martedì 12 maggio 2009

CANTO TRENTUNESIMO

Una medesma lingua pria mi morse,
sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,
3 e poi la medicina mi riporse;
così od’io che solea far la lancia
d’Achille e del suo padre esser cagione
6 prima di trista e poi di buona mancia.
Noi demmo il dosso al misero vallone
su per la ripa che ’l cinge dintorno,
9 attraversando sanza alcun sermone.
Quiv’era men che notte e men che giorno,
sì che ’l viso m’andava innanzi poco;
12 ma io senti’ sonare un alto corno,
tanto ch’avrebbe ogne tuon fatto fioco,
che, contra sé la sua via seguitando,
15 dirizzò li occhi miei tutti ad un loco.
Dopo la dolorosa rotta, quando
Carlo Magno perdé la santa gesta,
18 non sonò sì terribilmente Orlando.
Poco portäi in là volta la testa,
che me parve veder molte alte torri;
21 ond’io: "Maestro, di’, che terra è questa?".
Ed elli a me: "Però che tu trascorri
per le tenebre troppo da la lungi,
24 avvien che poi nel maginare abborri.
Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi,
quanto ’l senso s’inganna di lontano;
27 però alquanto più te stesso pungi".
Poi caramente mi prese per mano
e disse: "Pria che noi siamo più avanti,
30 acciò che ’l fatto men ti paia strano,
sappi che non son torri, ma giganti,
e son nel pozzo intorno da la ripa
33 da l’umbilico in giuso tutti quanti".
Come quando la nebbia si dissipa,
lo sguardo a poco a poco raffigura
36 ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa,
così forando l’aura grossa e scura,
più e più appressando ver’ la sponda,
39 fuggiemi errore e cresciemi paura;
però che, come su la cerchia tonda
Montereggion di torri si corona,
42 così la proda che ’l pozzo circonda
torreggiavan di mezza la persona
li orribili giganti, cui minaccia
45 Giove del cielo ancora quando tuona.
E io scorgeva già d’alcun la faccia,
le spalle e ’l petto e del ventre gran parte,
48 e per le coste giù ambo le braccia.
Natura certo, quando lasciò l’arte
di sì fatti animali, assai fé bene
51 per tòrre tali essecutori a Marte.
E s’ella d’elefanti e di balene
non si pente, chi guarda sottilmente,
54 più giusta e più discreta la ne tene;
ché dove l’argomento de la mente
s’aggiugne al mal volere e a la possa,
57 nessun riparo vi può far la gente.
La faccia sua mi parea lunga e grossa
come la pina di San Pietro a Roma,
60 e a sua proporzione eran l’altre ossa;
sì che la ripa, ch’era perizoma
dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
63 di sovra, che di giugnere a la chioma
tre Frison s’averien dato mal vanto;
però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi
66 dal loco in giù dov’omo affibbia ’l manto.
"Raphél maì amècche zabì almi",
cominciò a gridar la fiera bocca,
69 cui non si convenia più dolci salmi.
E ’l duca mio ver’ lui: "Anima sciocca,
tienti col corno, e con quel ti disfoga
72 quand’ira o altra passïon ti tocca!
Cércati al collo, e troverai la soga
che ’l tien legato, o anima confusa,
75 e vedi lui che ’l gran petto ti doga".
Poi disse a me: "Elli stessi s’accusa;
questi è Nembrotto per lo cui mal coto
78 pur un linguaggio nel mondo non s’usa.
Lasciànlo stare e non parliamo a vòto;
ché così è a lui ciascun linguaggio
81 come ’l suo ad altrui, ch’a nullo è noto".
Facemmo adunque più lungo vïaggio,
vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro,
84 trovammo l’altro assai più fero e maggio.
A cigner lui qual che fosse ’l maestro,
non so io dir, ma el tenea soccinto
87 dinanzi l’altro e dietro il braccio destro
d’una catena che ’l tenea avvinto
dal collo in giù, sì che ’n su lo scoperto
90 si ravvolgëa infino al giro quinto.
"Questo superbo volle esser esperto
di sua potenza contra ’l sommo Giove",
93 disse ’l mio duca, "ond’elli ha cotal merto.
Fïalte ha nome, e fece le gran prove
quando i giganti fer paura a’ dèi;
96 le braccia ch’el menò, già mai non move".
E io a lui: "S’esser puote, io vorrei
che de lo smisurato Brïareo
99 esperïenza avesser li occhi miei".
Ond’ei rispuose: "Tu vedrai Anteo
presso di qui che parla ed è disciolto,
102 che ne porrà nel fondo d’ogne reo.
Quel che tu vuo’ veder, più là è molto
ed è legato e fatto come questo,
105 salvo che più feroce par nel volto".
Non fu tremoto già tanto rubesto,
che scotesse una torre così forte,
108 come Fïalte a scuotersi fu presto.
Allor temett’io più che mai la morte,
e non v’era mestier più che la dotta,
111 s’io non avessi viste le ritorte.
Noi procedemmo più avante allotta,
e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
114 sanza la testa, uscia fuor de la grotta.
"O tu che ne la fortunata valle
che fece Scipion di gloria reda,
117 quand’Anibàl co’ suoi diede le spalle,
recasti già mille leon per preda,
e che, se fossi stato a l’alta guerra
120 de’ tuoi fratelli, ancor par che si creda
ch’avrebber vinto i figli de la terra:
mettine giù, e non ten vegna schifo,
123 dove Cocito la freddura serra.
Non ci fare ire a Tizio né a Tifo:
questi può dar di quel che qui si brama;
126 però ti china e non torcer lo grifo.
Ancor ti può nel mondo render fama,
ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta
129 se ’nnanzi tempo grazia a sé nol chiama".
Così disse ’l maestro; e quelli in fretta
le man distese, e prese ’l duca mio,
132 ond’Ercule sentì già grande stretta.
Virgilio, quando prender si sentio,
disse a me: "Fatti qua, sì ch’io ti prenda";
135 poi fece sì ch’un fascio era elli e io.
Qual pare a riguardar la Carisenda
sotto ’l chinato, quando un nuvol vada
138 sovr’essa sì, ched ella incontro penda:
tal parve Antëo a me che stava a bada
di vederlo chinare, e fu tal ora
141 ch’i’ avrei voluto ir per altra strada.
Ma lievemente al fondo che divora
Lucifero con Giuda, ci sposò;
144 né, sì chinato, lì fece dimora,
e come albero in nave si levò.

PARAFRASI
Una stessa lingua (quella di Virgilio) dapprima mi rimproverò, in modo da farmi arrossire, e poi mi ridiede conforto: così sento dIre che la lancia di Achille e di Peleo soleva essere causa in un primo tempo di una offerta dolorosa e in un secondo tempo di una offerta buona. Noi voltammo le spalle alla decima bolgia lungo !’argine che la circonda, attraversandolo senza parlare. Qui era meno buio ché di notte e meno chiaro che di giorno, così che la mia vista si spingeva avanti di poco; ma udii un corno dal suono così fragoroso, che avrebbe fatto sembrare debole qualunque tuono, il quale suono, continuando a percorrere il suo cammino, fece rivolgere attentamente la mia vista verso un unico punto in direzione opposta a quella da cui proveniva. Dopo la grave disfatta, quando Carlo Magno perdette i paladini della fede, non suonò in modo così terribile Orlando. Avevo per poco tempo tenuto la testa volta in quella direzione, allorché mi sembrò di scorgere numerose alte torri; per cui dissi: "Maestro, dimmi, che città è questa? " E Virgilio a me: " Poiché tu ti spingi con lo sguardo attraverso il buio troppo da lontano, accade poi che tu confonda nel raffigurarti ciò che vedi. Tu vedrai bene, se arriverai in quel luogo, quanto il senso (della vista) possa errare da lontano; perciò sprona maggiormente te stesso". Poi mi prese affettuosamente per mano, e disse: " Prima che noi giungiamo più innanzi, affinché la cosa ti appaia meno sorprendente, devi sapere che non sono torri, bensì giganti, e che stanno tutti nel pozzo lungo la sua parete circolare dall’ombelico in giù ". Come quando la nebbia si dissolve, l’occhio gradatamente distingue quello che nasconde il vapore che rende densa l’aria, così, penetrando con lo sguardo nell’aria spessa e buia, a mano a mano che mi avvicinavo all’orlo del pozzo, si dileguava il mio errore e aumentava la mia paura; poiché come il castello di Montereggioni è cinto di torri nella cerchia delle mura che lo circondano, così la sponda che gira intorno al pozzo soverchiavano come torri con metà del loro corpo i mostruosi giganti, che Giove sembra ancora minacciare col tuono dal cielo. E io già di uno di costoro intravedevo il viso, le spalle e il petto e gran parte del ventre, e le due braccia abbandonate lungo i fianchi. Certamente la natura, quando smise di produrre simili esseri viventi, fece cosa molto buona, perché sottrasse a Marte (il dio della guerra) tali esecutori (delle sue volontà). E se la natura non si pente degli elefanti e delle balene. chi riflette con attenzione, la giudica per questo più giusta e più assennata; poiché nei casi in cui lo strumento della ragione si aggiunge alla volontà di nuocere e alla forza fisica, gli uomini non possono opporre alcuna difesa. La faccia di quel gigante mi sembrava lunga, e grossa come la pigna di San Pietro in Roma (questa figura di bronzo ai tempi di Dante si trovava nell’atrio di San Pietro; oggi invece è all’interno del Vaticano, nel cortile detto della, Pigna), e le altre membra erano proporzionate ad essa; così che la sponda, che gli serviva da veste dalla metà del corpo in giù, lasciava vedere tanto della parte superiore del suo corpo, che di arrivargli ai capelli tre abitanti della Frisia (rinomati per la loro alta statura) difficilmente avrebbero potuto vantarsi; poiché ne scorgevo trenta palmi (poco più di sette metri) abbondanti dal collo in giù. "Raphél may améch zabi almì" cominciò a gridare la mostruosa bocca, alla quale non si addicevano discorsi più gradevoli. E Virgilio, rivolgendosi a lui: " Spirito sciocco, accontentati del corno, e sfogati con quello quando ti prende l’ira o un’altra passione! Cerca intorno al tuo collo, e troverai la cinghia che lo tiene legato, o anima ottenebrata, e guardalo come attraversa il tuo petto possente ". Poi mi disse: " Da solo rivela chi egli sia; costui è Nembrot per il cui empio pensiero nel mondo non si usa più un unico linguaggio. Lasciamolo stare e non parliamo inutilmente; perché per lui ogni linguaggio è tale (così: cioè incomprensibile) come per altri è il suo, che non è conosciuto da nessuno. Percorremmo dunque un più lungo cammino, diretti verso sinistra; ed a un tiro di balestra incontrammo l’altro (gigante) molto più crudele nell’aspetto e più grande. Chi fosse l’artefice che lo legò, non so dire, ma egli aveva piegato davanti il braccio sinistro e dietro il braccio destro per mezzo di una catena che lo teneva legato dal collo in giù, in modo che essa gli si avvolgeva intorno per cinque giri nella parte visibile del corpo. "Questo superbo volle sperimentare la sua forza contro l’altissimo Giove " disse Virgilio, " per cui ha una simile ricompensa. Il suo nome è Fialte, e mostrò la sua grande forza al tempo in cui i giganti fecero paura agli dei: ora non muove. più le braccia che egli mosse. " E io a lui: "Se fosse possibile, vorrei che i miei occhi vedessero l’ immane Briareo", Per cui Virgilio rispose: " Tu vedrai qui vicino Anteo, che sa esprimersi e non è legato, il quale ci deporrà sul fondo dell’inferno. Quello che tu vuoi vedere é molto più distante, ed è incatenato e ha la stessa corporatura di Fialte, tranne che appare più terribile nel volto ". Mai vi fu terremoto tanto violento, che scuotesse una torre con lo stesso impeto con il quale fu pronto a scuotersi Fialte. Allora più che mai ebbi paura della morte, e non vi sarebbe stato bisogno d’altro oltre la paura (perché io morissi), se non avessi veduto le catene. Allora proseguimmo nel nostro cammino, e giungemmo presso Anteo, che sovrastava la parete rocciosa di oltre sei metri, se non si teneva conto della testa. "O tu che nella fortunosa valle che fece Scipione erede di gloria, quando Annibale fu volto in fuga col suo esercito, portasti un giorno innumerevoli leoni catturati, e che se avessi preso parte alla grande guerra dei tuoi fratelli, ancora vi è chi potrebbe credere che avrebbero vinto i giganti (i figli della terra), deponici, e non sdegnare di farlo, dove il freddo congela le acque di Cocito. Non ci fare andare né da Tizio né da Tifo (il primo di questi due giganti fu fulminato da Apollo per aver tentato di sedurre Latona, il secondo da Giove): il mio compagno può darti ciò che nell’inferno è desiderato (la fama tra i vivi); perciò abbassati, e non volgere altrove il viso. Egli ti può ancora dare, gloria nel mondo. poiché egli vive, e attende ancora di vivere a lungo se la grazia divina non lo chiama a sé prima dei tempo. " Così parlò Virgilio; e Anteo stese sollecito le mani, di cui Ercole aveva sentito una volta la stretta poderosa, e afferrò la mia guida. Virgilio, quando si sentì afferrare, mi disse: "Avvicinati, così che io possa prenderti"; poi fece in modo che egli ed io formassimo un solo fascio. Come appare la Garisenda (la minore delle due famose torri di Bologna) quando la si guarda dalla parte in cui è inclinata, allorché una nuvola passa sopra ad essa, in direzione contraria alla sua pendenza (sì, che ella incontro penda: sembra allora che la nuvola sia ferma e la torre stia per piombare a terra), così apparve Anteo a me che facevo attenzione per vederlo nell’atto del suo piegarsi, e fu un momento tale che avrei voluto andare per un’altra strada. Ma dolcemente ci depose sul fondo che imprigiona Lucifero e Giuda; né, così chinato, lì indugiò, ma si levò diritto come in una nave l’ albero.

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