domenica 10 maggio 2009

CANTO VENTESIMO

Di nova pena mi conven far versi
e dar matera al ventesimo canto
3 de la prima canzon, ch’è d’i sommersi.
Io era già disposto tutto quanto
a riguardar ne lo scoperto fondo,
6 che si bagnava d’angoscioso pianto;
e vidi gente per lo vallon tondo
venir, tacendo e lagrimando, al passo
9 che fanno le letane in questo mondo.
Come ’l viso mi scese in lor più basso,
mirabilmente apparve esser travolto
12 ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso,
ché da le reni era tornato ’l volto,
e in dietro venir li convenia,
15 perché ’l veder dinanzi era lor tolto.
Forse per forza già di parlasia
si travolse così alcun del tutto;
18 ma io nol vidi, né credo che sia.
Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto
di tua lezione, or pensa per te stesso
21 com’io potea tener lo viso asciutto,
quando la nostra imagine di presso
vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi
24 le natiche bagnava per lo fesso.
Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi
del duro scoglio, sì che la mia scorta
27 mi disse: "Ancor se’ tu de li altri sciocchi?
Qui vive la pietà quand’è ben morta;
chi è più scellerato che colui
30 che al giudicio divin passion comporta?
Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
s’aperse a li occhi d’i Teban la terra;
33 per ch’ei gridavan tutti: "Dove rui,
Anfïarao? perché lasci la guerra?".
E non restò di ruinare a valle
36 fino a Minòs che ciascheduno afferra.
Mira c’ha fatto petto de le spalle;
perché volse veder troppo davante,
39 di retro guarda e fa retroso calle.
Vedi Tiresia, che mutò sembiante
quando di maschio femmina divenne,
42 cangiandosi le membra tutte quante;
e prima, poi, ribatter li convenne
li duo serpenti avvolti, con la verga,
45 che rïavesse le maschili penne.
Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga,
che ne’ monti di Luni, dove ronca
48 lo Carrarese che di sotto alberga,
ebbe tra ’ bianchi marmi la spelonca
per sua dimora; onde a guardar le stelle
51 e ’l mar no li era la veduta tronca.
E quella che ricuopre le mammelle,
che tu non vedi, con le trecce sciolte,
54 e ha di là ogne pilosa pelle,
Manto fu, che cercò per terre molte;
poscia si puose là dove nacqu’io;
57 onde un poco mi piace che m’ascolte.
Poscia che ’l padre suo di vita uscìo
e venne serva la città di Baco,
60 questa gran tempo per lo mondo gio.
Suso in Italia bella giace un laco,
a piè de l’Alpe che serra Lamagna
63 sovra Tiralli, c’ha nome Benaco.
Per mille fonti, credo, e più si bagna
tra Garda e Val Camonica e Pennino
66 de l’acqua che nel detto laco stagna.
Loco è nel mezzo là dove ’l trentino
pastore e quel di Brescia e ’l veronese
69 segnar poria, s’e’ fesse quel cammino.
Siede Peschiera, bello e forte arnese
da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
72 ove la riva ’ntorno più discese.
Ivi convien che tutto quanto caschi
ciò che ’n grembo a Benaco star non può,
75 e fassi fiume giù per verdi paschi.
Tosto che l’acqua a correr mette co,
non più Benaco, ma Mencio si chiama
78 fino a Governol, dove cade in Po.
Non molto ha corso, ch’el trova una lama,
ne la qual si distende e la ’mpaluda;
81 e suol di state talor essere grama.
Quindi passando la vergine cruda
vide terra, nel mezzo del pantano,
84 sanza coltura e d’abitanti nuda.
Lì, per fuggire ogne consorzio umano,
ristette con suoi servi a far sue arti,
87 e visse, e vi lasciò suo corpo vano.
Li uomini poi che ’ntorno erano sparti
s’accolsero a quel loco, ch’era forte
90 per lo pantan ch’avea da tutte parti.
Fer la città sovra quell’ossa morte;
e per colei che ’l loco prima elesse,
93 Mantüa l’appellar sanz’altra sorte.
Già fuor le genti sue dentro più spesse;
prima che la mattia da Casalodi
96 da Pinamonte inganno ricevesse.
Però t’assenno che, se tu mai odi
originar la mia terra altrimenti,
99 la verità nulla menzogna frodi".
E io: "Maestro, i tuoi ragionamenti
mi son sì certi e prendon sì mia fede,
102 che li altri mi sarien carboni spenti.
Ma dimmi, de la gente che procede,
se tu ne vedi alcun degno di nota;
105 ché solo a ciò la mia mente rifiede".
Allor mi disse: "Quel che da la gota
porge la barba in su le spalle brune,
108 fu - quando Grecia fu di maschi vòta,
sì ch’a pena rimaser per le cune -
augure, e diede ’l punto con Calcanta
111 in Aulide a tagliar la prima fune.
Euripilo ebbe nome, e così ’l canta
l’alta mia tragedìa in alcun loco:
114 ben lo sai tu che la sai tutta quanta.
Quell’altro che ne’ fianchi è così poco,
Michele Scotto fu, che veramente
117 de le magiche frode seppe ’l gioco.
Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
ch’avere inteso al cuoio e a lo spago
120 ora vorrebbe, ma tardi si pente.
Vedi le triste che lasciaron l’ago,
la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine;
123 fecer malie con erbe e con imago.
Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine
d’amendue li emisperi e tocca l’onda
126 sotto Sobilia Caino e le spine;
e già iernotte fu la luna tonda:
ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque
129 alcuna volta per la selva fonda".
Sì mi parlava, e andavamo introcque.

PARAFRASI
Devo ora scrivere versi intorno ad una pena mai prima vista e fornire argomento al ventesimo canto della prima cantica, che è quella dei dannati sprofondati (nell’inferno). Io ero già del tutto pronto a scrutare nel fondo visibile (della bolgia), che era bagnato da lagrime d’angoscia; e notai una folla che avanzava nella gran valle circolare, silenziosa e piangente, col passo che tengono nel nostro mondo le processioni. Quando il mio sguardo scese più in basso su di loro, ognuno mi apparve essere rivolto all’indietro in modo mostruoso tra il mento e l’inizio del petto; poiché il viso era girato verso le reni, e dovevano camminare all’indietro, in quanto davanti la vista era loro preclusa. Forse già qualcuno si stravolse così completamente a causa di una paralisi; ma io non lo vidi mai, né credo che ciò avvenga. Lettore, voglia Dio lasciarti trarre profitto dalla tua lettura, (in nome di questo augurio) pensa adesso da te come avrei potuto trattenermi dal piangere, allorché vidi da vicino la nostra figura umana così stravolta, che le lagrime bagnavano la fenditura che si apre tra le natiche. In verità io piangevo, appoggiato ad una delle sporgenze dello scoglio pietroso, così che il mio accompagnatore mi disse: " Fai ancora parte degli altri stolti (che si commuovono di fronte alla punizione dei malvagi) ? Qui la pietà ha valore quando è del tutto spenta: chi é più empio di colui che mostra compassione là dove Dio ha giudicato ? Alza il capo, alzalo, e guarda colui al quale sotto gli occhi dei Tebani si spalancò la terra, così che tutti gridavano: "Dove precipiti, Anfiarao? perché abbandoni la guerra?" E non smise di precipitare in basso fino a Minosse che ghermisce tutti. Osserva come ha trasformato in petto le spalle: poiché volle veder troppo davanti a sé, (ora) guarda all’indietro e cammina a ritroso. Vedi Tiresia, che cambiò aspetto quando si tramutò da maschio in femmina mentre tutte le membra si trasformavano; e dovette poi percuotere nuovamente, con la verga, i due serpenti avvinti prima di riavere le forme maschili. Quello che volge la schiena al ventre di Tiresia è Arunte, il quale nei monti di Luni, dove i Carraresi che abitano in basso dissodano la terra, ebbe come sua dimora la grotta tra i marmi bianchi; dalla quale la vista rivolta alle stelle e al mare non gli era impedita. E colei che si copre il seno, che tu non puoi vedere, con le trecce sciolte, e ha dall’altra parte tutte le parti pelose del corpo, fu Manto, che peregrinò per molti paesi; poi si fermò là dove io nacqui: per cui sarei lieto che tu mi prestassi un po’ d’attenzione. Dopo che il padre morì, e la città di Tebe (di Baco: di Bacco, sacra a Bacco) fu asservita, costei andò per il mondo lungamente. Lassù nella bella Italia vi è un lago, ai piedi dei monti che segnano i confini della Germania sopra il Tirolo, il quale si chiama Benaco. Attraverso mille e più sorgenti, credo, la regione tra il Garda, la Val Camonica e l’Appennino, è irrigata dall’acqua che poi ristagna nel lago suddetto. In mezzo ad esso è un posto dove il vescovo di Trento, quello di Brescia e quello di Verona potrebbero dare la benedizione, se facessero quel percorso. Peschiera, bella e robusta fortezza atta a fronteggiare Bresciani e Bergamaschi, è posta dove la riva intorno è più bassa. Lì (presso Peschiera) necessariamente trabocca tutto quello che non può essere contenuto nel Benaco, e diventa fiume giù per i pascoli verdeggianti. Appena l’acqua ricomincia a correre, non si chiama più Benaco, ma Mincio, fino a Governolo, ove si getta nel Po. Dopo un percorso non lungo, esso trova un avvallamento, nel quale straripa trasformandolo in palude; e talvolta durante l’estate diventa malsano. Passando di lì la vergine crudele scorse della terra, in mezzo alla palude, non coltivata e priva di abitanti. Lì, per evitare ogni contatto umano, si fermò con i suoi servitori ad esercitare le sue pratiche magiche, e lì visse, e vi lasciò il suo corpo esanime. In seguito gli uomini che erano sparsi nei dintorni si radunarono in quel luogo, che era ben fortificato avendo da ogni lato la palude. Costruirono la città dove erano sepolte le ossa di Manto; e in onore di colei che per prima aveva scelto quel luogo, la chiamarono Mantova senza bisogno di ricorrere ad alcun sortilegio. Un tempo i suoi abitanti furono più numerosi nella cerchia delle sue mura, prima che la stoltezza di Alberto da Casalodi fosse tratta in inganno da Pinamonte. Perciò ti avverto che qualora tu udissi spiegare in modo diverso l’origine della mia città, nessuna menzogna deve alterare la verità ". Ed io: " Maestro, i tuoi ragionamenti sono per me a tal punto veritieri e conquistano talmente il mio assenso, che gli altri (ragionamenti) sarebbero per me inefficaci (tizzoni spenti, cioè privi di luce e di calore). Ma dimmi. dei dannati che camminano, se ne scorgi qualcuno degno di considerazione; perché la mia mente si indirizza di nuovo soltanto a ciò ". Allora mi disse: " Colui che lascia scendere dalle guance la barba sulle spalle abbronzate (invece che sul petto), fu, quando la Grecia rimase priva di uomini in modo che ne restarono soltanto nelle culle, un indovino, e in Aulide indicò insieme con Calcante, il momento propizio per recidere la prima gomena. Si chiamò Euripilo, e sotto questo nome lo celebra il mio sublime poema in un suo passo: lo sai bene tu che lo conosci tutto. Quell’altro che è così magro nei fianchi, fu Michele Scotto, il quale fu davvero abile nelle frodi della magia. Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, il quale adesso vorrebbe essersi occupato del cuoio e dello spago, ma si pente troppo tardi. Vedi le sciagurate che abbandonarono l’ago, la spola e il fuso, e si fecero indovine; fecero incantesimi con erbe e con simulacri. Ma vieni via di qui ormai; poiché già la luna occupa il confine dei due emisferi (boreale e australe) e si immerge nel mare nelle vicinanze di Siviglia; e già ieri notte la luna fu piena: te ne devi ben ricordare, poiché ti fu utile una volta nella selva buia ". Così mi parlava, ed intanto camminavamo.

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