martedì 12 maggio 2009

CANTO VENTISETTESIMO

Già era dritta in sù la fiamma e queta
per non dir più, e già da noi sen gia
3 con la licenza del dolce poeta,
quand’un’altra, che dietro a lei venìa,
ne fece volger li occhi a la sua cima
6 per un confuso suon che fuor n’uscia.
Come ’l bue cicilian che mugghiò prima
col pianto di colui, e ciò fu dritto,
9 che l’avea temperato con sua lima,
mugghiava con la voce de l’afflitto,
sì che, con tutto che fosse di rame,
12 pur el pareva dal dolor trafitto;
così, per non aver via né forame
dal principio nel foco, in suo linguaggio
15 si convertïan le parole grame.
Ma poscia ch’ebber colto lor vïaggio
su per la punta, dandole quel guizzo
18 che dato avea la lingua in lor passaggio,
udimmo dire: "O tu a cu’ io drizzo
la voce e che parlavi mo lombardo,
21 dicendo "Istra ten va, più non t’adizzo",
perch’io sia giunto forse alquanto tardo,
non t’incresca restare a parlar meco;
24 vedi che non incresce a me, e ardo!
Se tu pur mo in questo mondo cieco
caduto se’ di quella dolce terra
27 latina ond’io mia colpa tutta reco,
dimmi se Romagnuoli han pace o guerra;
ch’io fui d’i monti là intra Orbino
30 e ’l giogo di che Tever si diserra".
Io era in giuso ancora attento e chino,
quando il mio duca mi tentò di costa,
33 dicendo: "Parla tu; questi è latino".
E io, ch’avea già pronta la risposta,
sanza indugio a parlare incominciai:
36 "O anima che se’ là giù nascosta,
Romagna tua non è, e non fu mai,
sanza guerra ne’ cuor de’ suoi tiranni;
39 ma ’n palese nessuna or vi lasciai.
Ravenna sta come stata è molt’anni:
l’aguglia da Polenta la si cova,
42 sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni.
La terra che fé già la lunga prova
e di Franceschi sanguinoso mucchio,
45 sotto le branche verdi si ritrova.
E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio,
che fecer di Montagna il mal governo,
48 là dove soglion fan d’i denti succhio.
Le città di Lamone e di Santerno
conduce il lïoncel dal nido bianco,
51 che muta parte da la state al verno.
E quella cu’ il Savio bagna il fianco,
così com’ella sie’ tra ’l piano e ’l monte
54 tra tirannia si vive e stato franco.
Ora chi se’, ti priego che ne conte;
non esser duro più ch’altri sia stato,
57 se ’l nome tuo nel mondo tegna fronte".
Poscia che ’l foco alquanto ebbe rugghiato
al modo suo, l’aguta punta mosse
60 di qua, di là, e poi diè cotal fiato:
"S’i’ credesse che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
63 questa fiamma staria sanza più scosse;
ma però che già mai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,
66 sanza tema d’infamia ti rispondo.
Io fui uom d’arme, e poi fui cordigliero,
credendomi, sì cinto, fare ammenda;
69 e certo il creder mio venìa intero,
se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!,
che mi rimise ne le prime colpe;
72 e come e quare, voglio che m’intenda.
Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe
che la madre mi diè, l’opere mie
75 non furon leonine, ma di volpe.
Li accorgimenti e le coperte vie
io seppi tutte, e sì menai lor arte,
78 ch’al fine de la terra il suono uscie.
Quando mi vidi giunto in quella parte
di mia etade ove ciascun dovrebbe
81 calar le vele e raccoglier le sarte,
ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe,
e pentuto e confesso mi rendei;
84 ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
Lo principe d’i novi Farisei,
avendo guerra presso a Laterano,
87 e non con Saracin né con Giudei,
ché ciascun suo nimico era cristiano,
e nessun era stato a vincer Acri
90 né mercatante in terra di Soldano,
né sommo officio né ordini sacri
guardò in sé, né in me quel capestro
93 che solea fare i suoi cinti più macri.
Ma come Costantin chiese Silvestro
d’entro Siratti a guerir de la lebbre,
96 così mi chiese questi per maestro
a guerir de la sua superba febbre;
domandommi consiglio, e io tacetti
99 perché le sue parole parver ebbre.
E’ poi ridisse: "Tuo cuor non sospetti;
finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
102 sì come Penestrino in terra getti.
Lo ciel poss’io serrare e diserrare,
come tu sai; però son due le chiavi
105 che ’l mio antecessor non ebbe care".
Allor mi pinser li argomenti gravi
là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio,
108 e dissi: "Padre, da che tu mi lavi
di quel peccato ov’io mo cader deggio,
lunga promessa con l’attender corto
111 ti farà trïunfar ne l’alto seggio".
Francesco venne poi, com’io fu’ morto,
per me; ma un d’i neri cherubini
114 li disse: "Non portar: non mi far torto.
Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini
perché diede ’l consiglio frodolente,
117 dal quale in qua stato li sono a’ crini;
ch’assolver non si può chi non si pente,
né pentere e volere insieme puossi
120 per la contradizion che nol consente".
Oh me dolente! come mi riscossi
quando mi prese dicendomi: "Forse
123 tu non pensavi ch’io löico fossi!".
A Minòs mi portò; e quelli attorse
otto volte la coda al dosso duro;
126 e poi che per gran rabbia la si morse,
disse: "Questi è d’i rei del foco furo";
per ch’io là dove vedi son perduto,
129 e sì vestito, andando, mi rancuro".
Quand’elli ebbe ’l suo dir così compiuto,
la fiamma dolorando si partio,
132 torcendo e dibattendo ’l corno aguto.
Noi passamm’oltre, e io e ’l duca mio,
su per lo scoglio infino in su l’altr’arco
135 che cuopre ’l fosso in che si paga il fio
a quei che scommettendo acquistan carco.

PARAFRASI
La fiamma si era già raddrizzata e stava ferma perché più non parlava, e già si allontanava da noi col permesso del caro Virgilio, quando un’altra, che sopraggiungeva dietro di lei, ci fece volgere lo sguardo verso la sua punta a causa di un mormorio che da essa proveniva. Come il toro siciliano che muggì per la prima volta, e ciò fu cosa giusta, con il lamento di colui che l’aveva costruito con i suoi arnesi, muggiva con il gemito del martirizzato, tanto che, sebbene fosse fatto di rame, sembrava che lui stesso soffrisse, così, non trovando all’inizio né una via né un’apertura attraverso il fuoco, le parole dolorose si mutavano nel suono di quest’ultimo. Ma dopo che ebbero trovato la loro via verso l’alto attraverso la punta, comunicandole quella vibrazione che la lingua aveva loro impresso mentre passavano, udimmo dire: " O tu al quale rivolgo la parola e che or ora parlavi in dialetto lombardo, dicendo "Adesso vattene; più non ti sprono a parlare", sebbene io sia arrivato forse un po’ tardi, non ti dispiaccia rimanere a parlare con me: vedi che a me non rincresce, eppure brucio! Se tu proprio ora sei precipitato nell’inferno da quella amata terra italiana dalla quale ho portato tutti i miei peccati, dimmi se i Romagnoli sono in pace o in guerra; perché io nacqui nei monti là tra Urbino e il giogo da cui scaturisce il Tevere ". Stavo ancora attento e chinato verso il fondo, allorché Virgilio mi toccò nel fianco (tentò di costa), dicendo: " Parla tu; costui è italiano (latino) ". Ed io, che ero già preparato a rispondere, presi a parlare senza indugio: " O anima che sei celata laggiù, la tua Romagna non è, e non è mai stata, in pace nel cuore dei suoi signori; ma ora non vi lasciai alcun conflitto manifesto. Ravenna si trova nella condizione in cui è stata per molti anni: l’aquila dei da Polenta se la custodisce, in modo da coprire con le ali anche Cervia. La città (la terra: Forlì) che già sostenne il lungo assedio e fece una strage di Francesi. è ora sotto il dominio degli artigli verdi (degli Ordelaffi). E il vecchio Malatesta da Verrucchio e suo figlio, che fecero strazio di Montagna, là (a Rimini e nelle terre vicine) dove sono soliti farlo usano i denti a mo’ di succhiello. Le città bagnate dal Lamone (Faenza) e dal Santerno (Imola) sono governate dal piccolo leone in campo bianco, che cambia partito da una stagione all’altra. E Cesena che è bagnata dal Savio, così com’è sistemata tra la pianura e l’ Appennino, vive tra la tirannide e la libertà. Ora ti prego di raccontarci chi sei: non essere restio a parlare più che non lo sia stato io, se vuoi che il tuo nome abbia nel mondo una fama duratura ". Dopo che la fiamma ebbe alquanto rumoreggiato com’era solita fare, mosse la cima aguzza di qua e di là, e poi pronunciò tali parole : " Se io pensassi che la mia risposta fosse data a una persona che prima o poi tornasse sulla terra, questa fiamma sarebbe silenziosa; ma poiché da questo abisso mai alcuno ritornò vivo, se è vero ciò che mi si dice, ti rispondo senza timore d’essere coperto d’infamia. Fui guerriero, e poi frate francescano, ritenendo che, cinto da quel cordiglio, avrei riparato (alle mie colpe); e sicuramente ciò che io credevo si sarebbe avverato del tutto, se non fosse stato per il papa, che mal gliene incolga!, che mi ece ricadere nei peccati di prima; e voglio che tu ascolti in qual modo e perché. Finché fui il principio informativo (forma lui: in quanto anima, nel significato solito della Scolastica) del corpo che mi diede mia madre (cioè: finché fui vivo), le mie azioni non furono il risultato della forza, ma dell’astuzia (di volpe). Io conobbi tutte le astuzie e tutti i raggiri, e li usai così bene, che la loro fama raggiunse i confini del mondo. Quando mi accorsi di essere arrivato a quell’età (la vecchiaia) in cui ognuno dovrebbe ammainare le vele e radunare le sartie, quello che prima mi era piaciuto, allora mi dispiacque, e dopo essermi pentito e confessato mi feci frate; ah povero infelice!, e ciò mi avrebbe giovato. Il capo (Bonifacio VIII) dei Farisei dei nostri giorni, conducendo una guerra vicino a Roma, e non contro Saraceni né contro Ebrei (cioè contro i nemici della religione cattolica), giacché ogni suo avversario era cristiano, ma nessuno era stato a conquistare Acri né a commerciare nel paese dei Sultano, non rispettò in sé né l’elevato incarico né gli ordini sacerdotali, né in me quel cordone francescano che rendeva un tempo più magro chi se ne cingeva. Ma come l’imperatore Costantino mandò a chiamare dalla grotta dei monte Soratte papa Silvestro I per essere guarito dalla lebbra, così quegli mi fece andare da lui come medico per guarirlo dalla febbre della sua superbia: mi chiese consiglio, e io tacqui, perché le sue parole mi sembrarono dissennate. Egli poi disse: "Non aver timore; t’assolvo fin d’ora, e tu indicami il modo di abbattere Palestrina. E’ in mio potere chiudere e aprire. come tu ben sai, il regno dei cieli; perciò due sono le chiavi che il mio predecessore (Celestino V, che rinunciò al trono pontificio) rifiutò ". Allora i fondati argomenti mi spinsero là dove il silenzio mi parve la risoluzione peggiore, per cui dissi: "Padre, giacché tu mi assolvi da quella colpa in cui ora devo cadere, promettere molto e mantenere poco ti faranno trionfare (sui tuoi nemici) nell’eccelso tuo trono". Giunse poi San Francesco, non appena fui spirato, per prendere la mia anima; ma uno dei diavoli gli disse: "Non portarla via con te: non farmi torto. Egli deve venire nell’inferno tra i miei sudditi perché ha dato il consiglio ingannatore, dopo il quale sono stato sempre pronto ad afferrarlo per i capelli; non si può infatti assolvere chi non si pente. né è possibile pentirsi e peccare al tempo stesso perché è cosa contraddittoria ". Oh misero me! come trasalii quando mi ghermì dicendomi: "Forse non pensavi che io fossi logico!" Mi condusse da Minosse; e quello avvolse otto volte la coda intorno al suo duro dorso; e dopo essersela morsicata per la grande ira, disse: " Costui è uno dei peccatori che il fuoco sottrae alla vista"; perciò io sono dannato nel luogo che vedi, e così avvolto dalle fiamme, camminando, mi cruccio. " Quando ebbe così finito di parlare, la fiamma si allontanò gemendo di dolore, torcendo e dibattendo la punta aguzza. Noi proseguimmo oltre, sia io che Virgilio, su per il ponte fino al successivo che copre la bolgia nella quale è scontata la pena da parte di coloro che, suscitando discordia, si gravano del peso della colpa.

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