domenica 10 maggio 2009

CANTO QUATTORDICESIMO

Poi che la carità del natio loco
mi strinse, raunai le fronde sparte
3 e rende’le a colui, ch’era già fioco.
Indi venimmo al fine ove si parte
lo secondo giron dal terzo, e dove
6 si vede di giustizia orribil arte.
A ben manifestar le cose nove,
dico che arrivammo ad una landa
9 che dal suo letto ogne pianta rimove.
La dolorosa selva l’è ghirlanda
intorno, come ’l fosso tristo ad essa;
12 quivi fermammo i passi a randa a randa.
Lo spazzo era una rena arida e spessa,
non d’altra foggia fatta che colei
15 che fu da’ piè di Caton già soppressa.
O vendetta di Dio, quanto tu dei
esser temuta da ciascun che legge
18 ciò che fu manifesto a li occhi miei!
D’anime nude vidi molte gregge
che piangean tutte assai miseramente,
21 e parea posta lor diversa legge.
Supin giacea in terra alcuna gente,
alcuna si sedea tutta raccolta,
24 e altra andava continüamente.
Quella che giva ’ntorno era più molta,
e quella men che giacëa al tormento,
27 ma più al duolo avea la lingua sciolta.
Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento,
piovean di foco dilatate falde,
30 come di neve in alpe sanza vento.
Quali Alessandro in quelle parti calde
d’Indïa vide sopra ’l suo stuolo
33 fiamme cadere infino a terra salde,
per ch’ei provide a scalpitar lo suolo
con le sue schiere, acciò che lo vapore
36 mei si stingueva mentre ch’era solo:
tale scendeva l’etternale ardore;
onde la rena s’accendea, com’esca
39 sotto focile, a doppiar lo dolore.
Sanza riposo mai era la tresca
de le misere mani, or quindi or quinci
42 escotendo da sé l’arsura fresca.
I’ cominciai: "Maestro, tu che vinci
tutte le cose, fuor che ’ demon duri
45 ch’a l’intrar de la porta incontra uscinci,
chi è quel grande che non par che curi
lo ’ncendio e giace dispettoso e torto,
48 sì che la pioggia non par che ’l marturi?".
E quel medesmo, che si fu accorto
ch’io domandava il mio duca di lui,
51 gridò: "Qual io fui vivo, tal son morto.
Se Giove stanchi ’l suo fabbro da cui
crucciato prese la folgore aguta
54 onde l’ultimo dì percosso fui;
o s’elli stanchi li altri a muta a muta
in Mongibello a la focina negra,
57 chiamando "Buon Vulcano, aiuta, aiuta!",
sì com’el fece a la pugna di Flegra,
e me saetti con tutta sua forza:
60 non ne potrebbe aver vendetta allegra".
Allora il duca mio parlò di forza
tanto, ch’i’ non l’avea sì forte udito:
63 "O Capaneo, in ciò che non s’ammorza
la tua superbia, se’ tu più punito;
nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
66 sarebbe al tuo furor dolor compito".
Poi si rivolse a me con miglior labbia,
dicendo: "Quei fu l’un d’i sette regi
69 ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’elli abbia
Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi;
ma, com’io dissi lui, li suoi dispetti
72 sono al suo petto assai debiti fregi.
Or mi vien dietro, e guarda che non metti,
ancor, li piedi ne la rena arsiccia;
75 ma sempre al bosco tien li piedi stretti".
Tacendo divenimmo là ’ve spiccia
fuor de la selva un picciol fiumicello,
78 lo cui rossore ancor mi raccapriccia.
Quale del Bulicame esce ruscello
che parton poi tra lor le peccatrici,
81 tal per la rena giù sen giva quello.
Lo fondo suo e ambo le pendici
fatt’era ’n pietra, e ’ margini dallato;
84 per ch’io m’accorsi che ’l passo era lici.
"Tra tutto l’altro ch’i’ t’ho dimostrato,
poscia che noi intrammo per la porta
87 lo cui sogliare a nessuno è negato,
cosa non fu da li tuoi occhi scorta
notabile com’è ’l presente rio,
90 che sovra sé tutte fiammelle ammorta".
Queste parole fuor del duca mio;
per ch’io ’l pregai che mi largisse ’l pasto
93 di cui largito m’avëa il disio.
"In mezzo mar siede un paese guasto",
diss’elli allora, "che s’appella Creta,
96 sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto.
Una montagna v’è che già fu lieta
d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
99 or è diserta come cosa vieta.
Rëa la scelse già per cuna fida
del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
102 quando piangea, vi facea far le grida.
Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
che tien volte le spalle inver’ Dammiata
105 e Roma guarda come süo speglio.
La sua testa è di fin oro formata,
e puro argento son le braccia e ’l petto,
108 poi è di rame infino a la forcata;
da indi in giuso è tutto ferro eletto,
salvo che ’l destro piede è terra cotta;
111 e sta ’n su quel, più che ’n su l’altro, eretto.
Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
d’una fessura che lagrime goccia,
114 le quali, accolte, fóran quella grotta.
Lor corso in questa valle si diroccia;
fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
117 poi sen van giù per questa stretta doccia,
infin, là ove più non si dismonta,
fanno Cocito; e qual sia quello stagno
120 tu lo vedrai, però qui non si conta".
E io a lui: "Se ’l presente rigagno
si diriva così dal nostro mondo,
123 perché ci appar pur a questo vivagno?".
Ed elli a me: "Tu sai che ’l loco è tondo;
e tutto che tu sie venuto molto,
126 pur a sinistra, giù calando al fondo,
non se’ ancor per tutto il cerchio vòlto;
per che, se cosa n’apparisce nova,
129 non de’ addur maraviglia al tuo volto".
E io ancor: "Maestro, ove si trova
Flegetonta e Letè? ché de l’un taci,
132 e l’altro di’ che si fa d’esta piova".
"In tutte tue question certo mi piaci",
rispuose, "ma ’l bollor de l’acqua rossa
135 dovea ben solver l’una che tu faci.
Letè vedrai, ma fuor di questa fossa,
là dove vanno l’anime a lavarsi
138 quando la colpa pentuta è rimossa".
Poi disse: "Omai è tempo da scostarsi
dal bosco; fa che di retro a me vegne:
141 li margini fan via, che non son arsi,
e sopra loro ogne vapor si spegne".

PARAFRASI
Poiché l’amore di patria mi riempì di commozione, raccolsi le fronde disperse, e le restituii a quell’anima, che ormai era muta. Giungemmo quindi al confine dove il secondo girone si separa dal terzo, e dove si contempla una spaventosa opera della giustizia. Per spiegare bene le cose qui vedute per la prima volta, dico che arrivammo presso una pianura che respinge dalla sua superficie ogni forma di vegetazione. La triste foresta (dei suicidi) la circonda, come il fiume di sangue circonda quest’ultima: qui ci arrestammo sul margine. Il terreno era una sabbia asciutta e compatta, non dissimile da quella che fu calpestata un tempo da Catone. O castigo di Dio, quanto devi essere temuto da chiunque legge ciò che apparve ai miei occhi! Vidi molte schiere di dannati indifesi che piangevano tutte con grande strazio, e appariva imposta a ciascuna una diversa punizione. Alcuni (i bestemmiatori) giacevano in terra in posizione supina; altri (gli usurai) sedevano tutti rannicchiati, altri ancora (i sodomiti) camminavano senza posa. Quelli che camminavano girando intorno erano più numerosi, mentre quelli che sostenevano il castigo distesi erano in minor numero, ma più pronti a manifestare il dolore. Sulla distesa dì sabbia, per tutta la sua ampiezza, scendevano lentamente, larghe falde di fuoco, come (falde) di neve su una montagna senza vento. Come le fiamme che nelle calde regioni dell’India Alessandro vide cadere compatte fino a terra sul suo esercito, e perciò fece calpestare il terreno dalle schiere, perché il fuoco si spegneva meglio, finché era isolato, allo stesso modo, scendeva il fuoco eterno; e perciò la sabbia si infiammava, come materia infiammabile sotto l’acciarino, per raddoppiare la sofferenza. Il movimento frenetico delle misere mani era incessante, nello scostare dai corpi il fuoco appena caduto. Cominciai a parlare: " Maestro, tu che superi ogni difficoltà, tranne i diavoli ostinati che ci uscirono incontro mentre stavamo per entrare attraverso la porta (di Dite), chi è quel grande che non sembra tenere in considerazione le fiamme e giace sprezzante e torvo, in modo che la pioggia (di fuoco) non sembra fiaccarlo ?" E quello stesso accortosi che chiedevo di lui a Virgilio, gridò: " Come fui da vìvo, così sono da morto. Anche se Giove facesse lavorare fino all’esaurimento delle forze il suo fabbro (Vulcano) dal quale adirato prese il fulmine acuminato con cui mi colpì nell’ultimo giorno della mia vita; anche se facesse stancare gli altri (i Ciclopi), un gruppo dopo l’altro, nella nera fucina dentro l’Etna, invocando: "Esperto Vulcano. Aiuto, aiuto!", così come fece durante la battaglia di Flegra (combattuta tra i giganti che tentavano di scalare l’Olimpo e gli dei), e mi fulminasse con tutta la sua forza, non potrebbe gioire della sua vendetta". Allora Virgilio parlò con tanta veemenza, come non lo avevo udito mai fino allora: " O Capaneo, proprio nel fatto che non si modera la tua superbia, tu sei maggiormente punito: nessun supplizio, all’infuori della tua rabbia, sarebbe una sofferenza adeguata al tuo furore " . Poi si rivolse verso di me con viso più sereno dicendo: "Quello fu uno dei sette re che assediarono Tebe; ed ebbe e sembra abbia Dio in dispregio, e sembra che poco lo stimi; ma, come gli dissi, i suoi atteggiamenti di disprezzo sono ornamenti assai appropriati al suo animo. Seguimi adesso, e stai attento, anche ora, a non mettere i piedi nella sabbia bruciata; ma tieni sempre i piedi a contatto col suolo del bosco ". In silenzio giungemmo, nel punto dove scaturisce dalla selva un fiumicello, il cui colore rosso ancora mi fa raccapricciare. Come dal Bulicame esce un ruscello che le pettinatrici (della canapa) dividono poi fra di loro, similmente quello scorreva attraverso la sabbia. Il suo letto ed entrambe le sponde erano fatti di pietra, come pure gli argini laterali; e perciò mi accorsi che lì era il passaggio (attraverso la sabbia infuocata). " Fra tutte le altre cose che ti ho mostrato, dopo che entrammo attraverso la porta (dell’inferno) il cui ingresso non è precluso a nessuno, i tuoi occhi non videro nessuna cosa notevole come questo corso d’acqua, che sopra di sé smorza tutte le fiammelle. " Queste furono le parole della mia guida; perciò la pregai che mi concedesse il cibo di cui mi aveva dato il desiderio (che mi spiegasse le cose che, dopo il suo accenno, desideravo sapere). " In mezzo al mare si trova una terra desolata " disse Virgilio allora, " che si chiama Creta, sotto il cui re un tempo il mondo fu virtuoso. Vi si trova una montagna una volta allietata da acque e vegetazione, il cui nome fu Ida: ora è abbandonata come cosa vecchia. Rea la scelse una volta come nascondiglio sicuro per suo figlio, e per celarlo meglio, quando piangeva, ordinava di gridare. Dentro il monte sta eretto un gran vecchio, che tiene le spalle volte verso Damiata (Damietta, su una delle foci del Nilo: indica qui l’Oriente) e guarda Roma come fosse il suo specchio, Il suo capo è fatto di oro puro, le braccia e il petto sono di puro argento, poi è di rame fino al punto in cui le gambe si biforcano; da questo punto in giù è tutto di ferro scelto, eccetto il piede destro che è di terracotta; e si appoggia più su questo che sull’altro piede. Ogni parte, fuorché quella d’oro, è incisa da una fessura che stilla lagrime, le quali, raccolte insieme, perforano la roccia. Esse precipitano di roccia in roccia in questo abisso: formano l’Acheronte, lo Stige e il Flegetonte; poi scendono attraverso questo stretto canale fino al punto ove più non si scende: formano il Cocito; e che aspetto abbia quella palude, lo vedrai; perciò adesso non ne parlo." E io: " Se questo fiumicello scaturisce quindi dalla terra, perché ci si mostra soltanto su questo margine ? " E Virgilio: "Tu sai che questo luogo ha forma circolare; benché, scendendo verso il fondo, tu ti sia inoltrato parecchio procedendo sempre a sinistra, non hai ancora compiuto un giro intero: perciò, se appare una cosa nuova, essa non deve apportare un’espressione di stupore sul tuo volto ". E io ancora: " Maestro, dove si trovano il Flegetonte e il Letè ? poiché di uno di questi non parli, e dell’altro dici che ha origine da questa pioggia (di lagrime)". " In tutte le tue domande riscuoti certamente la mia approvazione " rispose; "ma il ribollire dell’acqua rossa doveva ben risolvere uno dei due quesiti che proponi. Vedrai il Letè, ma fuori di questo abisso, là dove le anime vanno a detergersi quando ogni peccato di cui si sono pentite è cancellato. " Quindi disse: " Ormai è tempo di allontanarsi dal bosco; fa in modo di seguire i miei passi: gli argini, che non sono bruciati dal fuoco, indicano la strada, e sopra di loro ogni fiamma si spegne ".

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