la fine. E come un pensiero scaturisce all’ improvviso dall’altro, così da quello ne venne fuori in un secondo tempo un altro, che raddoppiò in me la paura di prima. Io ragionavo in questo modo: " Costoro sono stati per causa nostra derisi con tale danno e tale scorno, che ritengo che a loro rincresca grandemente. Se l’ira si aggiunge alla cattiveria, essi ci inseguiranno più inferociti del cane nei confronti della lepre che addenta. Sentivo già arricciarmisi tutti i peli per lo spavento, e volgevo attento lo sguardo indietro, allorché dissi: " Maestro, se non nascondi rapidamente te e me, io ho paura dei Malebranche: li abbiamo già alle nostre spalle: li vedo a tal punto con l’immaginazione, che già li sento (dietro di noi) ". E Virgilio: " Se fossi uno specchio, non rifletterei più rapidamente la tua immagine esterna, di quanto ora imprimo in me la tua immagine interna. Proprio ora i tuoi pensieri raggiungevano i miei, col medesimo atteggiamento e con il medesimo aspetto dei miei, in modo che dagli uni e dagli altri ho tratto una sola risoluzione. Se si dà il caso che la parete a destra abbia una così scarsa pendenza, che noi possiamo scendere nell’altra bolgia (la sesta), sfuggiremo all’inseguimento temuto ". Non finì neppure di manifestare tale proposito, che io li vidi sopraggiungere non molto lontani da noi con le ali spiegate, per volerci ghermire. Virgilio mi afferrò immediatamente, come la madre che si sveglia al frastuono, e vede accanto a sé le fiamme ardenti, la quale afferra il figlio e fugge e, avendo più cura di lui che di se stessa, non si ferma neppure quel poco tempo necessario ad indossare una camicia; e dalla sommità dell’argine pietroso si lasciò scivolare sul dorso lungo la parete scoscesa, che chiude uno dei lati dell’altra bolgia. L’acqua non corse mai così velocemente attraverso un condotto per far girare la ruota di un mulino costruito sulla terraferma, nel punto in cui essa maggiormente si avvicina alle pale, come Virgilio su quella parete dell’argine, mentre mi portava tenendomi, sul petto, come se fossi stato suo figlio, non un compagno. Alla similitudine della madre, così ricca di contenuto umano, segue una similitudine volta a determinare soltanto la velocità con la quale Virgilio scende lungo la scarpata che porta al fondo della sesta bolgia. In essa la tinta patetica cede momentaneamente di fronte alla nuda vìolenza della figurazione rapinosamente incisiva" (Sanguineti). Appena i suoi piedi raggiunsero la superficie del fondo della bolgia, essi furono sulla sommità dell’argine sopra di noi; ma non vi era più motivo di temere, poiché la divina provvidenza che volle porli quali esecutori dei suoi decreti nella quinta bolgia, toglie a tutti loro la possibilità di allontanarsi di lì. Laggiù incontrammo una moltitudine dipinta che andava intorno con passi lentissimi, lacrimando e stanca e affranta nell’aspetto. Questi dannati indossavano cappe con i cappucci abbassati davanti agli occhi, fatte nel modo in cui si fanno a Cluny per i monaci. Esternamente sono dorate tanto da abbagliare; ma dentro sono completamente di piombo, e così pesanti, che (al confronto) Federico Il le faceva indossare di paglia. Oh veste opprimente per l’eternità! Noi ci dirigemmo ancora, come al solito, verso sinistra nella stessa direzione di quei dannati, osservandone il pianto sconsolato; ma a causa del peso quella moltitudine sfinita avanzava così lentamente, che noi avevamo nuovi compagni ad ogni passo. Perciò dissi a Virgilio: " Cerca di trovare qualcuno che sia famoso per le sue azioni o per il suo nome, e, continuando a camminare così, volgi lo sguardo intorno a te ". E uno, che udì il parlare toscano, gridò dietro di noi: " Fermatevi, voi che avanzate così veloci nell’aria buia! Forse otterrai da me quello che domandi ". Perciò Virgilio si voltò e disse: "Attendi, e poi avanza col suo passo ". Sostai, e vidi due che, con l’espressione del volto, mostravano una grande ansia di essere con me; ma il peso e l’angusto cammino li rendevano lenti. Quando furono arrivati, mi osservarono a lungo con sguardo obliquo senza parlare; quindi si rivolsero l’uno verso l’altro, dicendo fra loro: "Questo sembra vivo dal movimento della gola (perché respira); e se invece sono morti, per quale privilegio avanzano privi della pesante cappa?" Poi mi dissero: "O Toscano, che sei giunto al raduno dei tristi ipocriti, non disdegnare di dire chi sei". E io a costoro: " Nacqui e fui allevato nella grande città sulle rive del bel fiume Arno, e mi trovo qui col corpo che ho sempre avuto. Ma chi siete voi, ai quali tante lagrime quante ne vedo scendono copiose lungo le gote? e quale castigo è il vostro, che brilla in tal modo? " E uno di loro mi rispose: " Le cappe dorate sono di piombo così spesso, che i pesi fanno in tal modo gemere le loro bilance. Fummo frati Gaudenti, e bolognesi; chiamati io Catalano e questo Loderingo, e scelti entrambi dalla tua città, come è usanza che sia scelto un uomo solo per salvaguardarne la pace; e il nostro comportamento fu tale, che le conseguenze sono ancora visibili tutt’intorno al Gardingo ". Cominciai a dire: " Frati, i vostri supplizi ... "; ma non aggiunsi altro, poiché mi si presentò allo sguardo uno, crocifisso in terra per mezzo di tre pali. Quando mi vide, si contorse tutto quanto, sospirando nel folto della barba; e frate Catalano, che si era accorto di ciò, mi disse: " Quell’inchiodato che tu osservi, espresse ai Farisei il parere che era opportuno per il bene pubblico suppliziare un uomo. E’ posto di traverso, nudo, sul cammino, come tu stesso vedi, ed è necessario che egli senta, prima che sia passato, quanto pesa chiunque passa. E allo stesso modo soffrono in questa bolgia suo suocero, e gli altri appartenenti al concilio che per gli Ebrei rappresentò un inizio di sventure ". Allora vidi Virgilio stupirsi riguardo a colui che stava disteso in croce in modo così ignobile nel luogo dell’eterna dannazione. Quindi rivolse al frate queste parole: " Non vi spiaccia, se vi è permesso,. dirci se verso destra si apre un passaggio attraverso il quale noi due possiamo uscire di qui, senza dover obbligare i diavoli a venire a toglierci da questa fossa ". Allora rispose: " Più di quanto tu non speri è vicino un ponte che parte dalla grande parete che circonda Malebolge (dalla gran cerchia) e attraversa tutti gli spaventosi ripiani, il quale però in questa bolgia è spezzato e non la valica: potrete salire su per le macerie (di questo ponte), che si adagiano lungo il pendio (che giace in costa) e si elevano sul fondo della bolgia ". Virgilio restò per un po’ a testa bassa; poi disse: " Riferiva male lo stato delle cose colui che afferra con gli uncini i peccatori nella quinta bolgia ". E il frate: " A Bologna io udii una volta menzionare molti vizi del diavolo, tra i quali appresi che egli è bugiardo, e mentitore per eccellenza ". Dopo ciò Virgilio se ne andò a gran passi, un po’ alterato dall’ira nell’aspetto, per cui mi allontanai dagli oppressi dalle cappe dietro le orme degli amati piedi.

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